Finché il fenomeno è durato, cioè 3 o 4 giorni, qualcuno (Nicola Porro, mi pare) ha definito l’ennesima pagliacciata radical chic “i bamba delle magliette rosse”… In effetti, i pochi giornalisti e commentatori non al soldo del globalismo invasionista tendono a dare un taglio umoristico alla descrizione di questo circo, e hanno anche ragione: i radical chic sono maschere grottesche, in parte furboni cinici a caccia di soldi e potere, in parte utili idioti che scimmiottano mode e slogan inventati da un’élite di fascisti internazionali. I primi, i furboni, sono fondamentalmente dei delinquenti, poiché le loro scelte vengono fatte a danno – economico e spesso fisico – dei loro concittadini; i secondi sono la riedizione cattocomunista dei borghesi baciapile, che si sentivano convintamente e sinceramente “a posto” con sé stessi e la società per il fatto di andare a messa ogni domenica e dare un fisso alle opere di carità; salvo poi prendere a pedate la serva, far lavorare i bambini in miniera, rovinare la reputazione a una vicina nubile, e tante altre porcherie da classi agiate.
Il radical chic del secondo tipo – il coglione, per intenderci – può appartenere al mondo ottuso dello spettacolo o al clero, a una certa fascia medio-alta del mondo politico abbastanza ignorante da non sapere nemmeno chi siano i burattinai, o anche alla famigerata borghesia milanese (usata qui come sineddoche sociale). In tutti i casi, egli ha l’onere di affrontare quotidianamente una serie di laceranti contraddizioni, che tuttavia riesce a superare agevolmente, confidando in un dio simoniaco parente di quello che faceva sentire probi e pii i padroni delle ferriere. Un dio benevolo che perdona venialità come manifestare per avere più “profughi” e poi non volerne nel proprio quartiere, oppure fare lo sciopero del tartufo per lo ius soli, tanto la creatura va alla scuola privata.
Ora che i media di regime sono stati tranquillamente scavalcati da numerose altre fonti di informazione – magari non sempre professionali – questo tipo umano è finito davanti agli occhi di tutti, non soltanto degli osservatori più disincantati, e quando la maggioranza della gente vede la “nudità” di una categoria, quest’ultima si trasforma in una barzelletta. E – corollario – quanto più la categoria umana o sociale è idiota, tanto meno si sentirà tale, perseverando nei propri atteggiamenti senza alcun senso del ridicolo. Ovvio che con maschere di tal genere le pernacchie si sprechino.
Ma attenzione: di destra, di centro o di sinistra, mondialista o sovranista, innovatore o conservatore, il giornalista italiano resta sempre il giornalista italiano. Soprattutto se a stipendio presso un grande gruppo mediatico, egli si sente – e talvolta è – un privilegiato, un intoccabile. Può fregarsene se viaggiare di notte in tram per una ragazza è pericoloso, o in casi più rari saperlo e denunciarlo, ma in ogni modo sul tram non ci metterà piede. I tragitti tra Milano e Roma se li farà in aereo o sul Frecciarossa, e non si troverà mai su un regionale mentre una banda di africani massacra il controllore. Insomma, Nicola Porro… che tra l’altro mi piace, lo uso solo come esempio… può dunque permettersi di parlare di “bamba delle magliette rosse”; Feltri e colleghi possono tranquillamente sganasciarsi di fronte alle stronzate di una rivista da centro sociale o a un pretignuolo in lacoste, sapendo che ogni volta che quell’inquietante scrittorucolo o quello sconnesso col rolex apriranno bocca, saranno valanghe di voti per Salvini.

 

 

“Buonisti”, dove?

