Erdogan? Una fonte inesauribile di trovate che, se non fossero tragiche, potrebbero indurre a un sorriso di compatimento. Dopo la dichiarata intenzione di “togliere la cittadinanza turca ai seguaci del PKK”, il presidente ha spiegato che a causa delle trappole esplosive ci sarebbero troppe perdite tra le forze di sicurezza turche, sicché l’unica soluzione (“per la protezione dei civili”) sarebbe quella di “sgomberare completamente le zone dove si svolgono le operazioni e far saltare da lontano le case inabitabili”. Dimenticando che sono state rese inabitabili dai bombardamenti dell’esercito turco.
Niente di nuovo sotto il sole. Anche durante l’assedio della città di Cizre lo Stato turco aveva sperimentato la strategia di cacciare gli abitanti con i bombardamenti. In un primo tempo la popolazione dei quartieri assediati veniva gradualmente sfinita e spinta alla fuga da settimane di coprifuoco; poi, quelli che si rifiutavano di andarsene venivano letteralmente massacrati. Solo a Cizre, oltre 150 persone hanno perso la vita negli attacchi e centinaia di abitazioni risultano ormai devastate.
Identica la situazione a Sur, il quartiere storico di Diyarbakir.
A quanto pare Erdogan vuole ora applicare questa strategia anche nelle città di Nisêbîn (Nusaybin), Gever (Yüksekova) e Silopi. Nei tre centri continuano gli attacchi delle forze di sicurezza, ma ora incontrano la resistenza delle Unità di Difesa dei Civili (YPS, Yekîneyên Parastina Sivîl) che cercano di difendere i loro quartieri. In base a quanto riportato da fonti vicine alle YPS, “le forze di sicurezza turche vengono appoggiate anche da jihadisti che sono riconducibili a ISIS o al Fronte Al-Nusra”. E diversi jihadisti sono già stati uccisi nei combattimenti.
Durante gli attacchi contro Silopî, solo il 6 aprile erano stati assassinati almeno sei civili. Quel giorno le forze di sicurezza turche avevano sparato ripetutamente con i missili contro due quartieri della città, colpendo numerosi appartamenti dove si trovavano dei civili. Dopo la morte di una decina di persone, gli abitanti della città hanno iniziato a fuggire. Contemporaneamente, una cinquantina di abitanti di Silopî, tra cui anche componenti del Partito Democratico delle Regioni (DBP), venivano arrestati dalla polizia turca.

Curda e alevita: doppiamente discriminata

Una denuncia sulla situazione delle città curde è giunta da Gultan Kisanak in un’intervista con la stampa tedesca. Per la sindaca di Diyarbakir, “Ankara sta conducendo una guerra coloniale contro la popolazione curda”.
Nata nel 1961 a Elazig e appartenente alla comunità religiosa degli aleviti, negli anni ‘90 Gultan Kisanak ha lavorato come giornalista per varie testate (molto spesso sequestrate o vietate) diventando caporedattrice del quotidiano “Özgür Gündem”. Parlando di Sur, il quartiere della città vecchia di Diyarbakir messo sotto coprifuoco per settimane dal dicembre scorso, ha ricordato che qui

circa un mese fa il governo ha proclamato ufficialmente la fine del coprifuoco, ma in altri cinque quartieri è ancora in corso. 30.000 abitanti sono stati scacciati da Sur. 20.000 di loro non hanno più case perché sono state distrutte da mesi di fuoco da carri armati e artiglieria. Un ritorno degli sfollati al momento non è possibile. A Sur vivevano molte persone povere che negli anni ‘90 sono state scacciate dai loro villaggi dall’esercito e si sono poi ricostruite una nuova vita a Diyarbakir. La politica di espulsione ha anche gravi conseguenze economiche per la gente di Sur. Molti piccoli negozi di artigiani sono falliti. La situazione ora è perfino peggiorata perché lo Stato ha espropriato e statalizzato quasi tutto il quartiere della città vecchia. Dicono che è per motivi di sicurezza. Gli abitanti poveri vengono scacciati. Molti non ricevono un indennizzo perché erano solo inquilini o avevano costruito le case per conto loro negli insediamenti informali chiamati Gecekondular e non erano registrate. Vogliono ricostruire il quartiere con case nuove e strade larghe. E ancora non si sa chi dovrà andarci ad abitare. Ma abbiamo l’esempio del quartiere Sulukule a Istanbul. Lì sono stati scacciati i rom che tradizionalmente lo abitavano. Negli edifici nuovi e cari sono poi andate ad abitare persone ricche provenienti dall’Arabia Saudita.

