Il Paese, diviso tra una maggioranza singalese e una minoranza tamil, è da qualche mese teatro di sanguinosi scontri razziali. Le testimonianze sono agghiaccianti: centinaia, forse migliaia di Tamil sarebbero stati massacrati con la complicità del governo di Colombo.

Le tragiche vicende accadute nello Sri Lanka durante lo scorso mese di luglio, quando nei confronti della minoranza tamila si è scatenato l’antico odio della maggioranza singalese, hanno richiamato l’attenzione mondiale sul durissimo conflitto etnico le cui cause meritano di essere meglio conosciute; anche perché, non interessando – almeno direttamente – le superpotenze che si contendono il pianeta in zone di influenza, il dramma di un popolo oppresso e perseguitato al punto da rischiare il genocidio può facilmente finire nel dimenticatoio. Cerchiamo di fare il punto della situazione analizzando, innanzitutto, le realtà etnolinguistiche del subcontinente indiano. A prescindere da alcune lingue ridotte ormai, purtroppo, allo stato residuale, le lingue indiane parlate nel subcontinente (oltre all’India propriamente detta, Pakistan, Stati hymalayani, Bangla Desh, Isole) vengono classificate in quattro grandi famiglie, molto diverse per origine e per rilevanza numerica: indo-europee, dravìdiche, munda e  tibeto-birmane.

Il ramo indiano dell’albero indoeuropeo è rappresentato dalle lingue indo-ariane, che costituiscono il gruppo più diffuso essendo parlate dal 78% della popolazione del subcontinente (ossia dalla quasi totalità dei Pakistani e dei Bengalesi, dal 73% degli Indiani, dal 70% degli abitanti dello Sri Lanka, dalla quasi totalità di quelli delle Maldive e dalla maggioranza dei Nepalesi), e interessando quasi tutto il Nord e l’Oriente della penisola. La famiglia indo-ariana comprende una dozzina di lingue ben individuate e molto sviluppate: Hindi (il quale, nella versione musulmana con alfabeto arabo, diventa Urdù; Hindi e Urdù sono chiamati Indostano, quando ci si riferisce alla lingua franca non scritta), Bengali, Assamese, Oriya, Marath, Gujarati, Sindhi, Punjabi, Kashmiri, Nepalese, Singalese.

La famiglia dravidica è tipicamente indiana, e costituisce la minoranza più forte (20% sul totale del subcontinente): 26% in India, 28% nello Sri Lanka (Tamili, appunto, e una parte dei “mori”), 0,2% in Pakistan. Essa comprende quattro lingue maggiori corrispondenti a quattro Stati dell’Unione: Telugu (Andhra Pradesh), Tamil (Madras e Sri Lanka), Kanarese (Mysore), Malayalam (Kerala).

La famiglia munda è parlata, soltanto in India, da meno dell’1,4% della popolazione (comunità tribali dell’altipiano di Chota Nagpour  parlanti l’insieme dei dialetti Khervari; nonché in un altro altipiano, nell’Assam, e nelle isole Nikobar, dove si parlano due idiomi Mon-Khmer, rispettivamente il Khasi ed il Nikobarese).

Meno diffuse ancora sono le lingue della famiglia tibeto-birmana, che penetrano in frange sulle montagne del Nord e dell’Est dell’India, dove sono parlate dallo 0,6% della popolazione.

 

Etnie e lingue dell’isola

Se dal subcontinente passiamo allo Sri Lanka (isola nota sino al 1972 con il nome di Ceylon), vi ritroviamo rappresentate le prime due grandi famiglie (indio-ariana e dravidica): il Singalese (lingua indio-ariana) e il Tamil o Tamul (dravidica), le due lingue tradizionali del paese.

