Una forza militare dell’Unione Europea con il potere di intervenire negli Stati membri. Un nuovo “Piano Marshall” per ridisegnare radicalmente interi territori del mondo e imporre un governo regionale. Un’Organizzazione delle Nazioni Unite con il potere di gestire il tutto. Cristianità sotto assedio. E la fine della nazionalità come noi la concepiamo oggi. È qui che la “crisi dei rifugiati” si sta dirigendo, mentre il disastro costruito a tavolino semina il terrore in tutta Europa e oltre. Eppure, nonostante l’apparenza caotica, tutto ciò è frutto di scrupolosa progettazione, con una serie di obiettivi radicali in mente.
Mentre l’establishment chiede di accettare in Europa milioni di profughi del Medio Oriente usando la retorica umanitaria, in agenda c’è ben altro. Lungi dal voler aiutare i propri simili, le forze del globalismo hanno esse stesse determinato la crisi dei rifugiati con la sofferenza che l’accompagna, sfruttandola per portare a compimento una serie di obiettivi. Che questa crisi venga sfruttata per scardinare la civiltà occidentale, la sovranità nazionale e il concetto stesso di nazionalità è ormai fuori discussione: i globalisti delle alte sfere ormai se ne vantano apertamente.
“Chiederò ai governi di collaborare, di riconoscere che la sovranità è un’illusione… un’assoluta illusione che dobbiamo lasciarci alle spalle”, ha dichiarato l’ex presidente di Goldman Sachs, Peter Sutherland, un ex membro del comitato direttivo del Bilderberg che attualmente “serve” come rappresentante speciale del segretariato generale ONU per le migrazioni. “Il tempo di nascondersi dietro confini e recinzioni è ormai lontano. Dobbiamo lavorare insieme e cooperare per costruire un mondo migliore. E questo significa mettere da parte vecchie parole d’ordine, memorie storiche e raffigurazioni tradizionali delle nostre terre, e riconoscere che siamo parte del genere umano”.
Analogamente, il miliardario globalista e zelatore delle frontiere aperte George Soros, nel denunciare i funzionari europei che tentano di arginare lo tsunami umano che attraversa le loro frontiere, ha dichiarato: “L’obiettivo è la protezione dei rifugiati, e i confini nazionali ne rappresentano l’ostacolo”.
In sostanza, quindi, la crisi dei rifugiati è stata studiata e costruita, almeno in parte, per far progredire ciò che globalisti spesso definiscono in pubblico global governance e “nuovo ordine mondiale”. A tal fine, l’idea stessa di nazione è messa all’indice: tutti appartengono semplicemente  al “genere umano”, come sostiene Sutherland. E come tali, le persone devono essere governate dal “Parlamento dell’Umanità”, come ha affermato l’anno scorso il segretario generale Ban Ki-moon di fronte a quel club di dittatori noto come Nazioni Unite.
Già l’ONU gestisce un programma migratorio di proporzioni planetarie attraverso l’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR). Questa agenzia decide quali profughi verranno spostati e dove, a spese dei contribuenti dei vari Paesi. Ulteriori indizi sulla procedura si desumono dal fatto che l’equipe per i rifugiati delle Nazioni Unite fino a poco tempo fa è stata guidata da António Guterres, l’ex presidente della potente Internazionale Socialista, campione di terzomondismo.

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George Soros, miliardario progressista, speculatore, internazionalista e amante per tornaconto delle invasioni migratorie.

