Fatichiamo a capire perché, ogni volta che i globalisti radical chic si inventano una delle loro fesserie repressive, il resto del mondo attacchi a gridare contro la censura e la “polizia del pensiero”. Succedesse ogni tanto, ma i cameragni ne sfornano una alla settimana e son tutte un fallimento. Prima c’era questo UNAR che, se ho capito bene (ma non ho approfondito per puro disinteresse), era la testa di ponte della propaganda gender e finanziava sex club omosessuali. Poi è arrivato l’AgCom con le sue multe salate ai media che si macchiano di “reati d’odio”, rivolte cioè a chi osi lamentarsi delle categorie care a una parte politica minoritaria nella Repubblica Italiana.
Per noi giornalisti, poi, c’è la speciale ciliegina della formazione professionale continua. L’anno scorso, in penoso ritardo sull’acquisizione dei crediti, ho dovuto fare una full immersion nei corsi di deontologia, quasi tutti, che strano, dedicati alle fake news. Lungi dal sapere l’unica cosa che c’è da sapere – ossia che la disinformazione è, da sempre, semplicemente ciò che afferma il tuo avversario politico – gli esperti selezionati dall’Ordine fanno parecchi salti mortali dialettici per convincerti che le notizie false 1) circolano quasi esclusivamente in internet (essendo i giornali quasi tutti progressisti) e 2) sono state inventate da Donald Trump. Alla fine della lezioncina, tu che magari hai decenni di esperienza nel decrittare ciò che sta dietro notizie e fatti geopolitici, ti trovi come un coglione a mettere le X giuste sulle risposte preconfezionate da qualche espertino di social network. (Con qualche limite umano: quando ho visto che un corso sulle bufale era tenuto dal capo ufficio stampa della Boldrini, mi sono rifiutato di seguirlo.)
Ma, come si diceva, fatichiamo ugualmente a capire i motivi di tanto allarme. Queste trovate radical, questi tentativi di imbavagliare il prossimo, sono patetici. Cerchiamo di ridare ai fatti le giuste proporzioni: si tratta di iniziative (abbastanza disperate) di un partito, il PCI, che sta scomparendo, che è contro la gente e quindi non viene più votato dalla gente, che viene pilotato da poteri economici e politici di cui sembrano ignari tutti i suoi seguaci e persino una parte della dirigenza (quelli che difendono l’invasione islamica e fanno i femministi o i genderisti, sono nell’1% dei casi astuti criminali e nel 99% decerebrati). L’importante è infischiarsene dei loro comandamenti e continuare imperterriti a dire e scrivere ciò che ci pare. Il vocabolario politicamente corretto è bensì ignobile e irrispettoso nei confronti delle categorie che pretende di tutelare, ma è anche – ormai – universalmente considerato ridicolo, grottesco, farsesco, oggetto di burle e barzellette. Oggi, quasi  tutti chiamano “risorse” gli asilanti e “scafisti” le ONG.

agcom bavaglio
Differenza tra fascismo e antifascismo sul concetto di libertà d’espressione.

Esistono anche motivazioni scientifiche e “professionali” per mandare a quel paese la polizia linguistica. Chi, come noi, si occupa di popoli e di etnie – cioè l’argomento fissazione dei sedicenti progressisti – sta nel mirino del politically correct. Ma non ci interessa minimamente che una mezza dozzina di società antropologiche abbia cancellato il concetto di “razza” per decreto (così come della razza i loro bisnonni avevano fatto una famigerata bandiera sotto il regime precedente), poiché con questo termine si intendono le varietà fenotipiche della specie umana. Si tratta di differenze che non riguardano più i “vecchi” antropologi fisici (Biasutti, Mantegazza, Sergi, eccetera), alla ricerca di precise quanto impossibili classificazioni razziali, quanto i moderni ricercatori medici, biologi, genetisti, farmacologi, che nelle loro attività di laboratorio, così come nei titoli delle loro pubblicazioni accademiche, sono costretti a fare riferimento ai caratteri razziali quando questi comportano varianti biologiche fondamentali per la riuscita delle ricerche.
D’altra parte ho visto con i miei occhi un referto di analisi della USL 8 Arezzo riportare un valore del sangue con un doppio parametro: uno normale e uno  – udite – “in caso di etnia nera”. Ditemi, esiste una etnia nera? L’etnia non era forse un fatto squisitamente culturale, giacché – come dicono le geniali società antropologiche italiane – “esiste una sola razza, quella umana”? Non era più semplice scrivere “razza nera” ed evitare la figura dei fessi? Figura che tocca inevitabilmente a tutti quelli che vogliono eliminare una realtà cancellandone il vocabolo. E allora facciamo così: visto che avete fatto sparire le razze con la bacchetta magica, togliete anche dalle scatole il termine “razzismo”, così viviamo tutti più tranquilli e voi avrete più tempo da dedicare al lavoro.
Insomma, noi continueremo a impiegare il termine razza quando e come ci farà più comodo, perché in primissimo luogo siamo studiosi, non certo per fare dispetto a qualcuno. Così come continueremo a scrivere “zingari”, piaccia o meno all’Ordine dei giornalisti. Per noi il termine è quello ufficiale per descrivere un gruppo che non può essere sinonimo di sinti o rom, comprendendoli entrambi. Quanto a “nomadi”, etnicamente non vuol dire nulla, tanto più che molti di loro non lo sono affatto.
E veniamo al vocabolo più temuto e odiato: “negro”. Vittorio Feltri da qualche anno lo scrive quasi quotidianamente per pura polemica; noi, per quanto mi rammenti, non l’abbiamo mai usato, più che altro perché non se ne è presentata la necessità. Ovviamente non staremo qui a ripetere la tiritera del “negro” che in italiano non è sinonimo di nigger e non ne ha la carica spregiativa: ormai lo sanno anche i polli. Ma vogliamo ricordare che esistono lingue, tra cui quelle iberiche e quelle padane, in cui le derivazioni dall’originale latino significano “nero” e non ci sono alternative. Sicché, quando un lombardo dice “a l’è un negher” evitiamo di dargli del razzista (è capitato): egli non può e non vuole dire “a l’è un ne-er” perché non esiste.
In definitiva strapparsi i capelli per le minacce dell’AgCom sembra tempo perso. Le due o tre testate cartacee non conformi al politicamente corretto continueranno a dire quello che vogliono, e i censori non riusciranno a scalfire quelle telematiche. Senza contare che mutati venti politici e nuove forze governative prima o poi ci libereranno degli imbavagliatori di Stato. Speriamo.

 

agcom bavaglio