Quanto al problema impellente di opporsi comunque a questo land grabbing, la sindaca ha sottolineato come

questa sia forse la prima volta nella storia che viene espropriata un’area così grande con 50.000 abitanti. Gli espropri, che colpiscono anche edifici pubblici, parchi, musei e chiese, sono in contrasto con il diritto amministrativo dei comuni. Noi ci opponiamo in due modi. Da un lato procediamo per vie legali. Contemporaneamente puntiamo alla mobilitazione della popolazione. 310 organizzazioni della società civile si sono unite in un movimento per la ricostruzione di Sur.
Dopo l’interruzione del dialogo con il Movimento di Liberazione curdo da parte del Presidente Recep Tayyip Erdogan e il suo annuncio di non accettare il risultato elettorale del giugno 2015, nell’estate scorsa una serie di comuni curdi, incluso Diyarbakir-Sur si sono dichiarati autogovernati. Al governo questo è servito come pretesto per i suoi attacchi contro le città curde.

Al giornalista Nick Brauns che le chiedeva se “da questo punto di vista la proclamazione dell’autonomia democratica non sia stata prematura”, ha ricordato che per il popolo curdo

l’autonomia democratica non è un progetto nuovo. Già nel 2007 abbiamo deciso questo progetto nel congresso del Partito per una Società Democratica (DTP), partito che poi è stato vietato, e dopo lo abbiamo confermato in programmi di partito e conferenze. Nelle zone dove siamo stati eletti quindi abbiamo cominciato a mettere in pratica l’autogoverno. Anche durante il dialogo di pace tra lo Stato e il rappresentante curdo Abdullah Ocalan la questione dell’autogoverno era centrale. Il PKK nel frattempo ha ammesso che non aveva messo in conto una tale politica di guerra da parte dello Stato, ma aveva sperato in una prosecuzione del dialogo. Come DBP abbiamo fatto di tutto per evitare gli scontri, ma non abbiamo trovato ascolto da parte del governo. Tuttavia continuo a sperare nella fine dei combattimenti e in un ritorno al dialogo con il coinvolgimento di Ocalan.
I curdi vogliono uno status politico e il loro autogoverno, mentre il governo li vuole liquidare con pochi diritti culturali. Ma noi non conduciamo solo una lotta nazionale per i curdi. Per noi si tratta anche del fatto di conquistare democrazia per tutta la Turchia. Non vogliamo che le amministrazioni comunali siano solo copie dello Stato centrale, perseguiamo un’alternativa democratica. Le decisioni dovranno essere prese in parlamenti popolari nei quartieri. Le donne e i giovani dovranno organizzarsi in consigli. Gli altri gruppi etnici e minoranze religiose nella nostra regione dovranno avere diritto di parola.

Gultan Kisanak. Dal 2011 al 2014 per il Partito per la Pace e la Democrazia (BDP), di cui è stata co-presidente, ha fatto parte del parlamento turco. Nel 2014 per il Partito Democratico delle Regioni (DBP) è stata eletta sindaca di Diyarbakir, città nell’est della Turchia abitata prevalentemente da curdi. Appartiene alla confessione alevita.