Organizzata a tavolino la crisi dei rifugiati

Per cominciare, è importante capire che i sedicenti illuminati, mentre si stracciano le vesti per i rifugiati invocando asilo in occidente per milioni di persone, sono in realtà gli stessi che hanno trasformato le loro vittime in profughi.
Tra le altre azioni per innescare la crisi, i governi occidentali e i loro alleati – per non parlare delle forze globaliste dietro di loro, come il Council on Foreign Relations e altri centri di potere a favore del governo mondiale – hanno distrutto diverse realtà del Medio Oriente attraverso la guerra e il caos. Per esempio: la Libia, fatta a brandelli da Obama e dalla NATO, sotto la presunta autorità delle Nazioni Unite; la Siria, distrutta dalla guerra civile alimentata dal potere globalista; e naturalmente l’Iraq, schiacciato da un intervento occidentale e da una guerra civile fomentata dall’esterno.
Questi stessi poteri sono stati anche responsabili del caos scatenato in molte altre nazioni – Yemen, Egitto, Costa d’Avorio, Tunisia – mediante rivolte, rivoluzioni, gruppi terroristici, dittature e via dicendo.
La prevedibile reazione di chi si trova la propria patria distrutta, ovviamente, consiste nel tentare la fuga… soprattutto se i Paesi più ricchi e liberi gli stendono il tappeto rosso. Questo è esattamente ciò che è accaduto e sta ancora accadendo. Molti degli stessi globalisti responsabili dell’inferno da cui stanno scappando gli emigrati, stanno aprendo le porte alla marea vantandosene pubblicamente. Obama e il suo sostenitore miliardario Soros, per esempio, erano entrambi in prima fila nella guerra autorizzata dall’ONU (e basata su menzogne) per distruggere la Libia, così come nell’alimentare la guerra civile che sta distruggendo quanto resta della Siria. Ed entrambi sono stati assai espliciti nel chiedere all’Occidente di accogliere milioni di rifugiati, a prescindere dai costi o dai desideri degli elettori.
La domanda da porsi è: “Perché?” Le risposte si possono trovare in ciò che è accaduto e sta accadendo, e soprattutto nelle ricette politiche sciorinate dai globalisti per affrontare la crisi. Allo stato attuale, l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente sono tutte nel mirino di internazionalisti che sfruttano la crisi dei rifugiati per impiantare istituzioni sovrannazionali a livello regionale e globale, per distruggere le sovranità statali e persino le identità nazionali, per destabilizzare le società e costruire un potere di governo centralizzato. Se lasciata incontrollata e incontrastata, la crisi dei rifugiati diventerà un potente strumento per sospingere il mondo sempre più verso la global governance, un percorso lastricato di lacrime e sangue.

Un nuovo Piano Marshall

Con la situazione dei migranti ormai sempre più fuori controllo in varie zone del continente (le aggressioni sessuali a Capodanno in tutta la Germania e altrove, il crollo della legge e dell’ordine attorno a Calais, la stazione centrale di Stoccolma messa a ferro e fuoco da giovani clandestini, e molto altro), la cittadinanza diventa sempre più infuriata. In qualche caso sono persino le forze di potere responsabili  del caos a denunciare il problema. Il “New York Times”, megafono dell’establishment che ne ha sempre diligentemente promosso le guerre, ha pubblicato un editoriale sottolineando che la Germania era “sull’orlo del baratro” a causa della crisi. Anche vari dirigenti politici europei hanno lanciato l’allarme.
Anche Soros – il re dei fondi speculativi protetto dalla dinastia bancaria dei Rothschild – ha svolto un ruolo fondamentale nel favorire la miriade di guerre e la conseguente marea di rifugiati in Europa. E adesso, come altre voci del potere, si è messo a sottolineare l’ovvio. L’Unione Europea, ha detto in una recente intervista, è “sull’orlo del collasso” a causa dell’improvviso afflusso di ben oltre un milione di rifugiati islamici dello scorso anno. Neanche a dirlo, Soros ha in tasca alcune “soluzioni”, e queste si riassumono in una maggiore globalizzazione per l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente: ovvero meno sovranità, meno autogoverno, meno libertà.
In un’intervista a Bloomberg durante il Forum economico mondiale (WEF) a Davos, in Svizzera, questo radicale ha affermato che l’Europa deve finanziare un nuovo “Piano Marshall” per le regioni del mondo da cui stanno fuggendo i profughi… regioni e nazioni distrutte in gran parte dai globalisti occidentali che caldeggiano il nuovo piano. Soros appoggiava una proposta avanzata in precedenza da un suo collega globalista, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Il nuovo Piano Marshall di cui fantasticano costoro, consisterebbe nel trasferire ricchezza dagli strangolati contribuenti europei alle zone del pianeta rovinate dalle macchinazioni globaliste.

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Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze di Angela Merkel.

