La Francia è in un disastro totale. I “migranti” che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente seminano disordine e paura in molte città. L’enorme tendopoli conosciuta come la “giungla di Calais” è stata appena smantellata, e già altri accampamenti sorgono ogni giorno. Nella zona orientale di Parigi le strade sono coperte di ondulati, tele cerate e assi di legno. La violenza è all’ordine del giorno. Le 572 no-go zone, definite ufficialmente “zone urbane sensibili”, continuano a crescere e gli agenti di polizia che si avvicinano spesso ne pagano le conseguenze. Di recente, un’auto della polizia è caduta in un’imboscata ed è stata data alle fiamme, che hanno impedito agli agenti intrappolati di uscire. I poliziotti hanno ricevuto ordine dai superiori che se vengono aggrediti devono fuggire anziché reagire. Molti agenti, furiosi per doversi comportare come codardi, hanno organizzato manifestazioni di protesta. Non ci sono più stati attacchi terroristici dopo l’uccisione di un prete a Saint-Etienne-du-Rouvray, il 26 agosto 2016, ma secondo i servizi segreti molti jihadisti sono tornati dal Medio Oriente e sono pronti ad agire, e disordini potrebbero scoppiare ovunque, in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo.

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Riistribuzione dei clandestini imposta ai comuni dallo Stato centrale dopo lo smantellamento della Giungla di Calais.

La mosca cocchiera che piace(va) ai terroristi

Sebbene sia sopraffatto da un situazione interna che riesce a controllare a malapena, il governo francese continua a intervenire negli affari mondiali: la creazione di uno “Stato Palestinese” è ancora la sua causa prediletta, mentre Israele è il capro espiatorio preferito.
La scorsa primavera, anche se la Francia e i territori palestinesi versavano in condizioni terribili, il ministro degli Esteri francese Jean-Marc Ayrault ha detto che era “urgente” rilanciare il “processo di pace” e creare uno Stato Palestinese. La Francia ha pertanto indetto il 3 giugno a Parigi una conferenza internazionale e non ha invitato né Israele né i palestinesi. La conferenza è stata un flop. Si è conclusa con una dichiarazione insulsa sulla “necessità imperativa” di andare “avanti”.
La Francia non si è fermata lì. Il governo ha poi deciso di organizzare una nuova conferenza a dicembre. Stavolta, con Israele e i palestinesi. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sottolineando che Israele non ha bisogno di intermediari, ha declinato l’invito. I leader palestinesi hanno accettato. Saeb Erekat, portavoce dell’Autorità Palestinese, si è congratulato con la Francia aggiungendo – non c’è da sorprendersi – che era stata la AP a “suggerire” l’idea ai francesi.
Ora che Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti, Newt Gingrich probabilmente svolgerà un ruolo decisivo nella sua amministrazione. Gingrich ha detto qualche anno fa che non esiste un popolo palestinese, e la settimana scorsa ha aggiunto che gli insediamenti non sono in alcun modo un ostacolo alla pace. Per questo la conferenza di dicembre si preannuncia un altro fallimento.
Tuttavia, i diplomatici francesi stanno lavorando con i funzionari palestinesi a una risoluzione delle Nazioni Unite per riconoscere uno Stato Palestinese entro i “confini del 1967” (le linee armistiziali del 1949), ma senza alcun trattato di pace. Costoro sembrano sperare che il presidente uscente Barack Obama non usi il veto americano nel Consiglio di Sicurezza, consentendo l’approvazione della risoluzione. Ma non è affatto sicuro che Obama vorrà concludere la sua presidenza con un gesto così apertamente sovversivo. È quasi certo che la Francia fallirà anche in questo caso. Per l’ennesima volta.
Da molti anni, la Francia sembra aver costruito la sua intera politica estera sull’allineamento all’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI), ovvero 56 Paesi islamici più i palestinesi. Inizialmente, la Francia sperava forse di scalzare l’America dal ruolo di potenza mondiale, accedere al petrolio a buon mercato e concludere accordi commerciali con i Paesi islamici ricchi di petrolio, oltre a evitare attacchi terroristici interni. Tutt’e quattro i sogni sono sfumati. Ma la Francia persevera perché sta disperatamente cercando di limitare i danni che con ogni probabilità non si potranno evitare.

