La storia della colonizzazione della Nuova Caledonia: dai primi pacifici contatti fra Europei e Kanaki, alla conquista dell’isola da parte dei Francesi, al lungo e disperato elenco delle ribellioni contro il tentativo occidentale di distruggere totalmente una struttura sociale e una cultura un tempo ricche e vitali. Un itinerario impressionante che si snoda, per 200 anni, attraverso deportazioni, distruzioni, decimazioni. Dal genocidio alla nascita dei movimenti politici indipendentisti, espressione della gioventù aborigena non più rassegnata a dimenticare le proprie origini ed a vivere la propria condizione etnica con vergogna e fatalismo. Gli ultimi avvenimenti.

James Cook fu, nel 1774, il primo occidentale sbarcato in Nuova Caledonia. I Melanesiani (Kanaki) lo accolsero festosamente e lo nominarono ’’capo” (Tea); Cook lasciò in ricordo al capo Booma una coppia di cani, dono risultato graditissimo. Una ventina d’anni dopo fu la volta del francese A.R J. de Bruni d’Entrécastaux, incaricato di ricercare i resti della spedizione di La Pérousse sparita a est dell’Australia. Nel 1843 giunse Monsignor Douarre, il primo vero colonizzatore francese; a Nouméa c’era una scritta che ben sanzionava l’alleanza tra il cattolicesimo missionario ed i conquistatori: ’’Questo paese è stato donato da monsignor Douarre alla Francia.” I missionari sbarcati sopravvissero in quei primi anni grazie agli aiuti degli aborigeni, da cui furono nutriti anche nei periodi di carestia, quando gli stessi indigeni erano in gravi difficoltà. Padre Viard, dopo aver ottenuto un consistente rifornimento, promise che, non appena fosse tornata la nave dei bianchi, avrebbe generosamente ricambiato gli aiuti. Tre giorni dopo arrivò il ”Rhin” carico d’ogni ben di Dio; ma il missionario si guardò bene dal mantenere la promessa e, mentre i suoi benefattori morivano letteralmente di fame, lasciò l’isola su quella stessa nave da cui veniva, invece, fatto sbarcare un feroce mastino che avrebbe fatto buona guardia al rifornito magazzino dei padri Maristi. Fu quella una grave disillusione che compromise comprensione e rapporti tra i bianchi e i Melanesiani, i quali cacciarono dalle loro terre i missionari. Ebbe inizio proprio allora il mitico culto del ’’cargo”, la nave che nasceva dal cielo (l’orizzonte) e doveva portare a tutti cibo e benessere. Gli indigeni, dopo la partenza dei missionari, impararono a passeggiare lungo le spiagge indossando una veste nera, tenendo tra le mani qualcosa che poteva sembrare un libro: era questa la singolare preghiera per trarre in inganno le navi di passaggio i cui comandanti, scorgendo col cannocchiale quelli che ritenevano essere missionari, pensavano di poter sbarcare in tutta tranquillità per rifornirsi d’acqua… Gli incidenti con le missioni e le navi di passaggio determinarono l’intervento militare francese: il 24 settembre 1853 l’ammiraglio Febvrier des Pointes firmò l’atto di annessione alla Francia della Nuova Caledonia ; pochi capi si resero conto all’inizio di quanto sarebbe successo. Come capoluogo della colonia fu prescelta una larga baia sulla costa occidentale: il villaggio (chiamato prima Port-de-France, e poi Nouméa) fu per lungo tempo il solo luogo militarmente occupato, ma continuamente minacciato dagli attacchi degli indigeni. Si scatenò subito una serie di guerriglie; le tribù del Nord vennero sottomesse con la forza, decimate, deportate; i loro capi furono esiliati.