Gli autoctoni, i Vedda, sopravvivono in ristrette aree della giungla orientale dove praticano la caccia nomade e la raccolta di frutta e radici. Abitano in piccole capanne o grotte, utilizzando paraventi o corteccia d’albero; il cane è il loro unico animale domestico. Sono in prevalenza monogami, con buona posizione della donna, e sono organizzati in piccole comunità o clan a successione matrilinea; sono esogami. In epoca remota hanno perduto la lingua originaria, adottando il Singalese che arricchiscono, però, con arcaismi sanscriti; sembra posseggano un linguaggio segreto (l’antica lingua?), usato soltanto per il culto dei defunti, che costituisce la base della loro religione. Conoscono l’arco e la freccia, la ceramica, oggi anche l’uso delle cotonate. Alcuni, vivendo nei villaggi o sulla costa, sono stati acculturati dai Singalesi e hanno appreso l’agricoltura , l’allevamento e la pesca di mare. Sono di piccola statura, hanno il naso relativamente largo e i capelli ondulati; caratteri questi che li fanno ritenere appartenenti a un ramo degli Australoidi. Sembra non siano più di quattromila.

I Singalesi si considerano i più diretti eredi degli autoctoni e si ritengono venuti dal mare in epoche remote (dal Nord dell’India); sono buddisti con residui di induismo, in parte convertiti al cristianesimo. Al censimento del 1981 risultano 10.900.000, e occupano principalmente le regioni centro-meridionali dell’isola. Alti e dolicocefali, ricordano per caratteri somatici gli Indù settentrionali, pur con infiltrazioni di sangue Vedda, sensibili specialmente nei Singalesi di Kandy (altipiani centro-meridionali); i Singalesi delle pianure, più numerosi, vivono di agricoltura, di commercio e di pesca d’alto mare. Vestono per lo più alla maniera birmana (lunga sottana, giacchetta di cotone o di seta); alcuni anziani portano ancora i capelli lunghi annodati o retti da un pettine. La letteratura in lingua singalese data dal XIII secolo, ma una fase arcaica del Singalese letterario è rappresentata dall’Elu; in cui esiste una notevole letteratura e i cui testi più antichi risalgono al X secolo d.C. Il singalese è parlato soltanto nell’isola, e questa sua “endemicità” (che lo differenzia notevolmente dalle altre parlate indo- ariane) esalta il nazionalismo nei parlanti, portati a considerare stranieri anche i Tamili di lontana immigrazione perché il Tamil è ben più strettamente legato alla famiglia linguistica continentale. Occorre ricordare che la lingua ufficiale delle Maldive, il Divehli (chiamato anche Mahl, o Malikh o Malki) è un dialetto singalese.

Il Tamil, come abbiamo visto, è invece una lingua dravidica dell’India dove è parlato da più di 30.560.000 individui (censimento del 1971), cui si devono aggiungere i 2.800.000 dello Sri Lanka (di cui 825.000 ritenuti “stranieri” perché immigrati nel corso dell’ultimo secolo), dove costituiscono la più forte minoranza. In India la lingua è parlata nella porzione più meridionale del Dekkan, dall’altezza di Madras sino al Capo Comorin, in un’ampia zona di territorio che si estende longitudinalmente dal mare orientale sino ai confini di Travancore; nello Sri Lanka caratterizza compattamente il distretto settentrionale, di cui la città di Jaffna è capoluogo. I Tamil sono di pelle scura, praticano l’agricoltura, il commercio e la pesca costiera. La lingua letteraria tamila si differenzia notevolmente dalla lingua parlata. La prima ha una tradizione illustre, risalendo ai primi secoli della nostra èra; a partire dal VII secolo, si hanno documenti del medio Tamil che nei secoli XIII e XIV avrà i suoi momenti più illustri. Il Tamil moderno inizia nel XIV secolo. È proprio dal Tamil che si sono staccate in seguito le altre lingue dravidiche, come rivela il nome stesso che risale a una forma originale dramila o damila, da cui la voce sanscrita dravida che designò l’intera famiglia, sia linguistica sia etnica, alla quale il Tamil appartiene. Nello Sri Lanka esistono altre minoranze: i Mori, e cioè immigrati dall’India, per lo più anche loro tamili, ma musulmani anziché induisti, dediti al commercio e alla pesca: sono più di un milione che, sommato ai Tamili, porta a quasi il 30% la consistenza di tale minoranza linguistica. Infine vi sono iMalesi, anch’essi musulmani, discendenti da indonesiani condotti dalla colonizzazione olandese, e i Burghers, eurasiani d’origine portoghese o olandese-singalese in maggioranza cristiani: questi due gruppi minori hanno abbandonato le loro lingue originarie (compreso l’Indio-portoghese) per l’inglese, e in totale costituiscono poco più dell’1%.

