Daniel Pipes è stato intervistato dal quotidiano “Libero”, il 10 gennaio 2015.

L’attentato contro Charlie Hebdo rappresenta a suo parere un punto di svolta nella strategia jihadista?
Direi che i jihadisti diverranno una minaccia via via sempre maggiore in Europa. L’impatto sulla popolazione occidentale, tuttavia, sarà così forte che prima o poi finirà per provocare una reazione.

Quindi, lei prevede che, finalmente, l’Europa si risveglierà?
Certo, perché gli episodi di violenza che si moltiplicano stanno provocando una preoccupazione crescente nell’opinione pubblica.

Chi si ribella, tuttavia, rischia di essere etichettato come xenofobo, islamofobo, di estrema destra. È quello che sta accadendo ai partiti come la Lega Nord in Italia o il Front National in Francia.
Purtroppo, è così. Ma occorre dire che si tratta di un terribile errore.

Lei come consiglierebbe di rispondere?
Direi: non preoccupatevi. Non è estremismo opporsi alla legge islamica. È una reazione naturale. Perciò dite di no. Solo così si potrà fermare la barbarie.

Molti commentatori sostengono che i terroristi non uccidono nel nome di Allah. E i capi religiosi islamici in Europa hanno condannato l’attacco, ma anche gli episodi di blasfemia. E i terroristi hanno scelto di colpire proprio un luogo simbolico come la redazione di un settimanale satirico. Crede che siano in pericolo i diritti civili?
Non penso che il problema centrale riguardi la libertà di stampa e di espressione. Certamente, i musulmani non tollerano le critiche all’islam. E oltre a questo agiscono allo scopo di seminare il terrore fra la gente. Ma il loro vero obiettivo è instaurare la sharia, la legge coranica, che punisce con la morte i nemici dell’islam. Del resto vi stanno riuscendo.

Intende dire che oramai ci sono zone sfuggite al controllo delle autorità civili e passate sotto il dominio dell’islam radicale?
Ovvio. È un fatto acclarato. In molti Paesi, la Gran Bretagna in testa, si applica già la sharia per quanto riguarda il diritto civile e familiare, ma in alcuni casi anche in campo penale. Così, se solitamente si va dall’imam o presso una corte sharaitica per regolare matrimoni, separazioni, divorzi e questioni ereditarie, c’è una tendenza ad amministrare la giustizia all’interno della comunità anche quando si tratta di crimini. E dal fenomeno purtroppo non è esclusa nemmeno l’Italia.

È una minaccia che tocca anche altri Paesi. Dopo aver colpito negli Stati Uniti nel 2001, il terrorismo islamico recentemente ha preso di mira anche il Canada e l’Australia. Non è a rischio tutto l’Occidente?
Non si verifica la stessa situazione in tutte le aree del mondo. In America e in Oceania il pericolo è minore perché non si associa al progetto di islamizzazione della società. Attualmente il pericolo maggiore viene dalla Francia, dalla Svizzera, dalla Danimarca e dai Paesi Bassi. Senza dimenticare l’Italia dove, benché non vi troviate allo stesso livello di altri Paesi europei, sarete prima o poi coinvolti.

In effetti, la rivista dell’Isis, “Dabiq”, ha già messo sulla propria copertina una bandiera nera che sventola sull’obelisco di piazza San Pietro. È quello l’obiettivo, almeno propagandistico?
Non credo che la loro priorità sia colpire il Vaticano. Quello che sperano, semmai, è di sottomettere l’Italia.

Insomma, lei intravede un pericolo che va oltre le azioni militari e sanguinarie?
Diciamo che non ci si può limitare alla questione, pur importante, dell’ordine pubblico e della sicurezza. Al di là dell’emergenza terrorismo, in Europa si assiste a un tentativo di cambiare la società attraverso le scuole e le assemblee parlamentari. In più, su tutto questo, si innesta il fenomeno dell’immigrazione che aggrava il problema.

Eppure, la tendenza dominante sembra quella di prodigarsi per concedere sempre maggiori diritti agli stranieri, favorendo anche il proliferare delle moschee.
Non servirà a nulla.

La ritiene una strategia suicida?
Ma certo che è una strategia suicida. Comunque sono sicuro che gli europei si risveglieranno prima che sia troppo tardi.