La drammatica storia del popolo irlandese: l’esempio forse più macroscopico e clamoroso in Europa del persistere di una pervicace mentalità colonialista, fatta di occupazione militare, politica, culturale ed economica, nei confronti della nazione celtica che, dopo ottocento anni di tenace resistenza agli Inglesi, non si è ancora rassegnata a rinunciare alla propria libertà e alla propria unità.

L’Irlanda venne smembrata in due Stati distinti solo in epoca recente, nel 1920, dopo che era stata riconosciuta come unità per più di 1500 anni: non a caso viene considerata la prima nazione a nord delle Alpi che abbia prodotto un corpo completo di letteratura in lingua madre. La monarchia nazionale degli Alti Re (“Ard Ri”), provenienti in genere dall’Ulster, è precedente alla monarchia inglese.

L’inizio delle invasioni anglonormanne risale alla seconda metà del XII secolo (1169), ma, nonostante la proclamazione di Enrico II Plantageneto Re d’Irlanda, fino al 1600 gli invasori non riuscirono ad infrangere il sistema gaelico di organizzazione sociale (e la relativa legislazione) a causa della strenua e valorosa resistenza popolare. Questa resistenza, durata quindi circa 800 anni, non potè impedire però la conquista del Paese da parte dei Tudor, dopo che la guerra delle Due Rose aveva lasciato per un certo tempo l’Irlanda ai margini degli interessi inglesi. Enrico VIII si fece nominare a sua volta Re d’Irlanda (1541). Quale promotore della Riforma Anglicana contribuì, seppur involontariamente, al processo di identificazione tra cultura gaelica e cattolicesimo che, in questo periodo, porterà ad una disordinata e rovinosa gestione delle rivolte, promosse da preti e capi clan e soffocate da una repressione sempre più dura e intransigente.

Il coinvolgimento del Papato e degli Spagnoli nel conflitto (durante il regno di Elisabetta I) proietterà sulla lotta degli Irlandesi l’ombra del “tradimento”, del complotto al servizio di potenze reazionarie in un periodo in cui erano ancora vivi nella memoria degli Inglesi gli orrori dell’inquisizione e i delitti di Maria la Cattolica detta la Sanguinaria. In conseguenza della sconfitta subita (decisiva la battaglia di Kinsale), le terre dei capi clan dell’Ulster vennero confiscate dai colonizzatori inglesi e scozzesi, generalmente ex soldati delle forze di occupazione. La città di Derry diventò “Londonderry”. Va ricordato che molti coloni erano scozzesi, quindi appartenenti alla stirpe celtica, parlavano una lingua simile, possedevano le stesse leggi e la stessa letteratura degli Irlandesi. Si differenziavano soltanto per la religione (presbiteriani). Dal canto loro, i colonizzatori inglesi erano anglicani. È con questa opera pianificata di espropriazione e confisca che prese avvio il metodo della “piantagione”, ossia quello di trapiantare nelle colonie ribelli una popolazione “lealista”, fedele alla corona: circa 200.000 coloni, al 90% scozzesi. Gli indigeni restarono a lavorare sulle loro stesse terre come manodopera, spesso in veste di affittuari.

Nel 1641 una rivolta per l’indipendenza e la libertà di religione portò alla costituzione del Parlamento Nazionale di Kilkenny. Nel 1649 la brutale e sanguinosa repressione di Oliver Cromwell, alla testa dell’esercito puritano, mise fine alla rivolta ed una ulteriore confisca favorì la nascita di una nuova classe di proprietari terrieri protestanti. Ebbe così inizio un processo di diversificazione tra l’Ulster, a cui vennero concessi particolari privilegi per favorire lo sviluppo dei commerci e delle attività produttive, ed il resto dell’Irlanda che sprofondò nella miseria a causa dello sfruttamento coloniale. Il 1690 è l’anno della battaglia del fiume Boyne e della vittoria di William d’Orange contro gli Stuart, di recente restaurazione (1685) e di simpatie cattoliche (e quindi alleati dei capi irlandesi).

Nel corso di un secolo, dal 1603 (fine della dinastia Tudor) al 1691 (trattato di Limerik), le terre di proprietà irlandese si erano ridotte dal 90% al 14% e in seguito diminuirono ulteriormente. Un duro colpo fu assestato da Londra con le famigerate “Penal Laws” con cui si privarono i cattolici anche dei diritti politici. Inoltre erano esclusi da ogni tipo di attività remunerativa e di prestigio (carriera militare, pubblica amministrazione, attività intellettuale, corporazioni municipali, ecc.). Durante il XVIII secolo le idee democratico-repubblicane influenzarono indistintamente gli Irlandesi, sia cattolici che presbiteriani, anche per effetto della rivoluzione americana, prima, e di quella francese, poi. (In questa epoca cominciarono a diffondersi anche numerose società segrete di resistenza tra i contadini).