 

La prima indipendenza

Sotto la dominazione britannica, la questione linguistica era risolta dalla supremazia dell’inglese; le due lingue locali erano poste allo stesso livello di lingue d’uso e vernacolari. Tuttavia si notava una certa superiorità “di fatto”, sociale e culturale, della minoranza tamila, più colta e più attiva. La superiorità acquistata dai Tamili nell’economia, nell’amministrazione e nell’insegnamento suscitò, al momento dell’indipendenza, una forte reazione nazionalista singalese. L’indipendenza di Ceylon fu proclamata il 4 febbraio 1948 (cioè cinque mesi e mezzo dopo quella del Pakistan, e un mese dopo la birmana). La nuova bandiera sancì il primato singalese, poiché fu deciso di adottare il glorioso vessillo del regno di Kandy che seppe resistere per secoli, fieramente, ai colonizzatori portoghesi (XVI secolo) e olandesi (1763), sempre affermando la propria indipendenza. Durante le guerre napoleoniche, gli inglesi se ne impadronirono (1803), ma la guarnigione da essi posta a difesa della piazza fu costretta poco dopo alla capitolazione e fu soltanto il 2 marzo 1815 che il sovrano indigeno, definitivamente sconfitto, venne deposto ed ebbe cosi ufficialmente inizio la dominazione britannica su Kandy. La bandiera dell’ultimo sovrano venne portata in Gran Bretagna come bottino di guerra: vi figura un leone (Sinhadalipa), perché una leggenda narra che il principe Vijava, conquistatore ariano dell’isola nel VI secolo a.C., discendesse da un leone; gli antichi palazzi reali singalesi raffigurano leoni scolpiti, e una saga del XV secolo fa riferimento al vessillo col leone. Anche le foglie del pipul, l’albero sacro, una in ogni angolo della bandiera, sono un simbolo della maggioranza buddista: secondo la tradizione, Gautama avrebbe ricevuto l’illuminazione divina, diventando così il Buddha, dopo aver meditato sotto un albero di pipul. L’antica bandiera del regno di Kandy era già sventolata dagli indipendentisti singalesi prima del febbraio 1948. Lo Stato indipendente si adoperò subito per la promozione della lingua singalese nella scuola e nell’amministrazione, pur mantenendo l’inglese in posizione semiufficiale e come lingua d’uso amministrativo. Una parte considerevole degli abitanti tamili (per lo più residente fuori dal distretto settentrionale), considerata come straniera, si vide privata della cittadinanza e del diritto di voto. La comunità tamila si sentiva emarginata e non si riconosceva nel nuovo Stato che si sovrapponeva all’antico regno singalese di Kandy. Fu così che nel 1953 sulla bandiera, verticalmente nella parte all’asta, furono aggiunte due strisce contigue verde e arancione – così da formare un rettangolo bipartito – per rappresentare le minoranze musulmana (i Mori) e indù (i Tamili). La vittoria elettorale, nel 1956, dei partiti che avevano tra gli slogan il motto “soltanto il Singalese”, sancì l’inizio della caduta del Tamil, come si rileva da tre testi legislativi:

– la legge della “Lingua ufficiale” del 1958, entrata in vigore nel 1961, che cita soltanto il Singalese

– la legge sulla “Lingua tamila” del 1958, che autorizza un “ragionevole uso del Tamil per determinati scopi amministrativi” (tenuto conto che il Distretto del Nord è compattamente monolingue Tamil)

– la “legge per l’uso processuale” del 1961, che stabilisce l’uso giuridico possibile soltanto per il Singalese se le parti lo preferiscono all’inglese.

