Le argomentazioni storiche, ideali, politiche a sostegno della richiesta, presentata dal MF e sottoscritta da 95.000 cittadini, di una rifondazione dell’autonomia regionale e di una separazione tra il Friuli e Trieste. La configurazione attuale non rende giustizia a nessuna delle nazionalità presenti.

Ci sono voluti sette anni di perseveran­za, tre legislature regionali, ma, alfine, la proposta di legge del Movimento Friuli per l’istituzione della Regione au­tonoma del Friuli a statuto speciale è approdata nell’aula del Consiglio regio­nale, a Trieste, dove ha tenuto banco per un giorno intero, anche se, esauri­to il dibattito generale, un voto della maggioranza ha impedito il passaggio all’esame dell’articolato e, dunque, il successivo voto sulla proposta stessa. Ma Marco de Agostini, capogruppo consiliare del MF e segretario politico regionale, era egualmente soddisfatto. “Anche se possiamo prevedere – aveva detto all’inizio del suo intervento du­rato oltre due ore – come andrà a fini­re questo dibattito, il fatto di essere riu­sciti a far sì che il Consiglio regionale discuta della nostra proposta per noi è già di per sé un fatto ed un risultato im­portante.” Tre i tipi di argomentazione portati da de Agostini a sostegno della proposta del MF che equivale, nei fatti, a una se­parazione tra il Friuli e Trieste: argo­mentazioni storiche, ideali e, per così dire, argomentazioni di tipo contingen­te. La storia ricordata dal capogruppo del MF inizia nel 1946, allorquando (18.12.1946) la II Commissione della Costituente approva la proposta di co­stituzione della Regione friulana, con 17 “sì” e 10 “no”. Originariamente la Regione friulana avrebbe dovuto com­prendere addirittura il territorio del Friuli “più le terre della Venezia Giu­lia che a norma del prossimo trattato di pace dovranno restare allo Stato ita­liano”. Solo dopo il ritorno della città di Trie­ste all’Italia (5.10.1954) si cominciò a parlare di un inserimento della città nel­la regione, ma sempre con uno status suo. Pur con pareri diversi, su una larga au­tonomia del Friuli e di Trieste tutti i massimi esponenti politici del tempo concordavano, ad eccezione delle de­stre. Tuttavia la soluzione unitaria per la re­gione con Trieste, e senza la concessio­ne di particolari autonomie, riuscì a prevalere. Nasceva così, al posto del centralismo romano, quello triestino. Per sostene­re i diritti di Trieste a essere capoluogo di una regione fatta per i quattro quin­ti dal Friuli, si umiliò la maggioranza, si umiliarono tanti personaggi che ave­vano combattuto per le autonomie. Naturalmente le popolazioni interessate non furono sentite in alcuna maniera. L’ideologia che sta alla base della con­cezione autonomistica del MF, secon­do de Agostini, sta nel fatto che si de­vono riconoscere a ogni popolo carat­teristiche nazionali e, almeno in via teo­rica, “il diritto all’autodeterminazione e a ogni frammento di nazionalità se­parata dai confini dello Stato, dal cor­po della stessa nazione, il diritto di riu­nirsi”. La storia degli ultimi due secoli ha po­sto in particolare evidenza il diritto all’autodeterminazione di ogni nazione, ma ha anche evidenziato come questo diritto sia duramente contrastato dalla logica statocentrica, talché il sistema degli Stati europei non è oggi in grado di ritoccare gli attuali confini, se non col rischio di un conflitto generalizza­to. Alcuni Stati, pur salvando l’assioma della loro unità, hanno accettato a un livello più basso il principio del diritto delle nazionalità, e si sono costituiti in federazione, come è avvenuto – sia pu­re su piani diversi – per la Svizzera e per la Jugoslavia. Altri invece, attraverso il sistema delle autonomie, concedono – o meglio de­centrano – alcuni poteri alle istituzioni autonome; non sono quindi le nazioni che, accettando di far parte di un’uni­tà statuale più vasta del loro territorio, affidano allo Stato, privandosene, al­cuni dei loro poteri di sovranità. Per de Agostini, perciò, non si può pen­sare a una nazione friulana senza pen­sare alla sua sovranità nazionale e al suo diritto di autodeterminazione; ma non si può, d’altra parte, nemmeno ignorare la realtà imposta dalle contin­genze storiche, visto e considerato che lo Stato italiano né è disposto a rico­noscere diritti di autodeterminazione, né è tantomeno uno Stato di tipo fede­rativo. Nella realtà attuale, perciò, il Friuli ha a disposizione il grado più basso del­l’articolazione interna della sovranità di uno Stato: l’autonomia; ed è necessario partire da quella, renderla più effi­cace e coerente, per poter pensare a for­me di sovranità più elevate per la na­zione friulana, come per esempio po­trebbe essere quella di un futuro Stato confederativo europeo. Inoltre lo Stato italiano si è dato, nella Costituzione repubblicana, un artico­lo 6 che proclama di tutelare le mino­ranze linguistiche (che non osa chiama­re col termine di