La Repubblica di Macedonia è grande più o meno come la Sicilia ed ha la metà dei suoi abitanti.
Molto tempo fa in questo angolo di Europa (in realtà in un territorio più ampio che comprendeva anche parte della Grecia), nacque una delle più grandiose stirpi d’Occidente che arrivò a dominare il mondo e domina tuttora la nostra memoria.
Di quella storia, oggi rimane poco o nulla anche perché i moderni macedoni non sono i discendenti di Alessandro Magno, ma delle tribù slave giunte in questa terra dopo la caduta dell’Impero Romano. Tolto quel periodo storico, la Macedonia è stata una marginale provincia dei diversi imperi che si sono succeduti, quello bizantino e poi quello ottomano, per poi integrarsi nel regno di Serbia e poi nella Jugoslavia.
Eppure, da qualche anno, questa piccola nazione d’Europa, è uno dei laboratori delle più avanzate tecniche di “Rivoluzione colorata” che George Soros ha messo in piedi per i suoi esperimenti “democratici”.

Un salto indietro

Dal 1991, anno della sua separazione dalla Jugoslavia, la Macedonia è entrata nell’alveo dell’Occidente e, sia Unione Europea che Stati Uniti, hanno investito soldi e progetti atti a indirizzarla verso un cammino democratico.
In modo particolare l’America ha visto nella stabilità del Paese una garanzia per la turbolenta area balcanica e per questo non ha mai fatto mancare il suo appoggio spingendo anche per la sua integrazione in ambito Nato per ora bloccata solo dall’opposizione della Grecia.
Washington ha operato costantemente attraverso l’USAID, l’Agenzia governativa degli Stati Uniti che lavora per “promuovere gli interessi americani” ed il cui obiettivo è “sostenere la politica estera americana (…) espandere società libere stabili, creare mercati e partner commerciali per gli Stati Uniti”.
Per circa 20 anni l’azione dell’Usaid è stata tutto sommato equilibrata, governata da senso di realismo e limitata a creare una sfera d’influenza nel Paese in linea con le legittime esigenze geopolitiche dell’America. Ma dopo l’ingresso di Obama alla Casa Bianca, le cose sono cambiate.

Arriva Soros!

Il 27 febbraio del 2012 la Open Society di George Soros ha stipulato un accordo con il Governo degli Stati Uniti, di oltre 2,5 milioni di dollari per realizzare in Macedonia il Civil Society Project, il piano di democratizzazione della piccola nazione balcanica attraverso una serie di Ong e associazioni macedoni. Nel 2014, l’accordo è stato ampliato ad altre quattro organizzazioni civili (tutte connesse con la Open Society o finanziate da essa), per un investimento complessivo di 5 milioni di dollari da parte dell’Usaid e 500 mila dollari della stessa Fondazione di Soros.
I dati, le cifre, le associazioni e le attività svolte, sono pubblicati in un Rapporto molto preciso redatto da un gruppo di giornalisti macedoni raccolti sotto la sigla “Stop Soros“; rapporto che denuncia la collusione tra il governo americano e il finanziere illuminato e mostra la complessità delle connessioni e degli intrecci.
Nel rapporto si spiega come le organizzazioni che hanno ricevuto i milioni di dollari dal Governo Usa, attraverso l’Open Society, siano tutte emanazioni del partito di sinistra macedone SDSM (Unione Socialdemocratica Macedonia), derivazione del vecchio Partito Comunista dell’epoca jugoslava; e non è casuale che dal 2015 al 2016 queste organizzazioni coordinate dal SDSM, siano state le protagoniste delle proteste e degli scontri di piazza di quella “Rivoluzione colorata” che ha sconvolto la Macedonia portando alle dimissioni il governo conservatore in carica e alle elezioni anticipate; scontri guidati da leader come Pavle Bogoevski, attivista LGTB ed oggi anche parlamentare di sinistra, che appare spesso nelle foto con una t-shirt (forse) ironica con la scritta Soros-army.
Ora la Macedonia è attraversata da una crisi politica gravissima, senza una maggioranza di governo, con tensioni etniche che iniziano a scoppiare con la minoranza albanese. Insomma un perfetto caos creativo simili a tanti altri creati artificialmente da Geroge Soros nell’Europa orientale.
Lo schema Macedonia è molto simile allo schema Ucraina (dove tra l’altro, ricordiamo, il ruolo di Soros è ampiamente documentato)
Anche i personaggi sono gli stessi: come Victoria Nuland, la responsabile per le politiche eurasiatiche di Obama, che durante la Rivoluzione colorata si è recata in Macedonia “per incontrare gli attivisti civili ed incoraggiarli a continuare il loro lavoro”, esattamente quello che fece durante Maidan.

