Alle elezioni catalane del 27 settembre 2015, i partiti pro-indipendenza hanno ottenuto la maggioranza dei seggi nel parlamento catalano. Sulla base di questo “mandato democratico” per trasformare la Catalogna in uno Stato indipendente, il 9 novembre è stato avviato il processo di separazione dalla Spagna. Qualcuno ha parlato addirittura di completare il lavoro entro 18 mesi. Ma in questo momento, quanto si è avvicinata la Catalogna all’indipendenza?
Una delle priorità per il governo catalano durante questo lasso di tempo è stata quella di mettere in atto le “strutture statali” di cui avrà bisogno la nuova realtà. Su questo fronte si è registrato qualche progresso. Per esempio, la conversione dell’Institut Català de Finances (un’istituzione a fondi pubblici che fornisce finanziamenti alle imprese) è in fase di completamento. E la recente ristrutturazione e ampliamento della Agencia Tributaria de Catalunya (l’ente responsabile per la raccolta delle imposte locali) è stato interpretato come un passo verso la creazione di un erario catalano indipendente.
Ma ci sono quattro ragioni per cui è improbabile che si arrivi facilmente e rapidamente a ulteriori progressi verso l’autodeterminazione.

La disomogeneità dei catalanisti

In primo luogo, il governo catalano filo indipendentista si sta sforzando di gestire le differenze ideologiche e strategiche dei suoi membri: Convergència Democràtica de Catalunya (CDC), Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) e Candidatura d’Unitat Popular (CUP). Queste differenze pongono il governo di coalizione in una posizione estremamente precaria. Esiste disaccordo, per esempio, sul tipo di indipendenza cui la Catalogna dovrebbe aspirare. Mentre CDC e ERC vedono il futuro Stato catalano come parte integrante della UE, la CUP si oppone strenuamente a quello che considera un progetto capitalista europeo.
Problematici a più breve termine sono i diversi punti di vista su come procedere verso l’indipendenza. La CUP è nettamente a favore di una “rottura” unilaterale con la Spagna una volta che il “processo” abbia esaurito il suo corso di 18 mesi, mentre l’ERC, e in particolare la CDC, sono poco propense ad adottare un calendario preciso per la secessione.
Ci sono poi differenze fondamentali sulle questioni socio-economiche. CUP è un partito anticapitalista rivoluzionario; ERC, socialdemocratico; CDC, di centrodestra. In altre circostanze, prive di risvolti preminentemente costituzionali, questi partiti non si troverebbero insieme in una coalizione. Mettersi d’accordo su questioni quali il prossimo bilancio si dimostrerà estremamente impegnativo.

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Che ne pensa la maggioranza dei cittadini?

In secondo luogo, non esiste un sostegno maggioritario all’indipendenza della Catalogna. I partiti indipendentisti hanno ottenuto la maggioranza dei seggi nel parlamento locale alle elezioni del settembre scorso, certo, ma per mandato del 48% appena degli elettori. I sondaggi di opinione mostrano addirittura che il sostegno popolare all’indipendenza catalana è in declino. Secondo l’indagine del Centre d’Estudis d’Opinió (marzo 2016), questa sarebbe la scelta del 38,5% degli intervistati. Qualsiasi tentativo di procedere con la secessione in una tale situazione rischia di essere considerato illegittimo non solo all’interno ma anche all’esterno della Spagna.

Manca un fronte comune delle nazionalità

In terzo luogo, non c’è consenso in Spagna su come reagire al processo di indipendenza catalana. Tra partiti nazionali spagnoli, per esempio, le posizioni variano enormemente e rispecchiano le diverse posizioni ideologiche e strategiche.
A un estremo, il Partido Popular, di destra, rifiuta di accettare un referendum per l’indipendenza o di prendere in considerazione qualsiasi tipo di incremento dell’autodeterminazione catalana, essendo ideologicamente votato all’unità nazionale della Spagna.
All’estremo opposto, il partito anti-austerity Podemos ha sostenuto l’istituzione di un referendum per l’indipendenza, nel tentativo di ottenere il sostegno elettorale degli elettori indipendentisti di sinistra non soltanto in Catalogna, ma anche nei Paesi Baschi e in Galizia.
Tra queste due posizioni, i socialisti spagnoli del PSOE si sono formalmente impegnati a costruire una Spagna federale, ma sono parecchio ambigui sul significato del termine a causa di divisioni interne sulla questione. Ciudadanos, un nuovo partito di centrodestra, non ha preso posizioni precise sull’argomento.
Esistono anche differenze tra i partiti nazionalisti, così come tra le comunità autonome. Il Partido Nacionalista Vasco che, con i suoi omologhi catalani, è stato storicamente un elemento chiave nelle dinamiche spagnole tra centro e periferia, ha esplicitamente respinto l’indipendenza come obiettivo immediato, preferendo concentrarsi sulla piena attuazione dell’autonomia basca all’interno del quadro giuridico esistente.
Ci sono partiti più piccoli che lottano per l’indipendenza basca, ma il sostegno popolare rimane relativamente basso, attorno al 20%. In altre parti della Spagna, alcune comunità autonome ritengono che il processo di decentramento sia già andato abbastanza lontano, e in definitiva non esiste un fronte unito delle entità regionali in grado di sfidare l’autorità politica dello Stato centrale. Assistiamo piuttosto a una collezione alquanto eterogenea di interessi territoriali che rispecchiano le differenti situazioni economiche, culturali, sociali e politiche delle singole comunità autonome.

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Politica in crisi e mancanza di interlocutori

In quarto luogo, la frammentazione del panorama politico spagnolo negli ultimi anni ha ostacolato ogni seria discussione su una riorganizzazione territoriale dello Stato spagnolo, e il posto che spetterebbe alla Catalogna al suo interno. Questa frammentazione è conseguenza di una crisi economica profonda e duratura, oltre a una crescente sfiducia verso la politica e i suoi esponenti. Come risultato, molti partiti tradizionali hanno perso il loro elettorato a favore di nuovi soggetti politici, che hanno un modo radicalmente diverso di agire e dialogare con il pubblico.
La questione catalana non è l’unica vittima del mutato panorama politico. Il 26 giugno, la Spagna terrà la sua seconda consultazione elettorale nello spazio di sei mesi, vista l’impossibilità di formare un governo dopo le precedenti elezioni. Vista la situazione di instabilità, è poco probabile che si giunga in fretta a una soluzione negoziata della questione catalana, tale da soddisfare adeguatamente partiti e cittadini all’interno e al di fuori della Catalogna.

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