Da 1400 anni l’antica cultura retica lotta per la sopravvivenza

Alla fine del periodo imperiale romano, la popolazione del Tirolo meridionale era ladina. All’epoca, la concentrazione demografica era assai scarsa e alcune vallate erano addirittura deserte. Verso il 580, i Baiuvari calarono attraverso il Brennero e scesero le vallate varcando l’attuale valle dell’Isarco. Bressanone e le zone limitrofe, come la Pusteria, furono i primi luoghi ad essere germanizzati; Bolzano fu poi raggiunta da quanti scendevano dal Prenon.

I Baiuvari si installarono nelle grandi vallate, scegliendo soprattutto zone prive di insediamenti, e da cui gradatamente si allargarono. Essi coabitavano con i Ladini, ma il loro numero incrementava notevolmente, e verso il 700 la parlata germanica andava progredendo verso Bolzano e verso Merano. Fu soltanto dopo il 1000 che la maggioranza del Tirolo meridionale divenne germanofona, e verso il 1300 la parlata ladina cessò definitivamente nella zona di Merano e, nel 1400, nella Bassa Atesina e nella Bassa Venosta.

Il ladino, dunque, si andava restringendo sempre di più all’interno delle Valli Dolomitiche.

È documentato che a Glorenza (Val Venosta) nel 1394 veniva ancora usata, in sede giudiziaria, la lingua retoromancia-ladina. Soltanto dopo il 1500 le autorità politiche e religiose ne proibirono l’uso: nei tribunali, nelle amministrazioni comunali, nella scuola ed in chiesa essa fu cancellata e il ladino scomparve così da tutta la Venosta. Bisogna ammettere che la conservazione di questa lingua fino ai giorni nostri ha del miracoloso.

Quanto ai tempi attuali, un evento che disturbò drammaticamente e pregiudicò la pacifica convivenza dei Ladini (e qui mi riferisco a quelli della provincia di Bolzano fu l’opzione del 1939. Le conseguenze del diabolico mercanteggio condotto dalle dittature di allora sono tuttora scomodamente reali.

È certamente vero che se non ci fosse stata l’odiosa azione propagandistica di due regimi di dittatura nazionalistica avremmo potuto evitare l’opzione, e non ci saremmo dovuti dichiarare né tedeschi, né italiani, rimanendo ladini in modo compatto: quanti sacrifici e quanti litigi in meno!

È indispensabile fare molta attenzione affinché diavolerie del genere non possano ripetersi. Dopo gli eventi bellici, allorquando una situazione di maggiore serenità ebbe il sopravvento, si potè nuovamente inquadrare il problema ladino nel modo che allora sembrava giusto e concretamente realizzabile. Così si continuò fino all’epoca attuale e dobbiamo ammettere che in relazione al ladino scritto e parlato, sono stati compiuti notevoli progressi. E’ della più chiara evidenza che qualora dopo l’evento bellico non si fosse iniziato un serio lavoro per il ladino, e le persone coinvolte non avessero insistito con coraggio nella loro scelta, non disporremmo oggi di quanto c’è di positivo in relazione alla nostra cultura e alla nostra lingua. In questo contesto è certamente doveroso affermare che il maggior merito va riconosciuto alla “Union di Ladins” che per trent’anni ha lavorato in questo senso. Questo nessuno lo può contestare.

Ci sono stati tempi in cui il ladino era proibito o ne era sconsigliato l’uso; lo si voleva distruggere con la propaganda di allora, e con la tecnica di fine politica rivolta a tale scopo. La parlata, di origine alquanto remota, ha tenuto fino ad oggi; nei secoli passati essa era soltanto orale e sempre minacciata e solo negli ultimi cento anni si potè iniziare la forma scritta; che il ladino possa vivere tuttora ed essere in uso è una realtà che ha del miracoloso. C’è di più: dalla nostra lingua, che alcuni considerano povera e semplice, si possono ricavare scritti di buon livello letterario, come è stato largamente dimostrato negli ultimi anni; è altresì possibile tradurre in ladino opere di grandi autori; questo dimostra certamente la buona situazione di sviluppo precedente. Non è lecito pretendere che con questa lingua non ci si possa intendere su argomenti diffìcili; queste asserzioni servono semplicemente da pretesto a quelle persone che la vorrebbero rinchiusa in un museo come un buon ricordo e che la vorrebbero definitivamente accantonata per ragioni di convenienza politica. Se noi ladini vogliamo mantenere il nostro ladino, l’unico sistema è quello di parlarlo.

Quali sono i luoghi dove la gente adopera maggiormente il ladino? Lo si sa con precisione: nella piazza centrale, sulla strada, nel locale pubblico, in tutti i posti dove ci si sente più liberi e non più condizionati in qualche modo dall’alto. Non appena prende piede una qualche forma istituzionale che tenta di inquadrare la persona in relazione ad uno scopo preciso, si riscontra che il ladino viene spesso messo da parte; dimostrazioni in questo senso ci sono fornite dalla scuola, dalle associazioni, dai Comuni, dalla Chiesa, dagli uffici, dalle aziende ecc. E pure dalle famiglie: il bambino viene condizionato dai genitori a parlare la lingua che essi vogliono, più o meno bene che la conoscano; però, non appena questi ragazzi evadono dall’ambiente famigliare (negli anni della scuola media), inizia a sembrar loro alquanto naturale di intendere e farsi intendere nella propria parlata. Possiamo così constatare che il ladino viene anzitutto adoperato quando la persona si sente libera, e questo ci dimostra che esso è tuttora radicato nell’essenza più autentica della gente.

Da qui l’opportunità di trasmettere ai bambini fin dall’inizio la coscienza della propria lingua che essi, comunque, imparano. Con l’apprendimento diretto e immediato dalla madre, il concetto e la realtà di lingua madre ha piena validità e giustificazione.