Ma l’obiettivo vero e proprio va molto più in profondità, così come nel caso del Piano Marshall originale dopo la seconda guerra mondiale. “La cosa più importante per noi è investire miliardi in quelle regioni da cui provengono i profughi per ridurre la pressione sulle frontiere esterne dell’Europa”, ha sostenuto Schäuble in una tavola rotonda durante il WEF, parlando al fianco di vari premier europei corresponsabili di aver inondato l’Europa di sfollati provenienti dalle nazioni che essi hanno contribuito a distruggere. “Ciò costerà all’Europa assai più di quanto pensassimo”. Naturalmente sarà così, e a pagare toccherà ai contribuenti già tartassati. Nel 2014, scrivendo sul “Project Syndicate”, organo di propaganda finanziato da Soros, Schäuble aveva addirittura auspicato un regime di tassazione globale (titolo, Why Taxation Must Go Global).
Allora, come dovrebbe essere il nuovo “Piano Marshall” per il Medio Oriente e l’Africa? Una breve storia del piano originale ci offre alcuni indizi. Ufficialmente conosciuta come European Recovery Program o ERP, l’impresa consisteva nel trasferire l’equivalente attuale di quasi 150 miliardi di dollari dai contribuenti statunitensi ai governi dell’Europa occidentale. Lo scopo apparente era aiutare a ricostruire il continente dopo la guerra; ma in pratica rappresentò uno strumento chiave per trasformarlo in una regione dominata da istituzioni sovrannazionali, culminata nella sottomissione degli europei al superstato UE. Questo era ed è sempre stato l’obiettivo finale.
Già nel 1947, l’allora segretario di Stato George Marshall (figura chiave nel consegnare la Cina ai comunisti assassini del presidente Mao, nonché principale alleato del dittatore Stalin) chiedeva la “cooperazione” degli europei come precondizione per l’ottenimento degli aiuti economici. “È evidente – prima che il governo degli Stati Uniti possa proseguire negli sforzi di alleviare la situazione e incoraggiare la ripresa del mondo europeo – che ci deve essere qualche forma di accordo tra i Paesi europei sul ruolo che essi avranno nel favorire qualsiasi iniziativa possa essere intrapresa da questo governo”, aveva detto Marshall, l’eponimo del piano. “L’iniziativa, a mio avviso, deve arrivare dall’Europa. Il programma dovrebbe essere congiunto, concordato con molte se non tutte le nazioni europee”.
La Comunità Economica Europea rispose con un importante rapporto, firmato dai rappresentanti dei governi europei, che prospettava la creazione di una “unione doganale” foriera di ancor più stretta cooperazione. I dirigenti americani erano stati accontentati.
Nel 1948, i membri del Congresso tentarono persino di far scrivere esplicitamente nella dichiarazione di intenti del Piano Marshall che gli Stati Uniti incoraggiavano l’unificazione economica e la federazione politica dell’Europa. Alla fine rimase soltanto l’accenno allo sviluppo della cooperazione economica. L’anno successivo venne nuovamente perseguita la modifica “federazione politica”, con il risultato che si aggiunse la frase: “Si dichiara inoltre che è politica del popolo degli Stati Uniti incoraggiare l’unificazione dell’Europa”. Nel 1951, il Congresso venne allo scoperto e affermò apertamente – con una clausola aggiunta al Mutual Security Act – che il suo scopo era “incoraggiare ulteriormente l’unificazione economica e la federazione politica dell’Europa”.
Gli obiettivi del sostegno americano all’integrazione europea furono in qualche misura spiegati decine di anni fa – pur se ampiamente ignorati – da alti funzionari degli Stati Uniti. Il 20 settembre 1966, per esempio, l’allora sottosegretario di Stato George Ball testimoniò davanti al Congresso sulla posizione del Dipartimento di Stato circa la formazione di una “comunità atlantica”, in sostanza una fusione tra USA ed Europa. “Trovo scarse evidenze di un interesse tra gli europei per qualsiasi azione immediata tendente a una maggiore unità politica con gli Stati Uniti”, spiegava. “Essi temono il peso schiacciante della potenza americana e la sua influenza nei nostri consigli comuni. A nostro avviso, fintanto che l’Europa rimarrà un continente di Stati di medie e piccole dimensioni, ci saranno limiti precisi al grado di unità politica che potremo raggiungere attraverso l’oceano”. Il globalismo era all’ordine del giorno allora proprio come lo è oggi.