Si aggiunsero in seguito continui provvedimenti restrittivi per il Tamil, come la pubblicazione delle circolari ministeriali in Inglese e Singalese e non più anche in Tamil. A questa politica, la minoranza tamila oppose le istanze del plurilinguismo (“vogliamo più lingue ufficiali, come in Svizzera, Belgio, Canada”) e del federalismo. Il paese si spaccò in due: il Nord-Est, interamente Tamil, ed il Sud-Ovest dove l’enorme maggioranza singalese ridusse i Tamili a cittadini di serie B, o addirittura stranieri. Si cercò allora di mitigare l’urto tra i due blocchi, procedendo a censimenti etnici anziché linguistici. I Singalesi vennero distinti tra Kandyani (abitanti gli altipiani e le montagne dell’interno) e Singalesi della pianura; i Tamili, in “Tamili di Ceylon”, cittadini dello Stato, e “Tamili dell’India”, senza diritto di voto, discendenti da Indiani del Dekkan introdotti a Ceylon nel secolo scorso, soprattutto come lavoranti nelle piantagioni, e concentrati principalmente nel centro dell’isola, formanti cioè una rilevante “isola” in area storicamente singalese.

Infine, si distinsero i “Mori di Ceylon” (cioè musulmani sunniti, in prevalenza di lingua tamila) e “Mori dell’India” (cioè musulmani sciiti, venuti nell’India durante il secolo scorso, parlanti Goujrati o Urdu e quindi lingue indo-ariane). Vi erano poi le comunità di origine europea, di lingua inglese. L’incidenza della minoranza tamila variava quindi notevolmente, a seconda se si teneva conto soltanto della lingua, o anche dell’origine, della provenienza, della religione. Le statistiche però non potevano mascherare le divisioni, né la suddivisione delle etnie superare il pericoloso dualismo. La tensione tra le due maggiori comunità si aggrava sempre più, e il reciproco boicottaggio accentua il bipolarismo nell’isola. Ciascuna delle due comunità tende a superare le differenziazioni etniche dovute alla religione, ai fattori sociali e culturali, per presentarsi come forza compatta. Così i Tamili del Nord-Est, giunti nell’isola in tempi remoti, e quelli di relativamente recente immigrazione stanziati nel centro, benché tanto lontani e diversi per cultura e situazione sociale, solidarizzano tra loro mentre prima si ignoravano. Sull’altro fronte, i Singalesi kandyani e quelli delle pianure costituiscono ormai un unico gruppo. Sotto il profilo linguistico, tra i due blocchi contrapposti e in competizione, ha tratto profitto la lingua coloniale, l’inglese, che dopo una relativa eclissi negli anni Cinquanta è tornata a essere lo strumento linguistico più utilizzato nella vita politica e commerciale.

 