Noi no. Noi che viaggiamo in metrò e sui regionali non ci possiamo permettere di scherzare su di loro, di trovarli ridicoli, perché questa genìa è una minaccia per noi, per le nostre famiglie. Non ci possiamo neppure permettere la bestialità semantica di definire la suddetta categoria umana “buonisti” poiché solo un superficiale o uno che non rischia niente può pensare che costoro siano, come si dice popolarmente, “tre volte buoni”, cioè talmente aperti e ingenui da farsi infinocchiare. Certo, una parte “semplice” della popolazione ha cominciato così, ma è anche quella che, aperti gli occhi, ha poi spostato milioni di voti in altre direzioni. No, i cosiddetti “buonisti” sono proprio quelli che vogliono che la situazione di terrore continui, anzi peggiori.
Io personalmente non li trovo persone buone, ma carogne. Una persona buona è una che si preoccupa per gli altri; questi disprezzano tutti: non gliene importa un accidente di ciò che capita ai loro concittadini – e non provano neppure a nasconderlo – ma fingono di preoccuparsi soltanto degli stranieri, meglio se neri, meglio ancora se islamici. E il bello è che non gliene frega niente neanche di costoro, anzi più ne crepano in mare più godono perché così possono darne la colpa ai cattivi e al popolo bue che li vota. Davvero, ci sarebbe da rotolarsi dalle risate se non fosse una tragedia: prima giocano la carta del povero profugo, intimando alla popolazione di accogliere donne e bambini in fuga dai bombardamenti. Chi mai si opporrebbe a un simile strazio? Ma la realtà si fa largo tra le censure, ed ecco che i profughi si rivelano giovani maschi con felpe firmate e cellulari che non fuggono da nessuna guerra ma pagano profumatamente per essere trasportati: qui, qualsiasi persona con un minimo di dignità avrebbe un ripensamento. Loro no. Loro fanno finta di nulla e tutto l’armamentario pietista rimane identico, mentre il soggetto cambia e non poco. Ma non basta, la marea, passata da “in fuga dalla guerra” a “in cerca di una vita migliore”, si rivela talmente minacciosa da indurre il presidente Muhammadu Buhari a dichiarare al “Telegraph” che il suo Paese, la Nigeria, esporta delinquenti e noi europei dovremmo pensarci due volte prima di dar loro asilo. Ai “buonisti” importa qualcosa? No, con le argomentazioni di un bambino di 5 anni leggermente ritardato che cerca di giustificarsi, attaccano a parlare di egoismo, percezione dei reati che invece sono diminuiti, sole che gira intorno alla terra, Cristo che è morto di freddo, energumeni che ci pagheranno le pensioni. Alcuni rappresentanti di quella parte politica (uno tra tutti: Luca Ricolfi) hanno tentato invano di avvertire i loro compagni che stavano facendo inferocire la gente: non i leghisti, la gente. Il linguaggio falso, il definire nero ciò che è bianco e viceversa, il dire una cosa e poi fare il contrario, tipici del comunismo tradizionale, si sono trasformati in qualcosa di grottescamente allucinante con l’avvento del fasciocomunismo radical e terzomondista, rappresentando un insulto costante alle persone buone e oneste.
È il frasario da imbecilli che sta scavando la fossa a questi disgraziati. Tra centinaia di esempi a disposizione prendiamone uno molto in voga, lo slogan “cavalcare la paura”. Sembra solo una frase banale (verrebbe da rispondere: e perché no?), ma analizzandola salta fuori l’essenza del pensiero (per ora) mainstram. Il primo commento è: senti chi parla. Non potremmo forse affermare a nostra volta che il vecchio partito comunista, quello che si occupava dei lavoratori, cavalcava le lotte operaie? Che la Democrazia Cristiana cavalcava la paura per il Patto di Varsavia? Che l’attuale partito comunista, o come diavolo lo stanno chiamando, cavalca il desiderio africano di emigrare? Secondo, indipendentemente dal fatto che sia nata prima la Lega (di cui, sia chiaro, non ci importa nulla, specie adesso che non è più autonomista) o la paura della gente, è davvero così strano per lorsignori che un partito politico rappresenti la volontà di una parte della cittadinanza, e non potentati stranieri, banche, gruppi economici, eccetera?  
E allora viene da chiedersi: come hanno potuto dei buffoni di tale portata condizionare tutti i centri di potere e di informazione per decenni (e continuare a farlo, ammettiamolo)? A nostro avviso ci sono riusciti proprio per l’incredibile faccia tosta con cui hanno rovesciato ogni aspetto della realtà, ogni significato di ogni significante, trasformando il buono in cattivo e il cattivo in buono, rendendo ogni sentimento positivo insopportabile. L’hanno fatto talmente bene che i loro nemici ufficiali, cioè quelli che si autodefiniscono “di destra”, li combattono non in base a categorie proprie ma adottando quelle becere della sinistra.
Già dividere il mondo tra destra e sinistra è roba da Bar Sport: come se tutti si dovesse tifare per il Milan o l’Inter, il Torino o la Juve, laddove qualcuno potrebbe infischiarsene del calcio e preferire il rugby. Qui non c’entra più la “politica” come s’intendeva nel dopoguerra, qui siamo alla contrapposizione antropologica tra un 20-25% fisiologico di mentecatti e il resto del mondo. Casualmente questo quarto fisiologico d’umanità si raccoglie sotto le bandiere postsessantottine nell’ultimo mezzo secolo, ma nei decenni precedenti poteva sfilare sotto una svastica o inneggiare alle colonie. Come si fa a dire che chi non appartiene a questa percentuale fissa che si perpetua nelle generazioni è “di destra”? La gente in maglietta rossa non la si combatte perché è “di sinistra” (si autodefinisce tale, ma le si attaglia perfettamente anche l’etichetta di “fascismo 2.0” o “fasciocomunismo”), ma perché sono nemici della popolazione e una minaccia per i più deboli. E che questi vantino una “superiorità antropologica” sugli altri dovrebbe essere motivo di incontenibile ilarità, così come il fatto che si sentano persone colte e impegnate.