Il globalismo e l’Unione Mediorientale

Non a caso, il nuovo “Piano Marshall” viene perorato dallo stesso establishment globalista che ha apertamente promosso l’imposizione di una “Unione Mediorientale” alla regione negli ultimi anni. “Proprio come un continente in guerra ha trovato la pace con la creazione di quella che è diventata l’Unione Europea, arabi, turchi, curdi e altri gruppi della regione potrebbero trovare la loro pace in un’unione ancor più stretta”, ha scritto Mohamed “Ed” Husain, ex islamista fiancheggiatore del califfato e attualmente “adjunct senior fellow for Middle Eastern studies” presso il Council on Foreign Relations, in un pezzo pubblicato sul “Financial Times” e sul sito CFR a metà del 2014. “Dopo tutto, la maggior parte dei suoi problemi – terrorismo, povertà, disoccupazione, estremismo, crisi di rifugiati, scarsità d’acqua – richiedono risposte regionali. Nessun Paese può risolvere i suoi problemi da solo”. Questa è naturalmente una sciocchezza, ma rappresenta lo standard della retorica globalista.
Un sacco di altri globalisti hanno detto fesserie simili. È diventato di moda per le figure istituzionali e i loro tirapiedi paragonare l’odierno Medio Oriente all’Europa prima dell’UE. Infatti Richard Haass, capintesta del CFR ed ex dirigente del Dipartimento di Stato americano, scrivendo sul “Project Syndicate” di Soros, fa proprio questo. Con un incredibile salto mortale carpiato, Haass spiega, tacendo il ruolo clamoroso del Council on Foreign Relations nell’istigare tutte le tragedie che enumera, che le guerre degli ultimi tre lustri sono state le principali responsabili dell’incendio nella regione in fiamme… in sostanza le stesse guerre che il CFR ha appoggiato, e lo stesso incendio che ora dovrebbe essere estinto grazie a questa Unione Mediorientale a marchio CFR! Secondo il solito sistema della strategia globalista che si riassume in: crea un problema, e poi sfrutta e gestisci le inevitabili reazioni per imporre una “soluzione”.
“La guerra in Iraq del 2003 ha avuto gravi conseguenze, in quanto ha esacerbato le tensioni tra sunniti e sciiti in uno dei Paesi più importanti della regione, e quindi in molte altre società divise della zona”, scrive Haass. “Il cambio di regime in Libia [per mano di Obama, ONU, NATO e burocrati del CFR] ha creato uno Stato imbelle; il tiepido sostegno a un cambio [appoggiato da CFR e Soros] di regime in Siria ha posto le basi per la guerra civile senza fine”. E caos, spargimento di sangue e terrore continueranno – aggiunge – fino a quando “non emergerà un nuovo ordine locale a porvi fine”. Nel frattempo, secondo lui, i globalisti dovrebbero trattare la regione come una “situazione da gestire”. Comodo e conveniente: il Council on Foreign Relations appicca un incendio e poi annuncia di avere l’estintore, minacciando un inferno di fuoco fintanto che tutti non si sottometteranno alle pretese globaliste, tra cui un nuovo “ordine” regionale che, analogamente al “nuovo ordine mondiale”, è la loro formula per intendere il governo transnazionale.
Naturalmente, Husain, Haass e il CFR non sono soli. Nel 2011 anche l’allora presidente islamista della Turchia, Abdullah Gül, reclamava un regime in stile UE per governare il Medio Oriente. Parlando nel Regno Unito, Gül affermò che alla regione serviva “un’efficiente cooperazione economica e un meccanismo di integrazione regionale. Abbiamo visto tutti il ​​ruolo svolto dall’Unione nel facilitare la transizione democratica nell’Europa orientale dopo la caduta del muro di Berlino”. E la Turchia asiatica e islamica sta anche trafficando per aderire all’UE.
Vari tiranni del Medio Oriente hanno fatto eco alle richieste di un regime regionale, come per esempio i re di Arabia Saudita e Giordania. Come ha sottolineato Husain, anche i Fratelli Musulmani e il gruppo terroristico di Hamas stanno lavorando per unificare il Medio Oriente sotto un unico governo tirannico di proporzioni gigantesche. Grazie al sostegno finanziario da occidente all’insegna di un nuovo “Piano Marshall” e allo spargimento di sangue alimentato da guerre telecomandate dai globalisti, per non parlare dell’appoggio di ONU e Unione Europea, il complotto potrebbe facilmente diventare una realtà.

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António Guterres, socialista portoghese, è stato alto commissario ONU per i rifugiati dal 2005 al 2015.