Intanto, sulla costa orientale, a Napoléonville (oggi Canala) arrivavano i primi coloni. L’amministrazione francese divise l’isola in cinque distretti, senza tenere alcun conto della struttura sociale originaria, fondamentalmente anarchica, in cui avevano grande importanza i legami familiari, i clan, i villaggi riuniti in maciri, spazi sociali e spirituali dipendenti da un solo ’’grande fratello”, il ’’capo” che rappresenta e riassume con gli antenati i legami con la terra. Al primo centinaio di coloni, sbarcati nel 1858, si aggiunsero nel 1864 i deportati nel penitenziario tra i quali, nel 1872, i condannati per la ’’Comune” del 1871. Tra coloni liberi e deportati nacque subito una rivalità per l’occupazione delle terre sottratte agli indigeni. Le mandrie di buoi importati e presto inselvatichiti non solo invadevano i pascoli dei Kanaki, ma distruggevano le coltivazioni indigene, togliendo così ogni spazio all’agricoltura itinerante tradizionale. La Nuova Caledonia, lunga 500 chilometri e larga 40, con una superficie più che doppia rispetto alla Corsica, divenne oggetto di integrale sfruttamento e colonia penale; nel 1871 si scoprirono le risorse minerarie. Nasce allora la ’’Société du Mont d’Or”, antenato della ’’Société Le Nickel” dei baroni di Rothschild, che diverranno i veri padroni dell’isola.

 

L’insurrezione kanaka del 1878

La lista delle ribellioni alla conquista francese è assai lunga. Iniziò nel Nord, nelle regioni di Balade e di Puebo nel 1847 e durò sino al 1863, per riprendere nel 1917; dal 1856 al 1876, praticamente ogni anno, ogni regione della Nuova Caledonia è segnata da insurrezioni e sommosse. Ma fu nel 1878-79 che scoppiò a Bouloupari e La Foa, per propagarsi poi in tutta l’area centrale dell’isola, l’insurrezione più importante, perché fu da allora che si potè parlare di un’etnia kanaka, mentre prima si avevano soltanto delle popolazioni melanesiane parlanti 36 lingue diverse, senza alcuna coscienza nazionale. Vi fu un momento in cui sembrava che i colonizzatori stessero per essere travolti e cacciati. Il comandante militare, colonnello Galli-Passebosc, cadde colpito da una fucilata. I Kanaki si presentavano per la prima volta organizzati, coordinati, risoluti a vivere liberi o a morire. Del resto, le testimonianze ufficiali riconoscono che per gli indigeni non c’era ormai altra scelta: o rassegnarsi a scomparire, o ribellarsi. Alla fine i Francesi prevalsero, grazie al potenziale militare sbarcato, ma soprattutto al tradimento dei Baxea di Canala e degli Houaïflou, che all’ultimo momento passarono con i ’’padroni”; fu per tradimento che venne assassinato e decapitato (la testa era soggetta a taglia) il capo della rivolta, Ataï; e così pure l’altro capo Battista. Caddero in combattimento i loro successori, Naina e Kaupa. La rivolta fu domata facendo letteralmente terra bruciata. La repressione fu senza alcuna pietà. Fucilazioni, villaggi incendiati, coltivazioni bruciate portarono le popolazioni alla disperazione e alla fame. I capi che si arresero, deponendo le armi, furono deportati con tutta la loro tribù, intere regioni furono del tutto spopolate e fu necessario quindi importare manodopera. Sulla stampa vi fu chi chiese la ’’soluzione finale”, cioè lo sterminio dei Kanaki senza distinguere tra ribelli e collaborazionisti. Il genocidio era comunque pressoché completo: la società kanaka non esisteva più, travolta, sconvolta dalla rottura di ogni legame con la terra, privata delle risorse economiche tradizionali.  