Il frazionamento politico e geografico non ha spezzato la profonda unità culturale dei tre gruppi. La funzione propulsiva degli antichi vescovati

Nerio De Carlo

Due migrazioni indo-europee raggiunsero nell’antichità l’arco alpino centro-orientale: i veneto-illirici ed i celti. Al loro arrivo essi trovarono una popolazione che costituiva il tessuto etnico su entrambi i versanti delle Alpi e che, sebbene culturalmente minoritaria, continuò a formare il supporto degli atteggiamenti spirituali determinati dalle mutazioni storiche che hanno interessato il mondo delle Alpi.

In una tale realtà etnico-politica, non ancora consolidata a causa delle migrazioni dei Galli provenienti sia da occidente sia da settentrione, si venne poi ad inserire l’intervento romano che, iniziato nel 15 a.C. con la guerra retica, fini col predominare nella seconda metà del secondo secolo d.C., realizzando la fondazione di Aquileia. Nell’incontro-scontro tra la precedente cultura delle popolazioni alpine non latine e la romanità sostenuta ed imposta dalle legioni dei Cesari va dunque collocata l’origine dei ladini. Questo popolo abitò in tempi storici le regioni più settentrionali dell’impero romano, vale a dire la Retia Prima, la Retia Secunda ed il Noricum, ed attualmente si limita ad una parte del Canton Grigioni, ad alcune valli dolomitiche ed a gran parte del Friuli, registrando circa novecentomila individui.

L’azione politica esercitata da Roma mirò, come di consueto, per quattro secoli a snaturare l’identità e la lingua delle popolazioni alpine, al fine di poter meglio contare sul valore e sulla fedeltà di contigenti militari locali, destinati a sacrificarsi per la difesa dei confini dell’impero lungo i fiumi Reno e Danubio.

Ben diverso fu l’operato della Chiesa, la quale curò la predicazione del Vangelo nelle lingue locali

a partire dal quinto secolo. Tale predicazione avvenne presso le popolazioni ladine a cura della metropolia di Aquileia, in sintonia con l’insegnamento della Chiesa Orientale, su un vasto territorio corrispondente al Noricum e alla Retia Secunda, dato che la Retia Prima gravitava su Milano.

È difficile stabilire anche con approssimazione i termini gergali, grammaticali e sintattici della lingua ladina di quel tempo, ma essa esisteva, tant’è vero che durante il Sinodo di Magonza, cioè nell’anno 847, essa venne chiaramente indicata come la lingua nella quale i sacerdoti dovevano esprimersi nel loro ministero di cura d’anime.

Uno dei fenomeni più interessanti e più dibattuti è l’innegabile, graduale riduzione dei territori di parlata ladina, registratasi nei secoli. È stata avanzata l’ipotesi che le migrazioni di popoli nella direzione nord-sud abbiano sommerso l’elemento ladino, ma il fatto è assolutamente improbabile. I popoli che giungevano nelle regioni abitate dai ladini non erano molto numerosi e disponevano di una cultura frazionata, priva di un centro di coesione e senza dubbio inferiore a quella ladina, nella quale erano confluite, tra l’altro, anche la mentalità e la matura esperienza romana. Se mai erano i nuovi arrivati ad essere assorbiti dalla realtà ladina, radicata da secoli nelle sue naturali sedi di montagna e di pianura. Una erosione potrà essersi invece verificata nei territori confinanti ad opera di politiche culturalmente avanzate ed economicamente più solide.

Il fenomeno tuttavia esiste, in quanto soltanto in una parte del Canton Grigioni nella Retia Prima, in alcuni valli dolomitiche nella Retia Secunda e soltanto in Friuli nel Noricum si parla ancora la lingua ladina. Una spiegazione è senza dubbio da ricercare nello spostamento degli equilibri politici verificatisi nel medioevo. Nell’anno 843 il territorio grigionese venne staccato dalla metropolia milanese ed iniziò a gravitare nell’orbita economica. culturale e politica di Magonza: ne seguì una graduale, vasta avanzata della lingua tedesca. Lo stesso può naturalmente affermarsi per vari territori della Retia Secunda in considerazione del consolidamento della politica dei Franchi: dopo la spartizione dell’impero carolingio (ma in qualche caso anche prima, come avvenne per Salisburgo nell’anno 798), le regioni di lingua ladina assegnate al Regnum Germaniae conobbero un altro polo di attrazione. Nessun particolare movimento, nessuna sommersione etnica ha dunque determinato la contrazione linguistica riscontrata anche in tempi più recenti. Ad un certo punto i ladini hanno incominciato a parlare tedesco, come molti alsaziani sono diventati francofoni o parecchi irlandesi anglofoni. Tale mutamento è quindi unicamente da attribuirsi ai nuovi equilibri politici ed in tale senso è ora necessario agire per evitare ulteriori, future perdite, in quanto la scomparsa di una lingua è danno irreparabile per tutta l’umanità.