Sempre più poteri all’Unione Europea

Ad avvantaggiarsi della crisi dei rifugiati per potenziarsi ulteriormente è la stessa Unione Europea, il governo regionale propiziato in buona misura dal Piano Marshall originale. Tra le varie trovate per affrontare l’afflusso di immigrati c’è la creazione di forze militari – una guardia confinaria e una costiera – apparentemente volte a “proteggere le frontiere europee” dalla marea migratoria. Questi corpi dovrebbero anche combattere “la criminalità internazionale e il terrorismo”, secondo i progetti UE. Il piano prevede controlli biometrici di identificazione obbligatori per chi entra ed esce dal territorio del superstato, in modo che tutti possano essere confrontati con il database dell’Interpol.
Forse più allarmante, la forza militare UE sarebbe autorizzata a “intervenire” entro le nazioni europee, anche senza l’autorizzazione delle autorità nazionali, qualora i boss di Bruxelles ne riconoscano l’“urgenza”. Di fatto queste forze avrebbero la libertà di fare cose che neppure il governo federale degli Stati Uniti può permettersi con le autorità statali o locali.
Alcuni esponenti di nazioni europee ne sono rimasti sconvolti. La creazione di una tale struttura “indipendente degli Stati membri è scioccante”, ha detto il ministro degli Esteri polacco Witold Waszczykowski, notando che non si capisce neppure a chi dovrebbe far capo. Reazione che ha accomunato anche i dirigenti greci e svedesi.
Neanche una piega da parte della leadership europea: “La gestione delle frontiere esterne dell’Europa deve essere una responsabilità condivisa”, ha affermato il “primo vicepresidente” della Commissione Europea Frans Timmermans, del Partito del Lavoro olandese e partecipante ai vertici del Bilderberg. “È essenziale ridare credibilità al sistema di controllo dei nostri confini”.
Intanto, però, funzionari e burocrati europei si mettono a strillare ogni volta che un governo prende serie iniziative per “ridare credibilità” al controllo dei confini. Le urla sono state particolarmente stridule allorché sono strati reintrodotti controlli alle frontiere interne. Quando le autorità ungheresi hanno cercato di fermare lo tsunami con una recinzione lungo il confine con la Serbia, per esempio, gli eurocrati hanno dato in ismanie. In una lettera inviata al governo dell’Ungheria, la Commissione Europea – ovvero il regime non eletto che sta governando l’Europa – si è scagliata contro l’impiego dell’esercito al confine, lamentando le sanzioni penali imposte ai clandestini che danneggiano la recinzione, e ha chiesto che fosse concesso l’ingresso ai “rifugiati” in quanto si limitavano a transitare verso un Paese sicuro. In soldoni, vigilare i confini sembra essere l’ultima delle preoccupazioni per l’Unione, se non come pretesto per creare una forza paramilitare con potere di intervento nei Paesi membri.
Tra i progetti per accrescere il potere della UE, troviamo una nuova agenzia per i rifugiati, con il potere di reinsediarli nei vari Stati anche contro la volontà di questi ultimi. Alcuni governi dell’Europa orientale hanno resistito alla trama, ma essa continua a rafforzarsi distribuendo  immigrati in tutto il territorio. L’anno scorso la UE ha accettato di ricollocarne 40.000, una cifra destinata ad aumentare esponenzialmente (oltre un milione sono semplicemente rimasti in nazioni dove sono stati registrati senza il coinvolgimento dell’Unione).
Per le Nazioni Unite, nemmeno questo è stato sufficiente… “L’UNHCR è profondamente delusa dal fatto che, sebbene la maggioranza degli Stati membri abbia aderito a una proposta di trasferimento più ampia per 120.000 persone, un accordo definitivo in merito potrebbe non essere raggiunto”, ha lamentato un portavoce dell’UNHCR. “È necessario un accordo decisivo senza ulteriori ritardi per rispondere alle esigenze, basato sulla solidarietà di tutti gli Stati membri”. Lo stesso “Alto Commissario” del tempo, l’ex capo dell’Internazionale Socialista António Guterres, ha chiesto a gran voce che la UE usurpasse qualsiasi altro potere in tema di asilo e distribuzione. In altre parole, ulteriori attacchi alle sovranità nazionali.
Alcuni europei, però, hanno capito che lo sfruttamento della crisi dei rifugiati da parte del superstato con sede a Bruxelles serve a portare avanti la sua agenda radicale. “Chi vincerà: l’Europa occidentale quale gruppo di Stati-nazione democratici che si autogovernano, controllano le proprie frontiere e vivono di scambi reciproci, oppure il progetto sovranazionalista di Bruxelles? Questo è il vero dibattito in atto”, ha detto Nigel Farage, parlamentare europeo e leader dell’Independence Party britannico.
Per parte sua, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha definito l’ondata dei profughi come lo strumento di una “proditoria cospirazione” per distruggere il concetto di nazionalità, la civiltà occidentale e la cristianità. “Signore e signori, siamo sull’orlo della realizzazione di un progetto  intenzionale che potremmo definire di sinistra e che cerca di marginalizzare gli stati nazionali d’Europa”, ha detto ai suoi connazionali. “Dove questo progetto non è riuscito a sconfiggere il cristianesimo e l’identità statale – con i valori e le responsabilità che da essi scaturiscono – mediante gli strumenti convenzionali della politica, cercherà di schiacciarli sul terreno dell’etnia”.