bamba delle magliette rosse
Un solo quotidiano, tre edizioni?

Resto del mondo, non destra

Purtroppo, invece di prenderli in giro, quei quattro gatti sedicenti “di destra” reagiscono bevendosi a cammello le millanterie e vantandosi di appartenere al volgo, alla massa degli ignoranti che però è la maggioranza e per questo ha ragione. No, signori, noi  combattiamo i radical chic perché siamo più intelligenti, più colti, più buoni di loro. E se nelle statistiche (fingiamo di crederci) figura che il “progressismo” attira di più i laureati e gli abitanti delle grandi città, non è per sapienza ma esattamente per l’opposto: in questo Paese i laureati sono spesso semianalfabeti che hanno tagliato i ponti con la loro cultura tradizionale, e ne ricercano una nuova seguendo le mode, ovvero frequentando le persone “giuste” e obbedendo ai dettami dell’élite. La cosiddetta borghesia delle grandi città è spesso molto più chiusa e ottusa dei corrispondenti di provincia e di campagna, perché ha meno rapporti interpersonali (in un condominio la gente neppure si conosce e la folla esterna produce più isolamento di un deserto) e per riuscire a esistere nella massa è costretta a adottare apparenze prive di sostanza: cibi strani, uso della bicicletta se il tragitto è inferiore al chilometro (sennò suv), film consigliati dalla critica, locali alla moda, piccoli brividi rivoluzionari. Per anni ho pensato alla famigerata borghesia milanese, quella che ha messo su quella sagoma di giunta, come a marziani ricchi e annoiati che si aggirano dalle parti di via Spiga; poi mi sono reso conto che quelli lì son quattro gatti: la borghesia di cui sopra sono le persone che conosco e frequento, alcuni anche colti e intelligenti, ma in 6 casi su 10 condizionati come robot a ripetere gli slogan giusti (mentre gli altri 4 tacciono imbarazzati). Signore che provano il brivido di andare a comprare collane nella casbah meneghina di viale Tunisia, ammettendo poi di aver rischiato grosso, ma che neanche per sbaglio vorrebbero i profughi nel condominio e – come è stato straripetuto, ma è anche stravero – non prenderebbero mai una rom al posto della filippina.
E allora sarebbe questa la crema della società su cui poggia la superiorità progressista? Lo chiedo ai comunicatori di destra, o liberisti, o berlusconiani: continuerete a fare l’elogio dell’ignoranza e del popolino da contrapporre a queste menti eccelse? E ancor peggio: continuerete per molto a fare qualsiasi porcheria a patto che sia l’esatto opposto del politicamente corretto? Vi riesce difficile capire che chi difende la natura non lo fa perché è di sinistra ma perché ama la natura? Possibile che per liberarmi di africani e maomettani debba subire la cementificazione e lo sterminio di esseri sublimi e miracolosi come gli orsi e i lupi? Lo so che senza partiti o ideologie alle spalle ci si sente soli, ma dobbiamo accettare la realtà: quelli che oggi si dichiarano progressisti sono un gregge di fedeli, il resto del mondo è fatto da individui privi del libretto di istruzioni.