nazionalità), ma non lo   ha collegato affatto con il principio dell’autonomia. La nazione friulana ha un passato di sovranità istituzionale dai caratteri ben marcati. Il Patriarcato di Aquileia, al­l’interno del Sacro Romano Impero, godeva di diritti di sovranità sul suo ter­ritorio. Si trattava di una sovranità nel­l’ambito di istituzioni feudali, certo, ma la memoria storica di essa attraversò i secoli, passando oltre il lungo periodo della dominazione veneta. Quando poi si presentarono, nell’800, le questioni nazionali, le classi dirigen­ti e possidenti friulane si posero la que­stione della sovranità del Friuli in ter­mini del tutto singolari: memori del passato, pretesero per il Friuli autono­mia, dal momento che non si sentiva­no troppo forti per concepirne l’indi­pendenza. Ma un’autonomia nell’am­bito dello Stato italiano che si stava costruendo. Lo Stato veneto aveva operato un’in­tegrazione degli interessi materiali del­la borghesia e dell’aristocrazia friula­ne nella direzione della nazione italia­na. E queste si guardarono anche bene dall’accogliere i suggerimenti degli am­bienti culturali tedeschi, che sosteneva­no l’esistenza di una nazionalità friu­lana distinta da quella italiana, parten­do dal lato linguistico. La borghesia friulana voleva l’autono­mia. La Società filologica friulana, sul­le sue riviste, chiedeva il ripristino del­la “patrie dal Friul” in una regione friulana e chiedeva, come altri, auto­nomia, quell’autonomia che il naziona­lismo italiano riuscì invece a non dare. Quando, nel 1963, venne istituita la Re­gione autonoma Friuli-Venezia Giulia, i suoi poteri di autonomia erano già sta­ti notevolmente compromessi: anche per questo il Movimento Friuli sostie­ne che né gli attuali poteri affidati alla Regione sono sufficienti a soddisfare le esigenze della nazione friulana, né la configurazione attuale della regione è tale da rendere giustizia alle diverse na­zionalità ivi presenti. “C’è dunque un problema di revisione dei poteri riconosciuti alla regione, di rifondazione dell’autonomia in genera­le, e c’è un problema che noi ritenia­mo prioritario, una conditio sine qua non, che è quello della costituzione di due regioni separate: quella del Friuli, comprendente i suoi territori storici (Udine, Gorizia e Pordenone), e quel­la del territorio di Trieste”, ha soste­nuto il capogruppo del MF. Vi è poi il problema connesso alla ri­chiesta dell’istituzione di una zona fran­ca integrale. Dietro a questa rivendica­zione stanno secoli di storia autentica e di leggende, coltivate in sede storio­grafica e di pubblica opinione. È vero che la storia di Trieste moderna incomincia con la sua erezione a porto franco il 18 marzo 1719, ma è altret­tanto vero che non si rivelano gravi i contraccolpi della soppressione del re­gime di franchigia, decisa nel 1891. Tuttavia, pur se da non molti conosciu­ta, nell’anima dei triestini è radicata la Cronica di Monte Multano, il docu­mento cinquecentesco (o forse quattro­centesco) che vorrebbe addirittura i Ro­mani discendenti dai Montemulianesi (Triestini), i quali ultimi rifiutano di versare ai Romani un tributo, pronti financo ad abbandonare il luogo natio e a resistere in modo da obbligare i do­minanti a un ripensamento, talché “lo Imperio a voi tutti, ve vuol far franchi, e franchisia naturale, e che voi e li vo­stri, e chi saro di voi, in tutto e per tut­to siate franchi per sempre volé fare, come in questo sigillo appare”. Presa per autentica da Ireneo della Cro­ce e da Vincenzo Scussa, correttamen­te intesa da Pietro Kandler, la Cronica può ancora aiutare a capire molti aspet­ti della realtà triestina e la sua richie­sta di autonomia. Dopo aver portato altre motivazioni a sostegno delle sue tesi, de Agostini ha concluso così il suo intervento: “Voi potete sconfiggere il problema che noi vi abbiamo presentato. Potete sconfig­gere il MF, non una battaglia, non la gente che ha firmato 95.000 richieste di autonomia… Chiediamo perciò che si attivi il criterio dell’autodeterminazio­ne, del referendum popolare – e sono anni che aspettiamo questo referendum – perché in democrazia la sovranità spetta al popolo e la votazione è il mec­canismo con il quale si esprime la vo­lontà popolare. Si faccia in modo che le posizioni vengano illustrate correttamente alla gente e poi la si lasci deci­dere. Noi abbiamo invece già sentito la gente sulla proposta di legge per la tutela delle minoranze, mentre voi non l’avete fatto, e avete solo votato con­tro; noi abbiamo consultato le popo­lazioni friulane anche per questa pro­posta, e abbiamo ottenuto l’assenso di tanti che non hanno di certo votato per il Movimento Friuli, visto che i nostri voti sono meno della metà delle 95.000 firme raccolte. Il nostro impegno con la gente lo abbiamo sempre onorato, e abbiamo la coscienza di aver fatto quel­lo che dovevamo. Ora sta a voi, e sol­tanto a voi, dirci semplicemente di si o di no”.