All’interno della realtà ladina il Friuli merita una particolare considerazione. È stato spesso contestato che questa regione possa essere ritenuta ladina, ma precise argomentazioni depongono a favore della sua ladinità. Partendo dalle origini, è certo che i Galli Càrnei fossero di origine noricense, in quanto provenienti dalla vicina Stiria e più precisamente dal centro celtico di Nyrax. Soltanto gli interessi circoscrizionali romani li inquadrarono nella X Regio Venetia et Istria, ma rimane indiscusso che dal toponimo Nyrax sia derivato anche quello di Noricum. Dal 3 aprile 1077 al 1420 il Patriarcato di Aquileia fu senza dubbio la matrice di quel concetto di “piccola Patria” che sopravvive ancora in Friuli anche in riferimento alla identità, alla visione della vita ed alla lingua locali. Al Patriarcato riuscì di salvaguardare la lingua friulana, altrimenti destinata, come altrove, al fagocitamento da parte del tedesco e dell’italiano. Numerose consuetudini confermano inoltre nel costume e nel modo di essere l’appartenenza del Friuli al mondo ladino. Fino all’invasione napoleonica tutti i capofamiglia di un villaggio si radunavano, per esempio, vestiti con i loro meravigliosi costumi e con la spada al fianco per esprimere pubblicamente il loro voto durante le assemblee dei cittadini: questa consuetudine è propria delle regioni ladine, dove la tradizione è ancora rispettata. Un altro collegamento con le aree che un tempo furono ladine è costituito da quelle particolari manifestazioni del comportamento umano durante i momenti di gioia, che costituiscono la danza.

Esiste infatti in Friuli un ballo denominato “stàiare”, cioè “stiriano”. Non si può non riconoscervi

il riferimento alla regione dalla quale provenivano i Galli Càrnei, che comunque hanno dato anche il nome al vicino Land della Carinzia, alle Alpi Carniche e a un centro commerciale e militare di primaria importanza come Carnuntum nei pressi di Vienna. Il Patriarcato di Aquileia non fu certo l’unica espressione della forte richiesta di autonomia da sempre proveniente dall’anima ladina.

Il primo nucleo della Confederazione Elvetica fu infatti costituito nel 1291 proprio dai cantoni direttamente influenzati dalla contiguità e dalla indipendenza dell’anima ladina. Se il più ladino dei cantoni vi aderì soltanto nel 1803, il motivo è da ricercarsi nelle implicazioni di ordine politico connesse con il fatto che il suo territorio era fino allora soggetto all’autorità del principe-vescovo di Coira. Nella zona dolomitica lo spirito indipendentista, naturalmente rapportato ai tempi, non fu meno fiero che in Friuli o in Svizzera. Già nel 1027 erano molto attivi i principati religiosi di Bressanone e di Trento, che nemmeno il successivo vassallaggio nei confronti della casa d’Asburgo, realizzatosi tre secoli e mezzo più tardi, riuscì ad attenuare.

Un mondo ed una storia degni di più attento studio sono la realtà e le vicende dei popoli ladini: anche la loro cultura certamente contribuì allo sviluppo di quella “civiltà mitteleuropea” che tanta nostalgia ha lasciato in molte regioni del vecchio continente ed alla quale ancora spesso amano riferirsi molti animi angustiati dall’attuale crisi dei valori.

La storia dei ladini può e deve soprattutto ricordarci che le regioni situate a nord degli attuali confini sono soltanto l’altro versante delle Alpi.