I musei etnografici di Francia si riempirono di ’’reperti” indigeni, a cominciare dalla testa di Ataï, spedita a Parigi come trofeo, per finire agli oggetti tolti ai prigionieri, cui si toglievano non soltanto le armi, ma anche gli ornamenti, taluni di grande fascino, nei quali si trova un pezzetto di carta ingiallito scritto scrupolosamente dalla mano del donatore (oggetto preso sulla testa di… capo…, luogo e data). Ma questi oggetti, come giustamente nota Roselène Dousset-Leenhardt (figlia del missionario Leenhardt, forse il più grande amico occidentale dei Kanaki), avevano una funzione precisa, erano la vita stessa degli antenati, e quindi indispensabili all’equilibrio vitale, poiché il Melanesiano non teme i vivi, ma ha un profondo timoroso rispetto per i defunti. I Francesi riuscirono così a uccidere due volte quei Kanaki che sembravano indomabili. Possiamo far risalire a quei luoghi e a quegli anni la prima grande incomprensione dimostrata dai progressisti europei (marxisti compresi) per le lotte di liberazione delle popolazioni tribali; infatti i deportati della Comune (con l’unica eccezione di Louise Michel) nella disperata insurrezione del 1878-79 non seppero riconoscere alcun punto in comune con quella del 1871 parigino, e arrivarono persino a vantarsi di aver efficacemente collaborato alla vittoria sui ’’selvaggi”: incomprensioni e argomenti remoti che ritroviamo oggi e che ci spiegano l’isolamento (quando non la repressione) dimostrato dai progressisti latino-americani nei confronti degli Amerindi del Centro e Sud America. Alla fine dell’800 – principio del’900 – vi fu un tentativo di ricostruire e riunire un clan tradizionale grazie alla disponibilità coraggiosa di un bianco, Marc Le Goupils. L’antica tribù di Nagoumé e il suo capo Samuel ritrovarono l’antico possedimento, si riunirono in comunità e si governarono con le proprie leggi tradizionali, beneficiando anche del progresso tecnico portato dai bianchi. Ma quell’esperimento permetteva all’economia e alla personalità melanesiana di ricomporsi in quanto tale; mentre la logica della colonizzazione è l’assimilazione, (l’annichilimento della personalità degli autoctoni, 1’ “acculturazione”. Furono inviate proteste e petizioni al governatore, e sulla piccola comunità accusata di preparare una nuova insurrezione si abbatté la repressione: tutti i responsabili furono arrestati con diversi pretesti e Marc Le Goupils espulso. Sembrava tutto finito, quando nel 1913 scoppiò nel Nord una nuova rivolta, guidata da Maurice Peatou; ma la vera ’’guerra del Nord” scoppiò nel 1917: gli insorti combattevano una volta ancora da ’’uomini invisibili” nelle foreste. Si mise la taglia sulla testa del capo, Noël Doui, catturato, alla fine, per il tradimento di due deportati, da lui invitati a rifocillarsi. Si scatenò una nuova repressione: ormai gli indigeni, ridotti al lumicino, rischiavano la completa estinzione.

