Alla variegata fauna dei “pentiti” di ogni ordine e grado che hanno preso ad imperversare nella società italiana mancava fino ad oggi la figura del “folklorista pentito”; a colmare questa lacuna ci ha pensato da par suo Roberto Leydi.

Impressionato dal fatto che “il vecchio e glorioso International Folk Music Council ha deciso di mutare il suo nome ed è diventato l’International Council for Traditional Music, Leydi (su “La Stampa” di giovedì 26 agosto) non ha esitato a intonare il miserere e il de profundis per tutto ciò che, da vicino o da lontano, puzza di folk, di folk revival, di cultura popolare e via generalizzando.

Con un’opportuna citazione dalla copiosa e perspicua produzione critica di sua moglie Sandra Mantovani (“che tanta parte ha avuto nel revival italiano”), il nostro vecchio professore prende sconsolatamente (ma, debbo dire, anche con una certa perversa e maligna gioia) atto della perduta e consumata stagione folk:
“Dei vecchi, cioè i pionieri, alcuni hanno volontariamente deciso di ritirarsi, consapevoli che il loro compito era esaurito. Altri, presi nel gioco di promesse e attese professionali, hanno voluto o dovuto continuare. Quasi tutti sono miei cari amici, e non credo si offenderanno se confesso il mio imbarazzo, oggi, ad andare ad ascoltarli. Ad andare a vedere sulla pedana o sul palco questi avanzi di un tempo finito che, o ripropongono pateticamente il loro vecchio repertorio, o inseguono con innovazioni di stile e di repertorio il treno rapido del rock e del pop”.

Ma guarda un po’! Questa prosa da disperato epicedio può stupire solo chi aveva preso sul serio le antiche smanie del professore e dei suoi “amici” per il “reviva!” (appunto!) e per il folklore come cultura di contestazione, mentre è chiaro che un “vecchio” studioso della cultura popolare, e sia pure un pioniere, il quale possa concepire di ritirarsi perché “il suo compito è esaurito” dimostra semplicemente di non aver capito mai nulla della medesima cultura popolare, della sua ricchezza specifica, della sua fenomenologia e della sua vitalità, e quando se ne è occupato (perché “era tanto di moda” e faceva chic seguire per l’ennesima volta il modello americano) evidentemente straparlava. Quanto a noi, memori dell’antico adagio che recita “dagli amici mi guardi Iddio”, non esitiamo a confermare che continueremo a occuparcene, “magari nel segno idiota del celtismo”, che tanto dispiace a Leydi, con “mucho gusto” e divertimento, e totalmente sprovvisti di “attese professionali” come siamo sempre stati, a differenza del nostro melanconico censore.

(Al professor Leydi ha pacatamente risposto, con una lettera a “La Stampa” pubblicata domenica 12 settembre, Antonio Adriano, “partecipe con amici alla fondazione e all’attività tuttora in corso del Gruppo Spontaneo di Magliano Alfieri”. Noi sappiamo che gruppi come questo ce ne sono in Italia a centinaia, o almeno a diecine, e di alcuni seguiamo anche direttamente il lavoro quotidiano ed entusiasmante. Speriamo – anzi, siamo certi – che il fatto che tanti di essi non abbiano imitato l’Adriano e non abbiano rimbeccato Leydi dipenda solo dal fatto che, giustamente, non leggono quel bolso e pasticciato quotidiano di provincia che è diventato “La Stampa” di Torino).