La signora Bandaranaike

Le vicende politiche del giovane Stato sono caratterizzate da un’alternanza al potere tra le forze progressiste e quelle conservatrici, e dalla ricorrente accusa, da parte del governo, rivolta agli oppositori battuti sul piano elettorale, di strumentalizzare il contrasto linguistico ed etnico per destabilizzare lo Stato e ordire trame eversive. Nel 1965, la signora Siriamavo Bandaranaike, leader del Partito della Libertà (SLFP), al potere da cinque anni, è battuta dal Partito Nazionale Unito (UNP), di destra; ma il 27 maggio 1975 si prende la rivincita, e l’UNP è travolto. Il premier D. Senanayake deve restituire l’incarico alla Bandaranaike che forma un nuovo governo di sinistra composto dallo SLFP, dal Lanka Sama Samaja (Trotskista) e dal Partito Comunista filorusso. Il Tamil è riconosciuto lingua ufficiale accanto al Singalese; l’inglese resta la lingua commerciale. Nel 1971 si ha la prima grande crisi: il Janata Vimurti Peranuma (JVP), extraparlamentare di estrema sinistra, è accusato di aver promosso un tentativo insurrezionale che viene soffocato nel sangue: il governo decreta una legislazione d’emergenza che sarà abrogata soltanto nel 1977. L’esecutivo si rafforza con l’abolizione della seconda Camera, il Senato, a maggioranza conservatrice (riforma costituzionale del 27 novembre 1971). Il 22 maggio 1972 è proclamata la Repubblica, mentre sino ad allora il capo dello Stato era il sovrano del Regno Unito; Ceylon non dipenderà più, nemmeno formalmente, dalla gran Bretagna, e cambia nome in Sri Lanka Janaraj (Sri, in Singalese, significa “venerabile” o “risplendente”). William Gopallawa, già Governatore (rappresentante della Regina del Regno Unito) dal 1962, è il primo presidente della nuova Repubblica. Il Singalese è l’unica lingua ufficiale, e il Tamil è nuovamente degradato a “lingua d’uso”. Dopo aver superalo una crisi di governo provocata dalla corrente di sinistra del Partito Comunista filosovietico, la Bandaranaike dovrà affrontare la conseguenza della discriminazione linguistica: a Jaffna, capoluogo del distretto del Nord (interamente Tamil), nel corso di disordini causati dalle rivendicazioni della minoranza, dieci persone perdono la vita e molte altre rimangono ferite (10-0l-1974). Il leader del JVP, Wieweera, è condannato all’ergastolo per i fatti del 1971 (20 dicembre 1974). Il governo accusa i gruppi dell’estrema sinistra di strumentalizzare la divisione linguistica per destabilizzare lo Stato e fomentare la guerriglia al Nord, dove frattanto sono nate formazioni tamile dichiaratamente separatiste. La Bandaranaike pone fuori legge tre formazioni politiche (28 gennaio 1975).

 

Jayawardene al governo

Le elezioni tenutesi il 21 luglio 1977 (come previsto dalla legislazione del 1972) capovolgono ancora una volta i rapporti di forza: il Partito della Libertà, al governo, è rovinosamente battuto, riducendo la sua stragrande maggioranza a uno sparuto gruppo di deputati; il Partito Nazionale Unito, che aveva svolto la campagna elettorale all’insegna di una riforma dello Stato in senso presidenziale e per il rafforzamento dell’esecutivo, conquista la stragrande maggioranza dei seggi. Il Fronte Unito dei Tamili passa da tre a diciassette deputati diventando il più forte partito d’opposizione. Scompaiono dal parlamento i partiti di sinistra. Il leader dell’UNP, Junius Richard Jayawardene, è il nuovo primo ministro. Tre giorni dopo le votazioni, avvengono gravi scontri tra le opposte forze politiche. La maggioranza al governo non ha riscontro nelle amministrazioni comunali, ancora controllate dal Partito della Bandaranaike. Il 25 luglio, il governo scioglie il consiglio comunale di Colombo e altre ottocento municipalità, che vengono commissariate. Agli scontri politici, si sovrappongono quelli etnici: il 24 agosto, dopo una settimana di gravi incidenti e tensioni in tutto il paese che hanno provocato almeno sessanta morti, il governo delibera il trasferimento in massa di 25.000 Tamili dalla zona di Colombo al Distretto del Nord. Poco dopo, il nuovo presidente cerca di allentare le tensioni abrogando la legislazione di emergenza in vigore dal 1971 (21 ottobre). Il 7 novembre viene promulgata la nuova Costituzione che sancisce la Repubblica presidenziale e il 21 dello stesso mese un’amnistia generale per tutti gli implicati nell’insurrezione del 1971 : anche Wieweera è liberato. Il 4 febbraio 1978, J.P. Jayawardene è proclamato nuovo presidente della Repubblica (al posto di W. Gopallawa che morirà nel 1981) con amplissimi poteri, e nomina primo ministro Ranasingle Premadasa. Il Fronte Unito Tamil e il Partito della Libertà boicottano la cerimonia.