Dal genocidio alla nascita dei movimenti politici indipendentisti

Durante la seconda guerra mondiale l’isola fu occupata dagli Americani: McArthur definì allora la nuova Caledonia ’’una portaerei ormeggiata nel letto degli alisei”. Con la fine della guerra, l’isola divenne territorio d’oltremare (TOM) e ritornò suddita del ”re nickel” . In effetti dal 1880, e quindi per più di un secolo, Nuova Caledonia e SLN (Société Le Nickel) risultano strettamente legate e tendono ad identificarsi. La SLN ha assicurato in media dal 95 al 98% del valore totale delle esportazioni dalla Nuova Caledonia (il restante, dal 2 al 5%, era costituito dal valore delle esportazioni essenzialmente di copra e di caffè). La SLN era una società privata (con partecipazione in Françia della Société Minière et Métallurgique de Penarroya, della Mokta, della C.ie Française de l’Uranium e di altre minori; in Giappone della Nippon-Nickel e in Brasile dalla Morro do Nickel), presieduta dal barone Guy de Rothschild. Si trattava di un’impresa colossale che ha sempre ostentato i segni della sua potenza: edifici per gli alloggi e i magazzini, negozi e giornali propri, allevamenti di bovini, trasporti via terra e via mare, il complesso metallurgico di Doniambo, le centrali di estrazione… Un cancro che ha roso sempre più il territorio. Un monopolio di formidabile forza economica e di pressione, tale da condizionare la politica del governo di Parigi. Ma dopo gli anni del “boom” economico è giunta la crisi: il monopolio non è più in grado di produrre nickel a prezzi competitivi. Si decise allora di ristrutturare la SLN, prevedendo anche la partecipazione di capitali pubblici e di multinazionali che però richiedevano agevolazioni e privilegi fiscali. La crisi e la disoccupazione alimentarono la ripresa dei movimenti indipendentisti che, presentatisi sulla scena politica negli anni ’70, dovevano soppiantare gli autonomisti classici dell’Union calédonienne (senatore Rock Pidjot, ora deputato separatista). Nel 1969 nascono i “Foulards rouges”, sostenitori di una società neocaledoniana multirazziale; e poco dopo altri gruppi indipendentisti come il “Gruppo 1878” (l’anno della rivolta di Ataï), nei cui programmi l’indipendenza era sostenuta anche a costo della lotta armata. L’assassinio di un giovane kanako di 21 anni, Richard Kamonda, da parte di un poliziotto, il 28 dicembre 1975, mobiliterà i giovani aborigeni, non più rassegnati a rinnegare le loro origini e a vivere la propria condizione etnica con vergogna e fatalismo. L’“Union multiraciale”, diretta da Yann Celene Uregeli, il 25 giugno di quello stesso 1975 richiedeva l’indipendenza e l’invio di una delegazione all’ONU. Anche 1’“Union calédonienne” si dichiarò apertamente per l’indipendenza; artefice di questa evoluzione fu il nuovo segretario Pierre Declerq, che pagò con la vita il suo impegno (1981). Mitterrand, durante la campagna elettorale, promise l’indipendenza al caillou, il “sasso” nel lontano Mare di Corallo. L’irruzione del tema dell’indipendenza sulla scena politica locale è una verifica anche per le comunità religiose. Il cattolicesimo arrivò con i conquistatori e, pur essendo ormai profondamente radicato, si è compromesso con la storia del colonialismo per cui molti lo chiamano “la chiesa dei bianchi”. Cinque degli undici preti kanaki hanno lasciato il sacerdozio e sono ora fra i leader degli indipendentisti; fra questi, Jean-Marie Tjibaou che è stato, fino al 18 novembre scorso, vicepresidente dell’esecutivo territoriale. Egli dichiara: “Non aspettiamo più nulla dalla chiesa; che non si occupi più di noi”. F. Filloux presentava su “Le Monde” (24.12.1948) il travaglio di quest’uomo che, la sera prima di pronunciare il suo duro discorso contro la chiesa, si era raccolto in preghiera nella cattedrale di Nouméa, solo. Per i protestanti, invece, è diverso. La confessione evangelica arrivò poco dopo la grande insurrezione del 1878, portata da Melanesiani provenienti dalle Samoa e dalle Loyalty, dove molti Neo- caledoniani erano stati deportati; il messaggio del Vangelo giunse attraverso il legame delle parentele che intessevano i clan, apparendo come un “nuovo sapere” che avrebbe permesso di rimettersi in piedi e di far fronte al colonialismo dei bianchi. I protestanti sono 36.000, di cui ben 31.000 kanaki, 4.000 polinesiani e soltanto 1.000 europei; hanno settanta pastori, tutti kanaki, tranne uno che è malgascio. L’Eglise évangelique Nouvelle Calédonie (EENC) ha preso nettamente posizione a favore dell’indipendenza, mentre nel 1979 l’allora arcivescovo di Nouméa, Eugène Klein, dichiarava: “Non bisogna confondere la liberazione dell’uomo e della società con l’indipendenza politica. Gesù Cristo non si è mai occupato dell’indipendenza politica, ma ha voluto rendere l’uomo interamente libero perché possa fare, senza egoismo, le sue scelte nella società.”1 Le scelte di coscienza, cui l’autorità cattolica rimandava, sono state in effetti diverse, poiché gli Europei si sono arroccati nella difesa dei loro privilegi (quindici famiglie francesi posseggono un terzo della terra; degli Europei sono le miniere di nickel e i giacimenti di oro, cromo e manganese; esiste un solo magistrato indigeno che però esercita a Parigi: tutti i funzionari, i professori, i tecnici sono francesi), mentre la gran parte dei Kanaki cattolici si sono schierati con il Fronte nazionale di liberazione socialista (FNLSK) nel quale sono confluite le organizzazioni indipendentiste.