Un attacco alle libertà individuali

Oltre alla frantumazione della sovranità, la crisi sta anche minacciando le libertà individuali. Particolarmente utile a tal fine è la minaccia terroristica rappresentata dall’afflusso di milioni di musulmani, alcuni (come minimo) dei quali sono e saranno radicalizzati. L’ISIS si è vantato che i suoi agenti operativi si trovano tra i rifugiati, e il candidato presidenziale americano Ben Carson ha addirittura sostenuto che sarebbe “una scelta jihadista fallimentare” non inviare terroristi in Occidente mischiati agli immigrati. Ovviamente ha ragione, come hanno dimostrato gli attacchi di Parigi. Ora, gli jihadisti verranno usati come giustificazione per dichiarare guerra alle libertà civili.
Già il terrorismo islamico – in gran parte fomentato dietro le quinte da globalisti e comunisti – viene utilizzato come scusa per aumentare il potere. Giusto lo scorso anno la “polizia” UE, l’Europol, ha annunciato la creazione di una nuova unità per censurare internet con il pretesto di combattere l’“estremismo”. In Gran Bretagna, le autorità stanno mettendo sotto attacco gli homeschoolers e i corsi di catechismo cristiano con la pretesa di estirpare l’estremismo islamico. Gli attacchi al diritto di detenere armi, alla libertà di parola e tanto altro sono tutti condotti in nome della lotta al terrorismo e all’estremismo islamico. E siccome milioni di musulmani continuano a inondare l’Europa, i processi totalitari possono soltanto accelerare.
Lo scopo finale di questa partita è evidente: utilizzare i sempre più potenti blocchi regionali (Unione Europea, Unione Africana, Unione Eurasiatica di Putin, Unione Mediorientale) come mattoni per costruire quello che globalisti come Soros, Bush, Clinton, Biden e altri definiscono spesso e volentieri il loro “Nuovo Ordine Mondiale”. Nel suo recente libro Ordine mondiale, appunto, l’ex segretario di Stato Henry Kissinger ha ben descritto il progetto: “L’aspirazione contemporanea all’ordine mondiale [governo mondiale] richiederà una strategia coerente per stabilire un concetto di ordinamento [governo regionale] all’interno delle varie regioni e per mettere in relazione questi ordinamenti regionali [governi] tra di loro”. I documenti del Dipartimento di Stato risalenti a decenni fa delineano la medesima strategia.
Se “accoglienza” e “solidarietà” fossero veramente le motivazioni, come innumerevoli esperti hanno sottolineato, sarebbe immensamente più conveniente, per non dire umano, aiutare i rifugiati e le vittime delle guerre globaliste più vicino alle loro terre. Calcoli alla mano, da 25 a 50 volte più individui potrebbero essere mantenuti in Libano o in Giordania piuttosto che in Europa con la stessa quantità di fondi. E le guerre che hanno distrutto i Paesi del Medio Oriente, provocando questa emergenza, non sarebbero mai state scatenate se le “preoccupazioni umanitarie” dell’establishment fossero state autentiche. Al contrario, all’ordine del giorno c’è la pura e semplice avanzata del globalismo, che tra l’altro l’establishment non si dà più neppure la pena di nascondere.
In breve, la “crisi dei rifugiati” sembra progettata sullo stile di ciò che il leggendario filosofo francese Frédéric Bastiat definiva “inventarsi l’antidoto e il veleno nello stesso laboratorio”. Ora che i dadi sono stati lanciati, i politici e i personaggi del potere sottolineano l’ovvio sfruttando l’inevitabile reazione del pubblico. Speriamo solo che i popoli d’Europa siano abbastanza intelligenti da non cadere nuovamente nel tranello, ché le conseguenze sarebbero catastrofiche.

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