Dalle prime rivolte degli schiavi alla “départementalisation”. La figura di Aimé César


Oggi la lotta per la liberazione nazionale in Martinica è essenzialmente una civile battaglia politica, ma non è sempre stato cosi, e non è escluso che la rabbia e la disperazione determino ancora fatti rivoluzionari.

La Martinica, in effetti, ha già conosciuto insurrezioni che, scaturite nel sud dell’isola, si sono poi estese a tutto il territorio del possedimento francese. Così nel 1848, con la caduta di Luigi Filippo e la proclamazione della II Repubblica, prima ancora che nelle Antille fosse promulgato il decreto voluto dal deputato locale e sottosegretario alle colonie Victor Shoelcher per l’abolizione della schiavitù (aprile 1848), le masse degli schiavi, divenute estremamente minacciose, erano insorte il 20 maggio in seguito all’arresto a St. Pierre di uno schiavo, Romain, che non aveva ottemperato al divieto di suonare il tamtam: gli schiavi della proprietà, delle altre piantagioni e del porto, udito il suono delle conchiglie marine (i lambi),si riunirono davanti alla prigione e chiesero la liberazione del loro compagno; quelli di Prêcheur, rientrando nel loro comune, trovarono la gendarmeria che, al comando del sindaco, grosso proprietario terriero, sparò sulla folla. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il consiglio comunale di St. Pierre, preso dal panico, votò all’unanimità l’abolizione della schiavitù: era il 22 maggio, e quel giorno è oggi celebrato dagli indipendentisti come festa nazionale. Ma la borghesia locale non tardò a riorganizzarsi e a restaurare una schiavitù appena mascherata da rapporti di lavoro vessatori, con salari di mera sopravvivenza, favoriti dal colpo di stato che sanzionò, con la dittatura del principe Napoleone Luigi Bonaparte, il II Impero. Dal 1848 al 1870 vi fu il passaggio dalla società schiavista a quella capitalista.

Ma, quando Napoleone III cadde sconfitto a Sedan (1870) e fu proclamata la Terza Repubblica, dal borgo agricolo meridionale di Rivière-Pilote, Eugène Locaille, che già fu uno dei capi dell’insurrezione del ‘48, e Louis Telgard si misero alla testa di un episodio rivoluzionario che può essere considerato, nei fatti, l’ultima rivolta di schiavi della storia. Sebbene le masse di colore fossero inferocite, soltanto quattro békés furono uccisi: si trattava di latifondisti bianchi noti per la faziosità reazionaria, sui cui possedimenti sventolava la bandiera bianca, simbolo non solo del legittimismo, ma anche del “potere bianco” (cioè, per i lavoratori di colore, di schiavismo); molti danni subirono invece le aziende, malgrado i capi volessero risparmiarle come fonte di reddito per una nuova comunità di eguali e liberi. L’intervento dell’esercito francese soffocò la ribellione nel sangue. Tutti i capi furono fucilati, malgrado le proteste dei progressisti del mondo intero (tra i quali il vecchio antischiavista Shoelcher), ad eccezione di Telgard che, protetto dall’omertà della gente, riuscì ad imbarcarsi e a fuggire nell’isola di Santa Lucia, soggetta alla Gran Bretagna.

Dopo il 1870, il proletariato della Martinica sembrò rassegnarsi alla dominazione francese. Occorre giungere al 23 dicembre 1959 per registrare una nuova sommossa popolare, ed è soltanto in questi ultimi anni che si notano sempre più i segni dell’insofferenza nel confronti della servitù coloniale. Nel 1946 il Partito Comunista francese, rappresentato in Martinica da Aimé César (il poeta, scrittore e autore di teatro che è ancora oggi la massima personalità culturale dell’isola), combatte per la départementalisation, cioè per ottenere lo statuto di dipartimento francese e quindi la piena cittadinanza ai sudditi del possedimento.

Ottenuta la “promozione” da territorio a dipartimento d’oltremare, ci si accorge ben presto che la situazione, ben lungi dal migliorare, peggiora sia economicamente, rendendo la Martinica completamente tributaria dell’economia metropolitana, sia giuridicamente, sottraendo l’isola alla competenza delle organizzazioni internazionali il cui ordinamento non può regolare gli affari interni di ogni singolo stato. Mentre il PCF rimane “leale” alla Repubblica francese, sostenendo che il dipartimento è quanto di meglio si possa ottenere, Aimé César denuncia l’imbroglio costituzionale, chiede la piena autonomia della Martinica, rompe con il PCF stesso e fonda il Parti Progressiste Martiniquais (PPM), autonomista. Sindaco della capitale Fort-de-France, deputato all’assemblea nazionale, a Parigi, dal 1945, rieletto al primo scrutinio alle elezioni comunali del ‘77 ed a quelle legislative del ‘78, Aimé César è indubbiamente la figura di maggior spicco e popolarità della Martinica, dove è considerato una specie di simbolo. Ma, come vedremo, sta ormai per essere scavalcato a sinistra da forze più giovani e radicali, proprio come egli aveva fatto apparire superata la politica del Partito Comunista che privilegiava la solidarietà con i lavoratori francesi rispetto alla lotta per l’autonomia.

Per inciso, la posizione dei comunisti è analoga nei confronti delle rivendicazioni delle “nazioni proibite” all’interno dell’esagono: Còrsi, Bretoni, Occitani, Baschi…