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Il peccato originale

Negli anni Cinquanta, la Francia era un’altra cosa… Era amica di Israele. La “causa palestinese” non esisteva. La guerra d’Algeria infuriava e la grande maggioranza dei politici francesi non avrebbe mai nemmeno stretto la mano a terroristi sanguinari.
Tutto cambiò con la fine della guerra d’Algeria. Charles de Gaulle consegnò quel Paese a un movimento terroristico chiamato Fronte di Liberazione Nazionale. Procedette quindi a creare un riorientamento strategico della politica estera francese, inaugurando ciò che egli definì la “politica araba della Francia”.
Il Paese transalpino firmò accordi commerciali e militari con varie dittature arabe. Per sedurre i suoi nuovi amici, adottò con entusiasmo una politica antisraeliana. Quando, negli anni ‘70, i palestinesi inventarono il terrorismo sotto forma di dirottamenti aerei, e con l’uccisione degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco 1972 divennero all’improvviso una “causa sacra” e uno strumento utile per fare leva sul mondo arabo, la Francia, adottando la “causa” divenne rigorosamente filopalestinese.

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I palestinesi iniziarono a usare il terrorismo internazionale, e la Francia decise di accettarlo fino a quando essa stessa non ne è stata colpita. Allo stesso tempo, ha accolto l’immigrazione di massa proveniente dal mondo arabo-musulmano, strumento evidente delle mire espansionistiche dell’islam. Da allora, la popolazione musulmana della Francia è aumentata senza però mai integrarsi.
A quel tempo la Francia non lo percepiva, ma si stava infilando in una trappola, trappola che ora sta per scattare.
La popolazione islamica della Francia sembra essere antifrancese per quanto riguarda i valori giudaico-cristiani e dell’illuminismo, e filofrancese nella misura in cui il Paese si sottomette alle pretese dell’islam. Poiché i musulmani che ci vivono sono anche filopalestinesi, teoricamente non dovrebbero esserci problemi. Ma la Francia ha sottovalutato gli effetti dell’estremismo nel mondo musulmano, e non solo.
Sempre più musulmani francesi si considerano prima di tutto islamici. Molti ritengono che l’occidente sia in guerra con l’islam; e considerando Francia e Israele come parte dell’occidente, sono in guerra con entrambi. Sanno che la Francia è antisraeliana e filopalestinese, ma vedono anche che diversi politici francesi mantengono legami con Israele, e quindi pensano probabilmente che la Francia non è abbastanza antisraeliana e filopalestinese.
Vedono che la Francia tollera il terrorismo palestinese, e così sembrano non capire perché essa combatta il terrorismo islamico in altri luoghi.
Per compiacere i suoi musulmani, il governo francese crede di non avere altra scelta se non quella di essere il più possibile filopalestinese e antisraeliano, anche se pare proprio che questa politica stia miseramente crollando nei sondaggi.
Senza dubbio il governo francese si sta rendendo conto che non può impedire ciò che sempre più si profila come un disastro. E questo disastro è già in corso.
Forse l’attuale governo francese spera di poterlo ritardare un po’ ed evitare una guerra civile. Magari spera che non esplodano le no-go zone, almeno sotto i suoi occhi.

