“Oggi Chernobyl appartiene al passato sovietico. Per molti intellettuali quel disastro ha significato il risveglio del movimento indipendista ucraino. Perché Chernobyl è stata una delle ragioni che portò al tracollo economico dell’Unione Sovietica”. Andrei Kurkov è uno dei più importanti scrittori contemporanei ucraini. È autore di numerosi libri e romanzi per bambini tradotti in decine di lingue, alcuni dei quali editi in Italia da Garzanti. Collabora con molte riviste tra le quali la rivista italiana di geopolitica Limes. Diari ucraini, un avvincente reportage sulla rivoluzione di Piazza Maidan del 2014, è l’ultimo suo lavoro pubblicato da Keller.
Ci incontriamo per un caffé in un locale storico di Kiev lungo la Yaroslaviv pochi giorni dopo gli atti di terrorismo di Bruxelles. “Mi trovavo nella capitale belga per un seminario sui diritti umani. Dopo gli attentati sono riuscito ad arrivare a Parigi in treno. Ovunque regnava un’atmosfera di guerra. Anche se la guerra, quella vera, ce l’abbiamo qui, in Ucraina”.
Bruxelles, Parigi, Ucraina. Attentati terroristici nel cuore dell’Europa e un conflitto irrisolto ai confini dell’Unione Europea. Eventi e situazioni completamente slegati tra loro, ma tutti fuoriusciti da un lontanissimo denominatore comune: il crollo dell’URSS e la fine del bipolarismo. E chiunque andasse alla ricerca dei prodromi di un periodo che si stava definitivamente per chiudere troverebbe molte risposte proprio a partire da quel 26 aprile 1986. Un mondo, quello sovietico, di cui Chernobyl è diventato, suo malgrado, metafora e simbolo.

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Andrei Kurkov è l’autore di Diari ucraini, reportage sulla rivoluzione di Piazza Maidan (2014). Foto di Valerio Raffaele.

Signor Kurkov, da pochi giorni lei aveva compiuto 25 anni: ricordi personali?
Ricordo tutto alla perfezione. All’epoca mi trovavo a Odessa, ma tornai indietro subito dopo la catastrofe per stare con i miei genitori. Per molti giorni la maggioranza della popolazione non seppe nulla di quanto era accaduto. Erano in corso i preparativi in vista dell’imminente ricorrenza del 1° maggio, data nella quale era d’obbligo che in tutte le città si tenessero le sfilate dimostrative del regime. Poi pian piano qualcosa iniziò a filtrare.

Da parte di chi?
Dei militari e delle forze di polizia che erano impiegati nell’evacuazione dell’area di Chernobyl. Informarono amici e parenti della realtà dei fatti dando il la al diffondersi delle prime voci. In breve tempo le donne e i bambini scapparono in altre regioni dell’Ucraina o della Russia. A metà maggio Kiev era mezza vuota. Per le strade giravano solo uomini. Molti di loro erano ubriachi perché in televisione i dottori dicevano di bere tanto vino rosso per contrastare l’effetto delle radiazioni. Penso che fosse un rimedio efficace. Mia madre faceva l’infermiera in un ospedale militare e per tre volte al giorno lo somministrava ai soldati che venivano ricoverati perché affetti dalle radiazioni.

Sono passati trent’anni. Se ne parla ancora qui in Ucraina?
Non molto. Ne parlano le persone che hanno vissuto sulla loro pelle quella tragedia, poiché sono preoccupate del fatto che il governo possa tagliare loro gli aiuti finanziari e i privilegi sociali di cui godono. Per il resto la gente non ci pensa più. Come dicevo prima, lo considera un retaggio di un’epoca ormai passata.

Conosce qualcuno che viveva nell’area di Chernobyl?
Nel tempo ho incontrato molte persone. Nella casa di campagna che ho comprato nella regione di Zhitomyr, a 80 chilometri da qui, viveva una famiglia proveniente dalla zona di alienazione. Metà degli abitanti del villaggio vengono da lì.

Come vivono a distanza di trent’anni quel dramma?
Non ne parlano granché, del resto è passato molto tempo. Sicuramente non è qualcosa che si dimentica, e alcuni hanno ancora parenti nei pressi della zona cui fanno spesso visita. Credo comunque che molti di loro siano contenti, oggi. Vivono in condizioni di vita decisamente più confortevoli rispetto a quelle del passato. La maggior parte è originaria dei villaggi situati a nord di Chernobyl, vicino al confine con la Bielorussia. Non vivono più in case vecchie bensì in abitazioni nuove costruite in mattoni, con acqua e gas.

A proposito di Bielorussia: filtra qualcosa sulla situazione delle aree colpite in quel Paese?
In Bielorussia non ci sono restrizioni all’accesso nelle zone contaminate e nessuno è stato reinsediato. All’inizio si ebbe la sensazione che la Bielorussia non fosse poi così colpita perché la nube radioattiva venne spinta dal vento verso nord, in direzione della Svezia. È chiaro tuttavia che anch’essa fu interessata dalle radiazioni. Nonostante ciò, non mi risulta che siano mai state intraprese operazioni speciali di decontaminazione del suolo e di controllo della salute delle persone. Bisogna poi considerare che non è mai stato pubblicato alcuno studio su quelle zone. Per questo è difficile sapere qualcosa al riguardo.