Per soddisfare almeno in parte le recriminazioni della minoranza etnica, la lingua tamila è riconosciuta come “nazionale”, ma in subordine al Singalese; grande importanza è riconosciuta all’inglese che torna anche lingua dell’amministrazione. Il governo presidenziale si rivela sempre più repressivo e il 9 ottobre 1978 decreta la soppressione totale del diritto di sciopero nel pubblico impiego, e nel privato se lo sciopero è politico. Nel Nord e nell’Est, i movimenti separatisti tamili si radicalizzano: inizia una vera lotta di liberazione. La Camera dei Rappresentanti (col voto contrario del Fronte Unito Tamil e del Partito della Libertà) attribuisce poteri eccezionali al Governo per combattere i movimenti separatisti nel distretto settentrionale (19 luglio 1978). La situazione si va facendo sempre più critica. Nell’agosto 1980 (i mesi estivi sono sempre quelli più drammatici per i governi al potere nello Sri Laka) scoppiano gravi disordini a Colombo per il licenziamento di ben 40.000 dipendenti pubblici: il governo autorizza la polizia a sparare. In ottobre il governo accusa il Partito della Libertà, battuto alle elezioni di tre anni prima, di aver ordito un vasto complotto sovversivo e proclama lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale. Nei fatti, l’UNP si avvia a essere partito unico eliminando le opposizioni: prima quanto rimane dell’SLFP per passare poi all’attacco del partito etnico Tamil. La signora Bandaranaike è accusata di malversazione e di abuso di potere durante la sua presidenza (1960-65 e 1970-77): la Camera dei Rappresentanti con 139 voti contro 18 (molti deputati tamili, quindi, hanno votato per la vecchia signora) approva la proposta di privarla del mandato parlamentare e, per sette anni, dei diritti civili; una Commissione presidenziale aveva poco prima ritenuto valide le accuse. La Corte suprema respinge il ricorso della Bandaranaike che sembra così uscire dalla scena politica (15 gennaio 1981); anche 27 membri del precedente governo vengono incriminati. Le elezioni amministrative indette dopo quattro anni di commissariato si concludono il 3 giugno 1981 tra i disordini; il governo assume poteri straordinari e a Jaffna decreta il coprifuoco, mentre in tutto il paese la polizia è posta sotto il diretto comando dell’esercito. Il 17 agosto, avvengono ancora nuovi scontri tra Singalesi e Tamili, particolarmente gravi a Jaffna, che provocano una decina di vittime. Nel dicembre 1982 per poco non si capovolge, una volta ancora, la situazione: alle elezioni presidenziali che vedono Jayawardene vittorioso, il candidato delle opposizioni, malgrado l’emarginazione e l’impossibilità di svolgere liberamente la campagna elettorale, raccoglie ben il 47% dei suffragi. Jayawardene ha comunque il mandato per governare altri sei anni con poteri pressoché assoluti.

 

Gli ultimi avvenimenti

Il 23 luglio 1983, tredici militari – ritenuti dai locali forze d’occupazione – sono uccisi dai terroristi tamili nei pressi di Jaffna. È questo il detonatore che dà il fuoco alle polveri. I Singalesi rispondono trucidando 35 Tamili prigionieri nel carcere Welikade della capitale Colombo, dove si scatena l’odio nei confronti della minoranza. Il giornale norvegese “Verdens Gang” pubblica questa testimonianza di una turista tornata in quei giorni: “Un minibus pieno di Tamili è stato fermato proprio davanti a noi, a Colombo. Una folla singalese ha innaffiato il minibus di benzina, poi gli ha dato fuoco. La folla ha bloccato le porte impedendo ai Tamili di uscire. Centinaia di persone hanno assistito a questa scena di una ventina di Tamili bruciati vivi. Noi non possiamo credere veritiere le fonti ufficiali secondo le quali le vittime non son più di sessanta-settanta. Centinaia e centinaia, forse migliaia di persone sono già state uccise. Le case, i negozi, le fabbriche appartenenti ai Tamili sono state bruciate dalla folla inferocita. Quando noi siamo partiti, Colombo bruciava. La strada sino all’aeroporto ci è apparsa per sei ore come un solo braciere. Bande di giovani fermavano le automobili di passaggio e se erano di Tamili, le bruciavano. Tuttavia, gli stranieri bianchi non erano né minacciati né molestati. Abbiamo incontrato un gruppo di Svedesi che ci ha detto di aver visto delle persone innaffiare i Tamili di benzina e poi darvi fuoco. Non c’era alcuna pietà. Donne, bambini e vecchi sono stati massacrati; la polizia e i soldati non hanno fatto nulla per fermare il genocidio”.

