Mamie Louise Kimitete

Il 25 marzo 2020 ci ha lasciati Mamie Louise Kimitete, nata a Hatihe’u, nell’isola di Nuku Hiva alle Marchesi: avrebbe compiuto 81 anni il prossimo giugno. Insieme a Coco Hotahota, è la seconda grande figura della cultura polinesiana che se ne va quest’anno.
Il suo incredibile percorso riassume il movimento di rinascita del ‘ori Tahiti, la danza tradizionale polinesiana. Debutta a 16 anni con il gruppo Arioi di Mémé de Montluc, prima di raggiungere il gruppo Heiva di Madeleine Moua dove conoscerà Coco, Pauline Morgan e Joseph Uura.
Dopo la parentesi di una decina d’anni per seguire suo marito alle Hawai’i, passaggio che le farà comprendere l’importanza della trasmissione dei gesti della sua cultura, raggiunge nel 1981 l’appena fondato Te Fare Upa Rau, il Conservatorio.
Coreografa di vari grupppi (Tiare Tahiti, Temaeva, Temarama, Heikura Nui, Teva i Tai, Toa Reva, ‘Aha Tau), ha formato numerosi partecipanti al concorso individuale di danza della Heiva I Tahiti. Poetessa, ha scritto per più di trent’annni i testi cantati e interpretati a To’ata da migliaia dei suoi allievi.
Regnava nella sala di danza, suo cammino e sua passione: “La danza è la mia preghiera”, affermava. Esigeva una disciplina inflessibile, ma era anche la prima a prendere in braccio le bimbe che piangevano sperdute sul palco, insieme di rigore e gentilezza.
Ho conosciuto Mamie Louise quando era già in pensione, ma non sdegnava partecipare ai corsi di danza per elargire i suoi preziosi consigli. Mi ha subito detto che era di origine italiana, scherzando ho risposto che si capiva perché portava sempre un rametto di profumato miri (basilico) sull’orecchio, il cui verde risaltava sui capelli bianchi. Abbiamo simpatizzato, era sempre di buon umore, e quando andavo a salutarla durante i vari spettacoli, mi accoglieva con grandi abbracci.
“Sarà Coco a venirmi a prendere quando me ne andrò”, aveva affermato alla cerimonia funebre del suo amico; la povera Louise a causa del coronavirus (che però non l’ha contagiata) non ha avuto nessun onore, una semplice sepoltura in presenza dei soli familiari stretti, tanto da far piangere per questo il direttore del Conservatorio, Fabien Dinard.