 

Gli ultimi avvenimenti

Il 18 novembre si svolgono le elezioni per il rinnovo del Consiglio generale (assemblea territoriale di 25 membri), ma il FNLSK non riconosce lo statuto coloniale e i suoi organismi; di conseguenza boicotta le votazioni. Diversi sindaci melanesiani non si oppongono alla distruzione delle urne elettorali nei villaggi. La partecipazione non va oltre il 50%, con la quasi completa astensione dei Melanesiani, posto che essi rappresentano il 44% della popolazione. Dopo aver rischiato l’estinzione a seguito della seconda grande repressione successiva all’insurrezione del 1917, gli aborigeni sono andati via via aumentando, pur rimanendo ancora minoritari rispetto ai caldosci (gli abitanti di origine francese, discendenti degli immigrati coloni e dei deportati) e agli immigrati polinesiani e asiatici. La formazione gollista locale (RPCR, filiazione della RPR metropolitana), aspramente antindipendentista, ottiene così la stragrande maggioranza dei voti espressi e nomina presidente dell’assemblea un Kanako collaborazionista, Dick Ukeiwé. Si determina allora una situazione di completa rottura (poiché l’isola dovrebbe essere governata da un governo per nulla rappresentativo), tanto da preludere a un’insurrezione. Sembra siano tornati i tempi di Ataï e di Doui. A Wé, nell’isola di Lifou, da cui proviene il neoeletto presidente, gli insorti del FNLSK sequestrano come ostaggi il viceprefetto J.C. Demar con i familiari e il suo collaboratore M. Jeanzac. In tutta la Nuova Caledonia si formano barricate e blocchi stradali. A Conception, alle porte di Nouméa, il 25 novembre, il FNLSK proclama il governo provvisorio kanako chiamando alla presidenza l’intellettuale, ex sacerdote, Jean-Marie Tjibau (che, come abbiamo visto, era il vice presidente del precedente esecutivo ufficiale). Uno dei maggiori esponenti del Fronte, Eloï Machoro, un ex maestro, enuncia le sei richieste degli indipendentisti al governo francese: diritto all’autodeterminazione e relativo referendum riservato soltanto ai Kanaki, entro il 1985 (e non 1986 come era stato offerto, già avvicinando il primitivo termine fissato nel 1989); annullamento delle elezioni del 18 novembre; liberazione dei prigionieri kanaki; chiusura dei procedimenti amministrativi (a carico degli insorti); protezione dalle rappresaglie dei filofrancesi; rapporto esclusivo con il FNLSK. Il 29 novembre J.M. Tjibaou e il ministro delle Finanze del governo provvisorio, Yewene, si recano in visita nell’ex condominio coloniale inglese delle Nuove Ebridi, oggi Repubblica di Vanuatu, per chiedere – come in effetti otterranno – appoggi finanziari e riconoscimento dai fratelli melanesiani che nel 1980 hanno raggiunto l’indipendenza. Il governo francese affida a Charles Barbeau, collaboratore del ministro degli Interni Pierre Joxe, l’incarico di trattare con il FNLSK, specie per il rilascio degli ostaggi sequestrati a Lifou. Gli ex ministri gollisti, M. Debré, M. Couve de Murville, J. Chaban- Delmas, M. Messmer e J. Chirac, reagiscono rabbiosamente attaccando il governo e pretendendo il rispetto dell’esito delle votazioni del 18 novembre. A fine novembre Gérald Cortot, collaboratore del presidente J.M. Tjibaou, dichiara che sono state accettate due delle sei condizioni (il diritto all’autodeterminazione, da esercitarsi entro il 1985; e il rapporto esclusivo con il FNLSK e il governo provvisorio); gli ostaggi sono liberati. La situazione sembra rasserenarsi, anche perché un colono che viveva nella brousse a Ouégoa (nell’estremo Nord), ritenuto ucciso dagli insorti, è stato ritrovato in vita. Ma il 12 gennaio avviene una nuova tragedia. Eloi Machoro, 39 anni, leader carismatico degli indipendentisti, e Marcel Nonaro, suo braccio destro, escono da una fattoria disarmati per dialogare con i gendarmi e sono assassinati a sangue freddo, tant’è vero che nessun altro rimane ferito, né tra i gendarmi, né tra gli altri militanti del Fronte. Tjibaou accusa alcuni membri dell’estrema destra di essere implicati nel duplice assassinio, tanto che uno di essi aveva affermato: “Si sa dove sono e, se il governo non agisce, si sa dove trovarli.” Machoro aveva replicato: “Molti vogliono vedermi morto. Ma, se riescono ad uccidermi, sorgeranno dieci, cento nuovi capi Machoro.” Il