L’intervento di Cemil Bayık, leader del PKK

In aprile è intervenuto anche Cemil Bayık, leader del PKK ricordando l’impegno per la pace del prigioniero politico curdo Abdullah Ocalan. Purtroppo ha dovuto amaramente riconoscere che “tutti questi sforzi sono stati negati da Erdogan”. Nel suo articolo La lotta rimuoverà l’isolamento e porterà la soluzione, pubblicato sui quotidiani “Azadiya Welat” e “Yeni Özgür Politika”, Cemil Bayik scriveva che

Tayyip Erdogan e Ahmet Davutoglu stanno ingannando i popoli della Turchia. È chiaro come è finito il cosiddetto “processo di risoluzione”. Come risultato di anni di impegno, una dichiarazione di democratizzazione e una risoluzione per la questione curda sono state presentate al pubblico a Dolmabahçe. Chi lo ha negato e ha detto che il progetto non esisteva? Chi ha detto che questi messaggi stavano legittimando İmralı per via del messaggio del leader Apo di democratizzazione e soluzione nel Newroz 2015? Chi ha tenuto il leader del popolo curdo in stretto isolamento dal 5 aprile 2015? Questi sono stati i primi passi di guerra e l’affossamento del processo di risoluzione democratica e politica. Quando hanno perso le elezioni il 7 giugno, il 24 luglio sono passati a una guerra a tutto campo. Le elezioni del 1° novembre erano solo una copertura politica per questa guerra. Le elezioni del 1° novembre sono state come quelle del 1946 quando ha vinto il CHP usando tutti i mezzi dello Stato. In breve, il discorso che il “PKK ha rotto la tregua e iniziato la guerra” è una grande bugia. L’Accordo di Dolmabahçe è stato rifiutato e il leader Apo è stato messo in isolamento secondo la sentenza di guerra raggiunta nel Consiglio di Sicurezza Nazionale il 30 ottobre 2014 e la decisione per questa guerra è stata messa in pratica dopo che le forze democratiche sono uscite rafforzate dalle elezioni del 7 giugno.
L’alleanza di AKP e MHP dice che continueranno questa guerra fino a quando non sarà rimasto vivo un singolo guerrigliero. Stanno dicendo quello che dicono tutti i politici senza una politica per una soluzione, stanno facendo tutto quello che questi politici hanno detto. Questo discorso e questa guerra continueranno fino a quando emergeranno una mentalità e una politica per una soluzione della questione curda.
AKP e MHP ora stanno attuando le politiche che vogliono i nemici della Turchia. Cadono nella trappola di mantenere la Turchia e i curdi in uno stato di guerra costante. Questa è la situazione in cui si troveranno coloro i quali non hanno politica per la soluzione. Solo coloro che avranno una politica di risoluzione per la questione curda agiranno a favore dei popoli della Turchia.
Nessuna forza può eliminare il Movimento di Liberazione Curdo. Le loro sono parole di guerra psicologica pronunciate per deludere i popoli della Turchia. Stanno senza dubbio usando tutti i mezzi a loro disposizione per mettere fine al Movimento di Liberazione Curdo. Ma sono destinati a fallire, come è successo ad altri negli ultimi 40 anni. La situazione attuale è ancora più infruttuosa di quanto lo fosse in passato.
Il PKK non è un movimento di “40 giorni” o un’organizzazione artificiale sostenuta dalla Turchia come ISIS. È il partito con radici profonde che hanno 43 anni e il partito con la maggiore esperienza politica nel Medio Oriente. Tayyip Erdogan, Devlet Bahçeli e Ahmet Davutoglu confondono il PKK con organizzazioni artificiali o create dalla propaganda. Il PKK è arrivato fino a oggi lottando con le unghie e con i denti. Ha una forza di sacrificarsi che si fonda su “o libertà o libertà”. Anche il popolo curdo non è più il popolo curdo di ieri. Anche questo popolo è maturato nella guerra che dura da 40 anni. In questo senso, Tayyip Erdogan sta ingannando se stesso con il discorso su una guerra speciale. Certamente il prezzo lo paga il popolo. Senza alcun dubbio anche il popolo curdo sta soffrendo; ma la Turchia è la più grande perdente nel processo in cui viene rimodellato il Medio Oriente. Il leader Apo ha cercato di far vincere tutti i popoli e il Paese stesso con il Manifesto del 2013 e l’Accordo di Dolmabahçe. Tuttavia, Tayyip Erdogan ha respinto questo approccio e questo sforzo e ha invece scelto la guerra. Questa guerra continuerà fino a quando le politiche di Tayyip Erdogan e dei suoi alleati falliranno. Una guerra è stata imposta al popolo curdo. Il Movimento di Liberazione risponderà naturalmente a questa guerra con una grande e storica resistenza.

