Siamo arrivati alla sesta serata di questa edizione della Heiva 2016, l’ultima della seconda settimana. Questa sera partecipano al concorso tre nuovi cori, appena fondati, e due gruppi di ballo. Tamarii Vairao, in categoria Tarava Tahiti (canto), ci descrive il suo territorio, elogiandolo insieme alla propria storia. Il coro Te Ao Uri Ne Tautira insiste sul ritorno della parola autoctona alla sua sacralità, sviluppando antiche melodie. Il coro Papara To’u Fenua canta del corso d’acqua Vaihihi, stesso tema del suo gruppo di danza.

Tahiti Ia Ruru-tu Noa, in categoria Hura Ava Tau, amatori, narra le gesta dell’eroe Hiro e dei suoi quattro fratelli, in viaggio su una piroga doppia a vela. Prima di andare a riposarsi, l’eroe dice ai suoi: ”Non uccidete l’uccello sacro al dio Tane!” Gli uccelli, con Tanemanu in testa, svolazzano intorno alla barca e si posano sopra il suo albero; i fratelli non resistono e uccidono il più bello, quello dalle piume scarlatte.
Al suo risveglio Hiro si infuria, poi invoca le potenze divine per venire in suo aiuto: riesce a resuscitare Tanemanu! Questo non placa l’ira del dio Tane che scaglia contro la piroga tremende tempeste e il suo enorme squalo; condotti da Tanemanu, venti e tornado soffiano impetuosi, le correnti trascinano il battello nelle profondità dell’oceano; il grande squalo viene a prendere i quattro fratelli. L’animo di Hiro è pieno di tristezza, cerca di acchiappare Tanemanu, inseguendolo sulle rive, per i colli, sulle montagne e lungo le vallate, ma quando sta per afferrarlo, soggiogato dalla bellezza di questo uccello vermiglio, lo lascia andare. Dopo varie peripezie, Hiro, grande navigatore, arriva a ‘Eteroa e lancia i suoi giavellotti sulle montagne. Che sorpresa! Su uno di essi si è posato l’uccello Tanemanu! Che vola sulla montagna Manureva, striata dall’arcobaleno. Hiro lo saluta con un gran sorriso.
Bravissima la ballerina che interpreta l’uccello rosso, bravissimo tutto il gruppo.

Hitireva

Hitireva, per la categoria Hura Tau, professionisti, balla il tema Tessere la propria identità.
Il tahuà vaa, mastro navigatore, usava pezzi di stuoia per rattoppare le sue vele: la vela di gabbia, i controvelacci, il grande fiocco, il piccolo fiocco, in previsione di un vento da poppa. Sa che il vento gonfierà il trinchetto di pëue (stuoia), le cuciture verranno tese. Soffia il maoae, vento da est che di solito accompagna il bel tempo, perché la vaa motu, la piroga doppia, fenda la superficie del mare e faccia alzare grandi spruzzi sulle onde dalla sua prua.
Prima le vahine, le donne, riparavano con minuzia i loro abiti di tapa, e di scorza d’uru (l’albero del pane), di pae’a (una sua varietà), di püero (la più ricercata), ma la preferita resta sempre la tapa puupuu dal colore bianco candido, sempre ricavata da un albero di questa famiglia. Una tapa che faceva girare la testa, quando le giovinette la portavano annodata come pareo.
Le piume degli uccelli ornavano i tïputa, che gli uomini indossavano a mo’ poncho.
Ricavate dal variegato piumaggio degli uccelli o dei galli, le piume, preferibilmente di color rosso ibisco, venivano cucite sulla tapa. completavano l’insieme un bruno rossastro che dava sul granato, estratto della scorza del ti’a’iri (Aleurites moluccana) da quella dell’albero di ferro o del platano di montagna: una meraviglia sulle spalle dei giovani.

“Di cosa stiamo parlando? Di rattoppare, rattoppare per riunire! Di orlare, orlare per fissare! Di legare, legare per attaccare! Di tessere, tessere per coprire e ricoprire. La parola non è che Verbo. Potente, come un’autorità acquisita per la sua azione, la sua funzione, resiste al tempo che passa. Sorgente di vita, sorgente di coesione, radica e si radica, diventando vettore transgenerazionale. Pertanto il Verbo ha costruito il mio essere, il Verbo tesserà la mia identità.
Una grande piroga senza bilanciere è arrivata. Trasportava il suo popolo, i suoi usi e i suoi costumi. Trasportava il loro materiale. Una sorpresa, questi nuovi beni, irresistibili, queste stoffe di un nuovo genere: il cotone, il tessuto. Lo diffondono.
È l’agonia della tapa, il declino del pëue. Ansia e angoscia interpellano dolorosamente fino a invadere la mia coscienza. Cosa ne è della mia identità? Della mia cultura? Dei beni ancestrali? Delle conoscenze? Dei punti di riferimento? Sono stati spinti irrimediabilmente fino alla loro perdita? Rattoppare, orlare, legare, tessere, cucire? Cosa diventa il Verbo cosi potente? Dov’è?
Il tifaifai, la coperta ricamata fatta dalle mani dei nonni, è l’eccellenza. Il tempo non ha potere sulla sua confezione. Rattoppare, orlare per fissare, legare, cucire e ancora cucire. Fieri in occasione di questa unione.
La tapa, il pëue furono. Il tessuto di cotone si è imposto. E domani cosa accadrà? Cosa ci rimarrà? Il Verbo ha resistito e resisterà; come il mio tatuaggio, è indelebile. La sua forza è annidata nel palmo della tua mano, ti guiderà fino alla punta delle tue dita. Sulla punta delle dita scorre la storia di un’arte. Queste mani dei tüpuna [antenati], capaci di trascendere per portare a compimento un’opera: quella di tessere la tua identità, quella di tessere la mia identità”.