suo assassinio lo pone automaticamente nella leggenda epica, accanto ad Ataï ed a Doui. Sbarca a Parigi il contingente militare francese; l’opposizione a Mitterrand strepita: il leader del Fronte nazionale J.M. Le Pen e il sindaco di Parigi, J. Chirac chiedono le dimissioni di Edgar Pisani, alto commissario al TOM. Ma si riscontrano anche numerose manifestazioni di appoggio al popolo kanako organizzate dalla Lega comunista rivoluzionaria, dall’Unione dei lavoratori comunisti e dai Verdi. J.M. Le Pen fa celebrare invece una messa in memoria di Yves Tuai, un giovane bianco ucciso lo stesso giorno in cui erano caduti i due leader del FNLSK. Per appoggiare gli sforzi di E. Pisani, il cui piano prevede un referendum nel luglio 1985 per la scelta tra continuare a essere un territorio francese o essere uno Stato sovrano associato alla Francia, che continuerebbe a garantire la difesa e l’ordine pubblico, i rapporti con l’estero e la giustizia (cosicché Parigi conserverebbe il suo “pied-à-terre” nello scacchiere oceanico), Mitterrand sbarca a Nouméa il 18 gennaio, tra le manifestazioni dei sostenitori della “Nuova Caledonia Francese”, appoggiati dal sindaco Laroque e dal Partito gollista locale. Nelle dodici ore di permanenza sull’isola Mitterrand ha ricevuto tutti i rappresentanti politici (indipendentisti ed antindipendentisti), melanesiani ed europei, evitando accuratamente la folla dei coloni che lo insultavano clamorosamente. Nouméa era coperta di tricolori, e anche i marciapiedi erano stati dipinti di bianco- rosso-blu. Per incontrare J.M. Tjibaou, non potendo attraversare incolume la folla degli Europei, ha usato un elicottero dell’esercito. Mitterrand ha dimostrato un riguardo particolare nei confronti del leader che si dichiara socialista e che in passato aveva avuto stretti rapporti con i socialisti parigini; Tjibaou è stato il solo ad avere un colloquio a quattr’occhi con il presidente. Lasciando Nouméa, il capo dello Stato ha detto che “i fili del dialogo sono stati riannodati” tra le varie fazioni a confronto, ed è ritornato a Parigi un po’ più popolare che alla partenza. Il nodo più difficile, come sempre quando si tratta di riconoscere la “diversità” della società tribale, della sua economia e della sua cultura (si vedano le tragiche incomprensioni sandiniste nei confronti della Moskitia in Nicaragua), è quello rappresentato dalla terra e dalla diversa concezione del mondo, che oppone gli occidentali agli aborigeni. I coloni si sono ormai impossessati di più del 90% del territorio coltivabile; i Melanesiani vogliono recuperare quella che considerano la loro terra. Gli estesi giacimenti di nickel non danno più il benessere antico, poiché ormai quel minerale ha perduto valore. Ma non si tratta soltanto di restituire il maltolto. Per i Kanaki (come per gli Amerindiani, gli aborigeni australiani ecc.) la terra, “prima di essere una proprietà giuridica e lo strumento di una produzione economica, è il mezzo d’esprimere la propria anima ed il luogo dove vivono la storia”. Per Tjibaou, la terra è l’archivio di famiglia, da cui il popolo trae la sua origine. Strappando la terra ai Kanaki, i caldosci hanno strappato loro l’anima… Occorre ora ricostruire il moaro-pêrêne- ba (la casa-altare; il riferimento totemico ancestrale legato al territorio; l’etnia), ritrovare l’antico maciri (l’insieme di villaggi legati dalla comune origine familiare). Intanto i “collaborazionisti” sono sempre più isolati. Il presidente dell’esecutivo coloniale il 23 febbraio è stato cacciato dalla sua isola. Il “traditore” Dick Ukeiwé, fantoccio in mano dei caldosci, si era mosso da Nouméa con due suoi ministri (della Sanità e dell’Educazione), funzionari e giornalisti, per Lifou, la sua isola. Il capo locale, Henry Boula, ha incoraggiato centocinquanta giovani indipendentisti a occupare l’aeroporto alle sei del mattino; i 25 gendarmi, per evitare incidenti come erano successi la settimana prima a Thio (dodici feriti in una carica di polizia contro i Kanaki), non hanno usato la forza e i manifestanti sono rimasti padroni del campo. Stesi sulla pista del piccolo areoporto, i Kanaki non si sono mossi fino a quando il jet di Ukeiwé non ha invertito la rotta, riportando a Nouméa il presidente collaboriazìonista.