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Stop Soros

In una lunga e articolata analisi su The American Spectator, Victor Gaetan, ha spiegato come i tentativi di destabilizzazione della Macedonia da parte di Soros siano iniziati addirittura nel 1995, ma si sono realizzati solo quando l’arrivo di Obama alla Casa Bianca ha dato via libera (e denaro americano) alla strategia d’infiltrazione dell’Open Society.
Cvetin Chilimanov, giornalista di MIA (Macedonian Information Agency) e vicepresidente di STOP SOROS, ha spiegato come l’obiettivo dell’accordo USA-Soros non sia aiutare la nazione macedone ma far prendere il potere a forze politiche radicali di sinistra.
Ed è evidente come anche in Macedonia (come nel resto d’Europa) la sinistra sia perfettamente funzionale all’ideologia globalista che Soros vuole imporre in Occidente: immigrazione, dissoluzione degli Stati nazionali, disarticolazione del tessuto di valori tradizionali della società reale (e non di quella ideologica). D’altro canto la Macedonia rimane un Paese culturalmente e socialmente conservatore, la cui popolazione è fortemente legata ai valori della cristianità ortodossa, con un’opinione pubblica in netta maggioranza contraria a temi come l’aborto e i matrimoni gay (tra i temi più cari a George Soros).

Qualcosa sta cambiando?

Le operazioni di finanziamento Usa-Soros alle Ong macedoni sono continuate anche in tempi recenti e molte sono tuttora attive.
Non solo, ma secondo Gaetan un ulteriore finanziamento di 9,5 milioni di dollari è stato assegnato un anno fa all’Open Society e affidato a organizzazioni macedoni, se non fosse stato bloccato dal nuovo segretario di Stato Tillerson, nominato da Trump.
Questo è però il segnale che forse qualcosa sta cambiando. Forti della vittoria di Trump, migliaia di macedoni sono scesi in piazza per chiedere alla nuova amministrazione Usa la fine del supporto economico alla Open Society e la rimozione dell’ambasciatore americano ritenuto il vero esecutore del progetto Soros.
In America un gruppo di parlamentari repubblicani ha chiesto al Government Accountability Office (l’ufficio investigativo del Congresso) di aprire un’inchiesta per verificare i “rapporti inquietanti” che la missione diplomatica Usa a Skopje ha avuto in questi anni per favorire i movimenti di sinistra alterando persino le elezioni parlamentari.
Judicial Watch, organizzazione conservatrice per il controllo delle attività di governo, ha depositato un Freedom of Information Act (FOIA) per capire come sia stato possibile che l’Open Society di Soros abbia utilizzato denaro pubblico Usa per destabilizzare la democrazia macedone coordinando e finanziando ONG di sinistra con l’obiettivo di rovesciare il governo in carica.
Non solo nella terribile Russia di Putin o nella “xenofoba” Ungheria di Orbán, ma ora anche nella filo-americana Macedonia e negli stessi Stati Uniti dell’èra Trump, sconvolti dagli scontri organizzati dagli umanitaristi colorati, si inizia a riflettere sul ruolo di destabilizzazione delle democrazie che lo Shelob del Nuovo Ordine Mondiale svolge da anni nell’assoluta impunità internazionale.
Quello che i progressisti del mainstream intellettuale e giornalistico relegano a narrazione complottista, oggi sta diventando sempre più un tema politico centrale per definire il nuovo fronte di conflitto tra identità nazionali e dominio delle élite globaliste. Forse è questo il nuovo dilemma attorno al quale si gioca una nuova dimensione degli Stati post-moderni: la sovranità di una nazione appartiene al popolo o a George Soros?

Giampaolo Rossi, “Blog il Giornale.it”.