Appare evidente che il più ragionevole interlocutore per una soluzione era e rimane Ocalan. Scontata l’analogia con Mandela e il Sudafrica all’epoca dell’apartheid. Per risolvere la questione curda non è possibile evitare di confrontarsi con le proposte e con i progetti di Ocalan il quale, va ricordato, considera la democratizzazione della Turchia e la soluzione della questione curda come interconnesse. Ma, come sottolineava Cemil Bayık, prima di tutto “è necessario rompere l’isolamento in cui versa Ocalan e che va avanti da più di un anno. C’è un legame diretto tra mettere fine all’isolamento e risolvere la questione curda. Se le politiche di guerra e di mancanza di soluzione vengono rese irrilevanti dalla lotta, allora l’isolamento finirà e il leader Apo potrà svolgere il suo ruolo”.

Cemil-Bayık
Cemil Bayık, 65 anni, è uno dei cinque fondatori del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il PKK.

Curdi sotto tiro anche in Siria

Come riportava in una corrispondenza del 21 aprile il giornalista Nick Brauns, dal giorno precedente

a Qamishlo nel nord della Siria erano in corso duri combattimenti tra milizie curde e forze governative siriane. Dozzine di appartenenti alle milizie, soldati e civili sono rimasti uccisi. La vita pubblica nella grande città sul confine turco abitata da curdi, arabi e assiri cristiani in larga misura si è fermata, molti abitanti fuggono verso i villaggi circostanti.
Qamishlo e Hasaka sono le uniche città nella zona di autogoverno del Rojava nel nord della Siria, dove il governo del presidente Bashar Al-Assad dispone ancora di truppe proprie. L’esercito siriano controlla l’aeroporto di Qamishlo, le Forze di Difesa Nazionali (FDN) il quartiere governativo, alcune zone residenziali arabe, nonché una serie di villaggi a sud della città. Oltre ad alcune tribù arabe, anche la milizia assira Gozarto sostiene il regime Baath, altri gruppi assiri invece sono alleati con le Unità di Difesa del Popolo curde YPG.