Un secondo massacro avviene nel carcere di Colombo ed è rivelato il 28 luglio dallo stesso presidente: altri 17 prigionieri sono assassinati, tra i quali il settuagenario capo del “Fronte di Liberazione Tamil” (TELEF), Somasunderam Raja- sunderam, arrestato a Jaffna il 1° luglio per aver organizzato una manifestazione proibita. Il 4 agosto viene sancita la decadenza dei deputati sospetti di separatismo; i tre partiti di sinistra sono messi fuori legge: il Fronte di Liberazione Popolare, accusato di aver fomentato l’insurrezione, già tentata nel 1971, e i due partiti comunisti che avevano fatto parte del governo della Bandaranaike, il trotskista e il filosovietico, non più rappresentati alla Camera. Una volta ancora, il governo criminalizza le opposizioni, accusandole di strumentalizzare le divisioni etnico-linguistiche. Diciotto dirigenti dei tre partiti messi fuori legge sono arrestati, altri tredici ricercati. La repressione minaccia anche i moderati del Tamul United Operation Front; ormai il separatismo, espresso anche soltanto come opinione, costituisce reato punibile con la perdita dei diritti civili e l’impedimento a esercitare la professione. Un emendamento alla Costituzione è presentato in tal senso. Aumentano anche le tensioni sociali: il prezzo degli alimenti fondamentali è quadruplicato, mentre le paghe non sono neppure a livello di sussistenza. Ad esempio nelle piantagioni di tè di Nuwara-Elyia, tra Colombo e Kandy, le raccoglitrici debbono raggiungere i 18 chili di foglie e di germogli per guadagnare il salario giornaliero; 15 rupie, circa mille lire. Molti centri si svuotano, migliaia di Tamili, pigiati nei bus, si dirigono a Colombo per imbarcarsi verso Jaffna, mentre dal Nord partono i pochi Singalesi colà residenti. Molti Tamili lasciano l’isola e fuggono all’estero. In minoranza nello Sri Lanka, i Tamili sono largamente maggioritari nell’emigrazione. In questi ultimi mesi la Francia è divenuta la terra d’elezione dei militanti politici tamili che prima si rifugiavano in Gran Bretagna. La maggior parte di essi raggiunge Parigi clandestinamente, attraverso l’Italia o il Belgio, i soli paesi che sembra siano disposti a concedere loro il visto. A Parigi ora i Tamili sono circa novemila, mentre i Singalesi soltanto poche centinaia. I fatti del loro lontano paese hanno avuto un’eco tragica anche a Parigi, dove alcuni giovani delle due comunità nemiche sono stati trovati uccisi. I Tamili di Parigi celebrano le loro due festività nazionali, a gennaio e a settembre, ospiti di un salone parrocchiale e gestiscono un’ora di trasmisisione in lingua tamila a Radio Soleil. Nel 13° Arrondissement ha sede il centro di coordinamento che rivendica la separazione e quindi l’indipendenza del loro Stato. In Tamil, l’isola di Ceylon si chiama Eelam.

 

I movimenti elettorali nello Sri Lanka dal 1970 al 1977

 

27. V. 1970              21. VII. 1977

 

 

Partito della Libertà (SLFP)

(sig.ra Bandarainaike)               SEGGI              90             8

 

Partito Nazionale Unito (UNP)

(Senanayake poi Jayawardene)                           17         139

 

Lanka Sama Samaya (LSS)

(P.C. Trotskista)                     – sinistra unita       19             0

Partito Comunista (filosovietico)                          6             0

 

Fronte Unito dei Tamil                                          3           17

Partito Federale                                                    12            1

Altri                                                                       4             1

 

 

Bibliografia

J.L. Breton Roland, Les langues de l’Inde depuis l’indépendance (Inde, Pakistan, Ceylon, Nepal), 2 vol., Aix-en-Provence, La Pensée Universitarie, 1964.

W.H. Wriggins, Ceylon: Dilemmas of a New Nation, Princeton, UP, 1960.