Nel 1791 venne fondata la società degli Irlandesi Uniti dichiarata illegale nel giro di tre anni. Uno dei maggiori leaders degli “Irlandesi Uniti” fu Theobald Wolfe Tone, un protestante, onorato anche ai nostri giorni come uno dei primi e maggiori padri del repubblicanesimo. Contemporaneamente anche il potere coloniale si organizzava: nel 1795 venne fondato, inizialmente nella contea di Armagh, l’Orange Order, società segreta settaria, strutturata in logge, a difesa dei privilegi dei protestanti. Tre anni dopo (1798), un’insurrezione provocata dagli “Irlandesi Uniti” venne repressa nel sangue (circa 30.000 morti). Nell’Ulster anche molti protestanti (i presbiteriani) si erano armati ed avevano combattuto a fianco dei cattolici per una repubblica irlandese. Il 1798 segnò la sconfitta del movimento, che vedeva diffondersi e radicarsi anche tra i protestanti il sentimento repubblicano, insieme ad atteggiamenti non settari ed egualitari. Questo fu il risultato dell’azione congiunta della repressione britannica e della diffusione dell’orangismo.

Nel 1800, con l’Atto dell’Unione tra Irlanda e Gran Bretagna, venne costituito il Regno Unito. Dopo aver soppresso il Parlamento irlandese, peraltro provvisto di poteri molto limitati, gli Inglesi cercarono di diffondere tra i protestanti la paura di subire persecuzioni in caso di vittoria dei repubblicani. Nonostante questa propaganda terroristica, molti di questi parteciparono al movimento della Giovane Irlanda verso il 1840, e al movimento costituzionale dell’Home Rule (autogoverno) del 1870.

Nella prima metà del XIX secolo, si sviluppò un vero e proprio movimento di massa per l’emancipazione dei cattolici che portò tra l’altro alcuni deputati irlandesi a Westminster. Dal 1845 al 1849 l’isola fu colpita da una grande carestia, conseguenza di una serie di cattivi raccolti della patata, principale alimento dei contadini. Essa provocò una diminuzione del 30% circa della popolazione irlandese nel giro di venti anni, dal 1841 al 1861. Tra il 1846 e il 1851 i morti per fame e malattie furono 1.500.000, gli emigrati più di un milione. Nell’Ulster la carestia provocò l’inurbamento di larghi strati della popolazione cattolica. Questo scatenò la reazione dei lavoratori protestanti, timorosi di perdere i posti di lavoro e aizzati dal clero presbiteriano e degli orangisti.

Nella seconda metà dell’800, i Fenians (movimento fondato in Canada e Stati Uniti da emigrati irlandesi), forti dell’esperienza acquisita combattendo nella guerra civile americana, rientrarono in patria, ove, nel 1867, tentarono un moto insurrezionale che venne stroncato sul nascere. Contemporaneamente andava sviluppandosi un vasto movimento contadino per la riforma delle leggi sui fitti e sulla proprietà della terra: tra i suoi leaders, il protestante Charles S. Parnell. Vista l’entità dei successi elettorali riportati dai nazionalisti, il Primo Ministro inglese Gladstone, liberale, si dichiarò favorevole alle richieste di “Home Rule” (autogoverno, anche se sotto la corona inglese) avanzate da Parnell e dagli altri deputati irlandesi. In risposta il partito conservatore (i “tories”) scatenò e fomentò la “questione dell’Ulster” in funzione antiliberale (il padre di Winston Churchill, Randolph, ad esempio, incitava alla rivolta i protestanti). Tutto questo contribuì alla nascita del gruppo paramilitare protestante denominato Ulster Volunteers. L’“Home Rule” venne respinto e Gladstone si dimise (1866). Questa data rappresenta l’atto di nascita dell’“unionismo protestante” politicamente organizzato. Da notare che le varie campagne di incitamento alla violenza settaria da parte dei “tories” coincisero con i periodi in cui era al potere il partito liberale (1866, 1893, 1912-14). Si può dire che le minoranze anglicane e presbiteriane in Irlanda vennero armate e cinicamente usate in funzione delle battaglie per il potere dei due partiti inglesi.