Finora era rimasta in vigore una “tregua informale” per cui da alcune componenti dell’opposizione siriana e dal governo turco erano state lanciate accuse contro il PYD (Partito dell’Unione Democratica, curdo) di “collaborazione con Assad”. In realtà a Qamishlo si verificavano di continuo conflitti armati di piccola entità tra curdi ed esercito siriano (soprattutto quando i curdi si opponevano al reclutamento).
I combattimenti su ampia scala erano scoppiati mercoledì 20 aprile dopo un incidente a un checkpoint delle unità Asayis (in campo per la sicurezza dell’autogoverno). Secondo quanto riferito dall’agenzia stampa curda Firat, negli scontri successivi di venerdì 22 sono rimasti uccisi oltre 30 seguaci del governo.
Giovedì 21 aprile le forze curde avevano occupato un forno industriale nel centro e il carcere locale (Alaya). Qui venivano uccisi cinque appartenenti alle FDN mentre una cinquantina si arrendevano. I canali tv curdi hanno mandato in onda un video che mostrava le Asayis mentre ammainavano la bandiera siriana e issavano la propria sull’edificio. Le unità dell’esercito siriano stazionanti nell’aeroporto hanno reagito con colpi di artiglieria contro alcuni quartieri residenziali e, secondo notizie non confermate, una decina di civili avrebbero perso la vita.
Con un contrattacco, durante la notte tra il 21 e il 22 aprile giovedì, le forze del FDN riuscivano a prendere il controllo dell’ospedale Al-Salaam e dello stadio pubblico. Nello stesso giorno, venerdì 22 aprile, rappresentanti del PYD e del governo si sono incontrati per negoziare una tregua.
Il Consiglio governativo del cantone di Cizire, che comprende anche Qamishlo, ha accusato Damasco di essere il responsabile degli scontri la cui funzione sarebbe quella di “seminare discordia tra curdi, arabi e assiri e impedire la costruzione di una regione federale nel Rojava nel nord della Siria”. La proclamazione dell’autonomia (in marzo) da parte dell’alleanza di opposizione dell’Assemblea Siriana Democratica formatasi intorno al PYD era stata condannata, oltre che dai governi siriano e turco, anche dall’opposizione siriana sostenuta dall’Occidente in quanto tale dichiarazione viene ritenuta “un attacco all’unità territoriale del Paese”.
Negli stessi giorni sul sito web dell’ISIS (Al-Amaq) veniva rivendicato un attentato suicida contro le YPG a Qamishlo (sarebbe avvenuto il 21 aprile).
Mentre le Unità di protezione del popolo (YPG) hanno rispettato da subito l’accordo di cessate il fuoco (vedi la dichiarazione congiunta degli Stati Uniti e della Federazione Russa sulla Cessazione delle Ostilità in Siria del 17 febbraio 2016), gruppi terroristici vari hanno continuato a bombardare alcuni quartieri di Aleppo, in particolare quelli abitati in prevalenza da curdi (Şêx Meqsûd, Efrîn…). Quartieri, va detto, che rappresentano spesso un luogo sicuro anche per molte persone non curde in fuga dalla guerra.
Da qualsiasi parte provengano – ISIS o esercito siriano – i bombardamenti costituiscono comunque una violazione delle convenzioni internazionali sulla protezione dei civili. Ultimamente si erano intensificati; forse una rappresaglia per le proposte politiche (l’autonomia democratica, l’autogoverno) avanzate dall’amministrazione del Rojava.
Appoggiati dalla Coalizione nazionale siriana, e da quello che rimane del Consiglio nazionale curdo, alcuni gruppi terroristici (Jabhet Al Nusra, Ahrar Al Sham, la brigata Sultan Murad, la brigata di Al Fatah Brigade, Divisione 16, Esercito di Mujahedeen, Fastaqim Kama Umirt Group, la brigata islamica Nour al-Din al-Zanki e la Divisione del Nord) hanno utilizzato ogni genere di armi letali, comprese quelle vietate internazionalmente, per costringere la popolazione a lasciare le proprie abitazioni. In particolare, negli attacchi contro il quartiere di Sheikh Maqsoud sono stati utilizzati gas chimici provocando sia il ferimento sia l’intossicazione di alcuni abitanti (vedi il rapporto dell’Agenzia Hawar News). Nel corso dell’attacco il quartiere appariva coperto da un fumo giallo. In un altro quartiere di Aleppo ripetutamente sotto attacco, le vittime civili sarebbero 25 e oltre cento i feriti. A seguito di tali eventi il Consiglio generale del Partito dell’Unione Democratica (PYD) ha rivolto un invito a “tutti i Paesi del Gruppo internazionale di sostegno alla Siria di assumersi le loro responsabilità e di fermare queste organizzazioni terroristiche e di proteggere i civili secondo le leggi e le convenzioni internazionali”, invitando anche il Consiglio di sicurezza dell’ONU “a esercitare pressione sui sostenitori di questi gruppi terroristici, in modo particolare nei confronti del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP), diventato una fonte globale del terrorismo che minaccia la pace e la sicurezza globale”.