Serpi in seno

Oggi, la Francia ha sei milioni di musulmani, il 10 per cento della sua popolazione, e la percentuale è in crescita. Secondo i sondaggi, un terzo di loro vuole la piena applicazione della legge islamica, la sharia. Sempre secondo i sondaggi, la stragrande maggioranza dei musulmani francesi appoggia la jihad, soprattutto quella contro Israele, Paese che vorrebbero veder cancellato dalla faccia della terra.
La loro struttura principale – l’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia – è un ramo dei Fratelli Musulmani, movimento che dovrebbe essere considerato un gruppo terroristico per il suo aperto desiderio di rovesciare i governi occidentali.
I Fratelli musulmani sono principalmente finanziati dal Qatar, Stato che effettua ingenti investimenti in Francia e ospita una base aerea americana.
Gli ebrei stanno lasciando la Francia in numeri da record e queste partenze non si fermano. Sammy Ghozlan, presidente dell’Ufficio nazionale francese di vigilanza contro l’antisemitismo, ha detto per anni che “è meglio andarsene che fuggire”. È stato vittima di un’aggressione. La sua auto è stata incendiata. Ha lasciato la Francia e ora vive in Israele.
Il resto della popolazione francese si rende assolutamente conto dell’estrema gravità di ciò che sta accadendo. Qualcuno è arrabbiato e in rivolta; altri sembrano rassegnati al peggio: una scalata islamista dell’Europa.
Le prossime elezioni francesi avranno luogo nel maggio 2017. Il presidente francese François Hollande ha perso ogni credibilità e non gli resta la minima possibilità di essere rieletto. Chi s’insedierà all’Eliseo avrà un compito difficile.
I francesi sembrano aver perso la fiducia in Nicolas Sarkozy, e dovranno scegliere tra Marine Le Pen e François Fillon.
Marine Le Pen è la candidata del Front National, partito di estrema destra, François Fillon é il candidato del centrodestra. Fillon di recente ha detto che il “settarismo islamico” crea “problemi in Francia”. Egli ha inoltre dichiarato che se non verrà creato quanto prima uno Stato Palestinese, Israele costituirà “la principale minaccia alla pace mondiale”.

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Nella vignetta, l’emiro del Qatar individuato come uno dei grandi finanziatori del terrorismo islamico.

Tenebre

Tre anni fa, il filosofo francese Alain Finkielkraut pubblicava il libro L’identità infelice, che descrive i pericoli legati all’islamizzazione della Francia e le gravi tensioni che ne derivano. (Alain Juppé ha scelto uno slogan elettorale, volto a contraddire Finkielkraut, che è quello della “identità felice”, ed è stato trombato).
Dopo l’uscita del volume di Alain Finkielkraut, sono stati pubblicati altri libri pessimistici che sono diventati dei bestseller in Francia. Nell’ottobre 2014, l’editorialista Eric Zemmour ha pubblicato Il suicidio francese. L’ultima fatica editoriale di Zemmour è Un quinquennio per niente. Egli descrive ciò che vede accadere in Francia: “invasione, colonizzazione, esplosione”.
Zemmour definisce l’arrivo di milioni di musulmani in Francia nel corso degli ultimi cinquant’anni come un’invasione, e il recente arrivo di orde di migranti come la continuazione di questa invasione. Egli descrive le no-go zone come la creazione di territori islamici sul suolo francese, parte integrante del processo di colonizzazione. Zemmour scrive che lo scoppio della violenza è segno di un’imminente esplosione, del fatto che prima o poi la rivolta guadagnerà terreno.
Un altro libro, Le campane suoneranno ancora domani?, è stato di recente pubblicato da Philippe de Villiers, un ex membro del governo francese. Villiers rileva la scomparsa delle chiese in Francia, rimpiazzate dalle moschee. Menziona anche la presenza nelle no-go zone di migliaia di armi da guerra (fucili d’assalto AK-47, pistole Tokarev, armi anticarro M80 Zolja, eccetera). E aggiunge che le armi probabilmente non dovranno nemmeno essere usate, perché gli islamisti hanno già vinto.
Il 13 novembre 2016, la Francia ha commemorato il primo anniversario delle stragi di Parigi. In tutti i luoghi che furono teatro degli attacchi sono state scoperte targhe commemorative in cui si legge: “In ricordo delle vittime degli attacchi”. Non è stata menzionata la barbarie jihadista. In serata, il teatro Bataclan ha riaperto con un concerto di Sting. L’ultima canzone del concerto è stata Inshallah, “ad Allah piacendo”. La direzione del Bataclan ha impedito a due membri degli Eagles Of Death Metal – la band che si stava esibendo sul palco al momento dell’attacco – di assistere al concerto. Qualche settimana dopo la strage, Jesse Hughes, leader del gruppo musicale, aveva osato criticare i musulmani dello staff. Il direttore del Bataclan ha detto di Hughes: “Ci sono cose che non si possono perdonare”.