 

L’ultima drammatica cronologia

5-XII-1984: 9 Melanesiani del Fronte di Liberazione Nazionale Kanako Socialista (FLNKS) sono uccisi in un agguato dai coloni filo-francesi.

12-I-1985: Viene proclamato lo stato d’emergenza e rafforzato di oltre 1000 uomini il contingente francese, in conseguenza del fatto che l’ll gennaio è stato ucciso un giovane bianco, mentre il capo dell’ala dura del FLNKS, Eloi Machoro, ed il suo braccio destro Marcel Nonnaro hanno perso la vita in uno scontro con la polizia. Il FLNKS sostiene che sono stati uccisi a tradimento.

20-I-1985: F. Mitterrand rientra a Parigi dopo una breve visita in Nuova Caledonia ed il 24 gennaio riceve J.M. Tjibaou, presidente del Governo provvisorio kanako. Nell’isola si registrano gravi attentati contro gli impianti minerari (nickel). Grande manifestazione a Parigi delle sinistre e degli ecologisti in appoggio al FNLKS.

8-III-1985: Nel corso di una manifestazione del FLNKS, è ucciso un maggiore della polizia coloniale francese. È la ventesima vittima dal 18-XI-1984 (giorno delle elezioni per il consiglio generale della Nuova Caledonia, boicottate dal FLNKS).

25-IV-1985: Il Governo francese adotta un piano per giungere tra due anni all’indipendenza della Nuova Caledonia “associata” alla Francia.

8-V-1985 Una riunione popolare organizzata dal FNLSK a Nouméa si è trasformata in una gigantesca “caccia al kanako”, su iniziativa dei gollisti e dei fiancheggiatori del potere coloniale (RPCR e Fronte Caledoniano) che erano scortati dalla polizia. Questo fatto ha rafforzato le posizioni della corrente più “morbida” del FNLKS che aveva sconsigliato la manifestazione, fornendo una nuova prova circa la necessità di evitare scontri aperti tra indipendenti e filo-francesi; scontri che hanno in pratica effetti suicidi. Da allora, il FNLKS appare più unito nella strategia di prospettare alternative politiche credibili.

13-V-1985: Nuovi scontri si registrano a Nouméa.

19-V-1985: Congresso del “Fronte Unito di Liberazione Kanako” (FULK), una delle organizzazioni “dure” aderenti al FNLKS. Il Congresso respinge il piano governativo per l’accesso graduale ad un’indipendenza di una Nuova Caledonia “associata” alla Francia. La direzione dell’Unione Caledoniana (UC) – la maggiore organizzazione aderente al FNLKS – invece si pronuncia per la partecipazione alle elezioni. I “comitati di lotta” influenzati dal PALIKA (Partito di Liberazione Kanako), altra organizzazione aderente al FNLKS, sono parimenti poco inclini al compromesso.

21-V-1985: E. Pisani è nominato ministro per la Nuova Caledonia. Nella precedente sua carica di delegato del Governo per quel TOM (Territorio d’Oltre Mare) è sostituito da Fernand Wibaux.

26-V-1985: Ha luogo il 3° Congresso del FLNKS a Hienghène. Il Fronte di Liberazione Nazionale Kanako Socialista, pur rigettando la logica neocoloniale del piano governativo sulla Nuova Caledonia, accetta di partecipare alle elezioni di settembre che costituiscono un elemento di questo piano.