Veniamo alla gestione dell’emergenza. Come mai per così tanti giorni si tennero i civili all’oscuro di tutto? Cosa fece successivamente lo Stato?
Era il tipico modo di reagire dell’establishment sovietico. Coloro che erano al potere temevano la rapida diffusione del panico e del caos tra la gente. Qualcuno più tardi disse che a Mosca avevano considerato l’ipotesi di evacuare completamente Kiev. Fatti rapidamente due conti, capirono però che non c’erano i soldi per farlo, visto che allora la città contava ufficialmente tre milioni e mezzo di abitanti. Fu chiaro che le posizioni all’interno del partito erano contrastanti. Alla fine prevalse l’idea di chiudere solamente l’area più pericolosa attorno a Chernobyl e di costruire la nuova città di Slavutich per le persone impegnate nelle operazioni di bonifica successive al disastro.

Cosa si fece per gli sfollati?
Il programma di costruzione di nuove case non fu mai portato a termine. In tutti i villaggi dell’Ucraina dove il governo aveva previsto di collocare gli evacuati ci sono ancor oggi edifici mai completati. I finanziamenti finirono velocemente.

Si sta preparando qualcosa nel Paese per ricordare il trentesimo anniversario?
Non penso proprio. Nel caso non sarà nulla di eclatante. Il parlamento sta attraversando l’ennesima crisi politica. E poi abbiamo la guerra. Ogni giorno a causa dei combattimenti ci sono una decina tra morti e feriti. Solo dal lato ucraino, visto che sul fronte opposto non si è al corrente di quanto sta accadendo. Il che vuol dire, ancora una volta, mancanza di fondi.

La Russia sta attraversando una grave crisi economica, simile per certi versi a quella che interessava l’URSS a metà degli anni ‘80. Dobbiamo aspettarci un’altra Chernobyl?
È impossibile avere notizie sullo stato di sicurezza delle centrali nucleari russe. È più probabile incontrare per strada gente più informata su ciò che è successo a Fukushima che non su quello che accade nelle centrali russe.

Chernobyl e la letteratura: che diffusione ha avuto da queste parti Preghiera per Cernobyl del premio Nobel Svetlana Aleksievic?
Ne sono state pubblicate 2000 copie ed è ancora in vendita. Ma per diverse ragioni non è così famoso. È più conosciuto dagli intellettuali e dalle persone di mezza età, molto meno dai giovani. Purtroppo il mercato editoriale in Ucraina sta attraversando un brutto periodo a causa delle gravi condizioni economiche in cui versa il Paese.
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C’è qualcuno in Ucraina che in passato si è interessato al tema come la scrittrice bielorussa?
C’è stata una donna, della quale non ricordo il nome, che fece diversi viaggi nella zona scrivendo un reportage. All’inizio degli anni ‘90 si recò a Mosca, poi non so cosa le accadde perché non ne sentii più parlare e nessun libro fu pubblicato.

Successivamente c’è stato qualche cambiamento?
Negli anni sono stati scritti alcuni romanzi, a dire il vero di modesta qualità. Sono stati girati un paio di film, ma anche in questo caso il loro valore è piuttosto scarso. Sul piano culturale si può affermare che nella odierna società ucraina non c’è traccia di Chernobyl. Qualcosa però sta cambiando. Lo scrittore Andrei Kokotuha, per esempio, ha recentemente pubblicato un pregevole romanzo su Chernobyl tradotto anche in francese. Sono ottimista, prima o poi se ne tornerà a parlare.

Turismo a Chernobyl: cosa ne pensa?
Può essere un modo per cercare di capire, per cui ritengo che sia qualcosa di positivo. Sono una ventina d’anni che è possibile visitare la zona. Tutto è cominciato grazie a una persona che aveva i contatti giusti al ministero dell’Energia. Ottenne tutti i permessi del caso e da lì iniziarono i tour organizzati. Anch’io ci sono stato varie volte. Un’esperienza interessante, soprattutto grazie agli incontri con coloro che sono ritornati a vivere illegalmente nei loro villaggi. Si tratta di persone molto anziane che in cambio di qualche soldo parlano con i turisti e offrono loro un bicchierino di vodka. C’è stato spazio anche per qualche episodio divertente.

Racconti pure…
All’inizio erano soprattutto i giornalisti a recarsi nella zona. Una volta mi sono trovato in un gruppo di appena quattro persone. Tra questi c’era l’addetto di una televisione straniera. Andammo in un villaggio dove abitava solamente una signora ormai molto in là con gli anni. Arrivati a casa sua il giornalista sistemò in due angoli le luci per le riprese. La disposizione però non soddisfece la donna, che cominciò a spostare le apparecchiature a suo piacimento. Alla fine decise lei come e dove metterle lasciando di sasso lo stupefatto reporter. Una scena simpatica.

Quante sono le persone che oggi vivono illegalmente nella zona?
Circa 300. In passato però erano almeno 3000. In primavera vanno a coltivare i loro vecchi campi. In quel periodo gli elicotteri dell’esercito sorvolano l’area per mappare i villaggi dove si sono stabiliti. Ogni due settimane viene distribuito loro del cibo portato da fuori e una volta al mese ricevono la posta e la pensione. In caso di bisogno c’è la linea telefonica usata dai militari.

Per quale motivo ritornano a Chernobyl?
Per morire in quelle che un tempo erano le loro case, essere cremati laggiù e riposare per sempre accanto ai propri cari. L’unico modo che hanno per riappropriarsi di una terra che fu loro sottratta quando erano in vita.

(ha collaborato Laura Brunetta)

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