Tra il 1913 e il 1914, nel corso di una serie di lotte sindacali, a Dublino si formarono la Irish Citizen Army, una milizia operaia al comando di James Connoly e la lega degli Irish Volunteers, conosciuta in seguito come Irish Republican Army. Assieme al Sinn Fein (“noi stessi”, fondato nel 1905), all’Associazione Gaelica di Atletica ed alla Lega Gaelica (sorta nel 1893 per promuovere la rinascita della lingua irlandese, sul punto di scomparire dopo la “Grande Fame”), donarono nuovo impulso alle lotte per l’autodeterminazione del popolo irlandese. Il 24 aprile 1916, lunedì di Pasqua, gli “Irish Volunteers” di P. Pearse e l’“Irish Citizen Army” di James Connoly occuparono con le armi l’Ufficio Generale delle Poste. Dopo una settimana di aspri combattimenti, l’esercito britannico soffocò la sollevazione. Pearse, Connoly e altri 14 capi della rivolta vennero giustiziati, ma la legge marziale, la ferocia delle truppe mercenarie (i Black and Tans), le torture, gli internamenti e le deportazioni, invece di sradicare il nazionalismo rivoluzionario, provocarono un grandioso risveglio di solidarietà reciproca e sentimento nazionale tra gli Irlandesi, sentimenti alimentati poi dall’introduzione della coscrizione obbligatoria nel 1918. In questo anno, in dicembre, il “Sinn Fein” aveva ottenuto 73 dei 105 seggi irlandesi nelle elezioni generali britanniche. Il 21 gennaio 1919 i candidati del “Sinn Fein” convocarono a Dublino un Parlamento irlandese (Dail Eireann) democraticamente eletto dal popolo irlandese. Venne dichiarata l’indipendenza e sancita la costituzione della Repubblica d’Irlanda. Il “Dail Eireann” fu dichiarato illegale da un proclama militare britannico. Si scatenò ancora la repressione e l’“I.R.A.” si oppose con la guerriglia aperta e di massa al terrore britannico.

Nel 1920 (elezioni per il governo locale) il “Sinn Fein” ottenne l’80% dei seggi. Infine, nel dicembre del 1920, la Gran Bretagna, col Governement of Ireland Act, istituì due Parlamenti distinti: uno a Belfast, per 6 delle 9 contee dell’Ulster, e uno a Dublino, per le altre 26 contee dell’isola. La guerra continuò fino al 1921, quando i rappresentanti del governo clandestino del “Sinn Fein” accettarono (sotto la minaccia del Primo Ministro inglese Lloyd George di scatenare una guerra) di firmare un accordo che concedeva all’Irlanda lo status di “dominion” e una larga autonomia, ma sanciva la divisione dell’isola. L’ala del “Sinn Fein” capeggiata da De Valera non accettò il trattato e scatenò la guerra civile, durata fino al ’23.

L’Irish Free State diventerà Repubblica d’Irlanda (EIRE) nel lunedì di Pasqua del 1949.