29-IX-1985: Le elezioni per il nuovo Consiglio regionale (quelle che si erano svolte il 18-XI-1984 erano state boicottate dal FNLKS ed avevano visto vittorioso il Partito della popolazione europea” con 34 seggi su 40) vedono gli indipendentisti vittoriosi in 3 regioni su 4. Il FNLKS amministrerà pertanto il Nord, il Centro e le isole della Loyautés. I filofrancesi sono ormai rinchiusi nell’enclave di Nouméa, la capitale, ma hanno confermato la loro superiorità percentuale (60%) e nel nuovo Consiglio hanno 29 seggi su 43. Il risultato ha portato ad una radicalizzazione della lotta: se il FNLKS che aveva boicottato le elezioni del 1984 è stato per un certo verso recuperato alla dialettica politica distogliendolo dalla lotta armata, è fallita però l’ipotesi auspicata da Parigi dell’affermazione di una terza forza capace di gestire il passaggio all’indipendenza “associata” alla Francia. Il “Partito Moderato dei Cotoni’’ (RPC) ha ottenuto infatti un solo seggio, esattamente come tra i Kanaki ha fatto il moderato LKS. La battaglia è più che mai concentrata tra il FNLKS e la destra bianca (neogollisti e Fronte Nazionale di Le Pen).

15-III-1986: Elezioni parlamentari. Il FNLKS boicotta le votazioni.

Il Governo Chirac, nato dalle elezioni del marzo 1986, svuota sostanzialmente il progetto Pisani relativo all’indipendenza. Le divisioni amministrative territoriali, che hanno consentito agli indipendentisti del FNLKS (che riunisce l’UC, il FULK, l’UPM, il PSC, l’Unione Sindacale dei Lavoratori Sfruttati: USTE; nonché il PALIKA, dal quale si è staccato il LKS o partito di Liberazione Kanaki Socialista, il solo non aderente al FNLKS) di essere maggioritari in 3 regioni su 4 (soltanto la capitale Nouméa rimane dominata dal RPCR, succursale locale del RPR metropolitano francese), sono mantenute, ma le regioni subiscono uno svuotamento di competenze, in materia finanziaria e di politica del territorio. L’Alto Commissario nominato da Parigi è ormai il vero padrone della Nuova Caledonia, servito dai lacchè indigeni comprati (Ukeiwé). Inoltre, la presenza militare francese sul “caillou” (il ciottolo) va sempre più aumentando. Ogni possibilità di mediazione sembra caduta e la partita si gioca ormai soltanto tra l’indipendentismo kanako ed il potere coloniale francese. Sarebbe interessante sapere da che parte sta il Governo italiano. Probabilmente sta con il Governo “socialista” francese, semplicemente ignorando la tragedia della Nuova Caledonia. Della resistenza afghana si parla poco, di quella kanaka per niente. A Parigi si è organizzata la “Association Information et Soutien aux Droits du Peuple Kanak” (AISPDK), 14 rue Nanteuil, F-75015 Paris (tel. 5314328), che pubblica un bollettino d’informazione mensile ed ha edito un dossier “Le données de l’indépendance”.

Per la bibliografia, cfr. Libération Afrique, “dossier Nouvelle Calédonie”, mars- avril-mai 1985, n° 26 (14, rue Nanteuil, 75015 Paris).

 

Note

1Vi fu invece chi sostenne la tesi opposta, e che nel Vangelo riconosce la cronaca di una grande insurrezione palestinese contro il colonialismo romano (cfr. Raoul Roy, Gesù guerrigliero dell’indipendenza, Mursia, Milano 1979). Per quanto attiene alla Nuova Caledonia, crf. Roselène Dousset- Leenhardt; Terre natale terre d’exile, G.-P. Paris, Maisonneuve & Larose, 1975, (11, rue Victor- Cousin, Paris V), fondamentale per la comprensione della problematica e storia kanaka; e l’ottimo servizio di Renato Coisson, Il diritto e l’anima dei Kanaki in “La Luce – Settimanale delle chiese valdesi e metodiste”, n. 6, 8 febbraio 1985, Torino e Torre Pellice