Un incontro con Alex Maskey

Alex Maskey, noto esponente del “Sinn Fein” di Belfast, è un ex detenuto politico. È stato eletto nel 1985 ad Andersonstown, quartiere-ghetto cattolico, unito al centro di Belfast dalle “Falls’’ (Falls Road). L ‘arteria repubblicana, famosa per i suoi “murales”, è la prosecuzione di Divis Street, lungo cui sorge Divis Flats, probabilmente l’agglomerato di casermoni più “combattivo ” d’Europa. Avendone letto, a suo tempo, la notizia sulla stampa, gli chiedo come sia andato il giorno del suo insediamento: entrando nell’aula con gli altri eletti del “Sinn Fein ”, si vide accogliere dai rappresentanti dei quartieri unionisti di Belfast armati di bombolette spray deodoranti, Appena questi ne fecero uso, con chiari intenti allegorici, da buoni razzisti, si scatenò una rissa. La casa è modesta, non certo da “burocrate“ o dirigente di partito, e rivela l’estrazione popolare dei suoi abitanti; unico  “lusso “, una splendida coppia di setter irlandesi. Gli chiedo che cosa abbia per lui significato l’esperienza di presentarsi candidato e venir eletto, se ora si sente ancora altrettanto legato alla sua gente o se si ritiene un “capo”, un privilegiato… Afferma che la sua legittimità di rappresentante della gente di Andersonstown deriva in primo luogo dal condividerne quotidianamente la medesima condizione. Rivendica di essere stato per anni disoccupato 1 e, quindi, di conoscere e capire i problemi dei numerosissimi disoccupati del quartiere, di essere stato prigioniero politico e, quindi, di potersi occupare dei problemi dei detenuti e delle loro famiglie. Conclude, sostenendo che i militanti del “Sinn Fein” non sono dei “politicanti”, sono dei rivoluzionari. Informo il mio interlocutore di aver “esplorato” in mattinata Shankill Road e le altre zone abitate dagli operai protestanti e di avervi ritrovato una situazione socio-ambientale non molto diversa da quella dei ghetti cattolici, appena un po’ più decorosa; chiedo a Maskey cosa ne pensa. Mi risponde che, in effetti, per i repubblicani è questa la cosa più “seccante”, la contraddizione più odiosa: dover lottare per la propria liberazione anche contro altri lavoratori come loro. Purtroppo sono proprio questi “bianchi poveri” (di stirpe celtica, oltretutto!) ad essere coinvolti dalla classe dominante protestante e dal colonialismo britannico nella difesa dello “status quo”, in cambio di modesti privilegi, quali la garanzia di un posto di lavoro o di un alloggio decente. È qui che il predicatore Ian Paisley trova il suo pubblico più attento quando descrive i “papisti” come pigri e ignoranti (oltre che superstiziosi, troppo prolifici e strumento di una congiura internazionale cattolico-comunista). Da questi quartieri proviene la maggior parte dei militanti e miliziani dell’UDA (Ulster Defence Association) e dell’UVF (Ulster Volunteer Force) i cui metodi, a base di omicidi e squadroni della morte, ricordano quelli del K.K.K. Alex Maskey aggiunge che per un protestante l’essere povero è in genere un fatto individuale o comunque circoscritto (come per i bianchi “poveri” del Sudafrica, in ogni caso privilegiati in fatto di assistenza, sussidi ecc.), mentre per i cattolici è un fatto generalizzato, di massa. Certamente, con l’auspicata vittoria del movimento repubblicano verranno a cadere i privilegi, l’autentico “apartheid” in vigore per assunzioni nei posti di lavoro e per assegnazioni di case. La fine della discriminazione potrebbe, in un primo tempo, aggravare i conflitti etnici; in prospettiva, però, dovrebbe favorire la ricomposizione delle classi subalterne irlandesi (cattoliche o presbiteriane) su comuni obiettivi di giustizia sociale, uguaglianza politica, lotta comune contro le forze neocoloniali. Senza dimenticare inoltre che le due comunità, oggi antagoniste, sono entrambe di origine celtica e hanno lo stesso retroterra etnico, culturale e linguistico. Ad una mia domanda in proposito, risponde che considera la solidarietà internazionale indispensabile (cita i recenti riconoscimenti da parte di partiti e organizzazioni umanitarie europee dopo la presentazione a Strasburgo di alcuni documenti sulla violazione dei diritti umani da parte degli Inglesi nell’Irlanda del Nord: proiettili di plastica, perquisizioni corporali, processi senza giuria, torture ecc.), ma questa lotta di liberazione resta prima di tutto la loro lotta: non accettano strumentalizzazioni, lezioni e interpretazioni facili e schematiche. Baschi, Palestinesi e neri di Azania (Sud Africa) sono i popoli a cui si sentono più legati (cita anche i Corsi, i Kanaki, i Pellerossa…). Gli chiedo quindi un giudizio sui politici di Dublino. Diplomaticamente, fornisce dati e statistiche sui costi che comporta, per lo Stato irlandese, il mantenimento di una frontiera così innaturale. Queste spese potrebbero trasformarsi in investimenti utili a frenare la crisi economica e l’inflazione (o a ridurne gli effetti). Ricorda che ormai la crisi si avverte anche al nord, anche da parte di una consistente fascia sociale protestante. Conclude raccontando come in passato il governo irlandese si sia dato molto da fare per ottenere la liberazione di alcuni mercenari inglesi detenuti in Angola, molto di più di quanto non si occupi degli Irlandesi prigionieri nelle carceri di Sua Maestà britannica.

 

Note

1 Nel 1979, su una forza lavoro di 623.000 unità nell’Ulster, c’erano 59.700 disoccupati; nell’81 erano già 85.000. A Derry it tasso di disoccupazione era (nel 1979) del 12,5% e continua ancora ad aumentare. Inoltre la maggior parte degli occupati erano donne (perchè “costavano” circa la metà) con relativi problemi di identità degli uomini, disgregazione familiare, alcoolismo ecc.

 

“Strip-searches”

Da quattro anni, nelle carceri femminili dell’Irlanda del Nord, viene praticata una misura di repressione supplementare contro le prigioniere repubblicane: le “strip-searches”, perquisizioni tramite denudamento. Più volte durante la settimana, le prigioniere nazionaliste, anche se incinte, vengono costrette a spogliarsi completamente davanti agli sguardi e fra i commenti delle guardiane “unioniste” protestanti e, quindi, esaminate minuziosamente, anche con umilianti perquisizioni intime. Sebbene dal 1982 ad oggi tali perquisizioni siano state più di 2000, le autorità carcerarie hanno trovato addosso alle detenute solamente una boccetta di profumo ed una banconota da 5 sterline. Questo dimostra, perciò, che le “strip- searches” non sono assolutamente un “necessario ed efficace” strumento di controllo all’interno del carcere, come continuano ad affermare i responsabili del governo inglese, ma un mezzo di intimidazione psicologicamente traumatico per fiaccare e indebolire la volontà e la capacità di resistenza delle detenute cattoliche. Contro questa pratica vessatoria, inutile e mortificante, è in corso una larga mobilitazione per sensibilizzare l’opinione pubblica europea.