Atterro all’aeroporto di Phuket in una mattina piovosa. I miei pensieri sono contrastanti: da una parte sono fortemente incuriosito dal servizio fotografico che mi attende, essendo il tema qualcosa di insolito e scarsamente conosciuto; dall’altra parte quest’isola, famosa per la trasgressione, le discoteche e le spiagge, è quanto di più distante dal mio ideale di meta per un viaggio.
L’autista dell’albergo mi aspetta col classico cartello all’uscita degli arrivi dell’aeroporto. Mi mostra il suo miglior sorriso e mi accompagna alla macchina. Percorriamo i circa 50 chilometri che separano l’aeroporto dal mio albergo, a Kata Beach, in mezzo a un traffico che potrebbe fare concorrenza a una Via Tiburtina all’ora di punta. Parte del problema è causato da decine di cantieri stradali, come se l’intera Phuket fosse in ristrutturazione. Dopo circa 2 ore arriviamo all’albergo. Una struttura senza troppe pretese, ma molto al di sopra dei miei normali standard. Mi accordo per l’affitto di uno scooter per tutto il tempo della mia permanenza. Il personale è prodigo di informazioni per quanto riguarda ristoranti e divertimenti, ma scarsamente informato sull’argomento ragione del mio viaggio; mi viene comunque fornito un opuscolo in inglese dove campeggia la scritta: “Phuket Vegetarian Festival”. Sapevo che era questo il nome con cui questa manifestazione era chiamata in Thailandia e adesso, dopo aver assistito ai rituali e alle prove alle quali si sono sottoposti gli adepti, non posso fare a meno di sorridere ripensando alla scelta di un nome tanto poco evocativo rispetto alla crudezza di tale evento.


La mattina seguente inforco lo scooter e inizio il mio primo giro sotto un cielo plumbeo. Il festival tradizionalmente comincia alla vigilia del nono mese lunare del calendario cinese e dura nove giorni. Io sono arrivato in anticipo di qualche giorno per darmi il tempo di conoscere il territorio ed evitare di perdermi per Phuket alla ricerca dei luoghi che mi interessano quando il tempo non sarà dalla mia parte. Il Festival dei Nove Dèi Imperatori è una celebrazione taoista, ma non è celebrato in Cina. È un fenomeno appartenente solo ad alcuni Paesi del sud est asiatico, come Myanmar, Singapore, Malesia e Thailandia. Qui a Phuket è sostanzialmente seguito dai tailandesi con discendenza cinese, che sono circa il 35% della popolazione. Questo spiega i numerosi templi cinesi (san jao) eretti sull’isola in omaggio ai Nove Imperatori.

Raggiungo il tempio Bang Neow che si trova a Phuket Town, caratterizzata dall’architettura coloniale. L’atmosfera che si respira è già quella della vigilia di un evento di enorme importanza. I manifesti del festival compaiono ovunque e la maggior parte della gente indossa già i tradizionali abiti bianchi. Io stesso mi procuro maglietta e pantaloni bianchi, dress code obbligatorio per poter assistere alle cerimonie. Per le principali arterie della città sono già dislocati migliaia di banchi dei venditori di cibo Je, ovvero di origine vegetale. Una delle dieci regole per i fedeli è infatti l’astenersi dal consumare carne per tutta la durata del festival.
Il festival ha origine nel 1825 nel distretto di Khatu, a quel tempo ancora invaso dalla giungla, dove viveva la comunità cinese che estraeva lo stagno dalle miniere. Una compagnia di teatranti itineranti provenienti dalla Cina giunse a Khatu per intrattenere i minatori. L’intera compagnia contrasse un morbo sconosciuto e decise di adottare una dieta strettamente vegetariana per onorare due degli Dèi Imperatori: Kiew Ong Tai Teh e Yok Ong Sone Teh. Tutti i teatranti guarirono in breve tempo e gli abitanti di Kathu, sbalorditi, decisero di abbracciare la loro fede, considerandola la ragione di tale miracolo. I Nove Dèi Imperatori fanno parte del pantheon taoista e sono figli del Padre Imperatore Zhou Yu Dou Fu Yuan Jun e la Madre del Grande Carro Mu Yuan Jun che custodisce il Registro della Vita e della Morte. Il Grande Carro in questione è esattamente il raggruppamento di stelle più brillanti della costellazione dell’Orsa Maggiore. I Nove Dèi corrispondono infatti alle sette stelle visibili dell’Orsa Maggiore più due generalmente non visibili a occhio nudo.
Il festival cade in un periodo poco propizio per i turisti, poiché in autunno, in particolare ad ottobre, le paradisiache spiagge di Phuket sono colpite dai monsoni. Dal giorno seguente al mio arrivo il mio soggiorno è stato funestato dalle improvvise piogge torrenziali tipiche del clima tropicale.
Lascio l’albergo ogni mattina alle 4; in molti templi le attività cominciano alle 5 e non posso rischiare di perdere una cerimonia. Sono venuto per questo. Dopo pochi minuti in scooter poche gocce sulla faccia preannunciano l’apertura delle cateratte. In lontananza è ben visibile un muro d’acqua in rapido avvicinamento e prima che riesca anche solo a rallentare mi ritrovo in mezzo alla tempesta. Nonostante i teli incerati e la giacca impermeabile mi ritrovo totalmente fradicio in pochi istanti. Spesso sono costretto a fermarmi perché l’acqua battente mi impedisce di tenere gli occhi aperti. Appena guadagno un riparo il primo pensiero va all’attrezzatura fotografica. Ho coperto con un sacco di plastica lo zaino e sono stato attento a tenere il tutto sotto il mio incerato. In questo modo macchina e obiettivi sono rimasti sempre all’asciutto, al contrario di me.

È la vigilia del festival e mi reco al tempio Jui Tui, vicino al mercato grande lungo la strada per la città. In tutti i templi, durante il pomeriggio del giorno precedente all’inizio del festival, viene celebrata la cerimonia di apertura. In mezzo a una folla oceanica, gli adepti issano a braccia e con l’ausilio di corde un lungo palo ricoperto di lamine dorate, chiamato Go Teng. Il palo ha la funzione di invitare gli dèi a scendere dal cielo e a raggiungere i fedeli. I festeggiamenti vanno avanti tutto il pomeriggio e, esattamente a mezzanotte, sul palo vengono appese nove lanterne, una per ogni Dio Imperatore: ha inizio il festival.
Oltre all’elevazione del Go Teng, il festival si compone di numerosi e spettacolari rituali, nessuno dei quali è per deboli di stomaco. Bagni in olio bollente, speciali scale fatte di lame da percorrere a piedi nudi, camminate sui carboni ardenti ed esplosioni di petardi sui corpi nudi, fino alle più brutali e impressionanti perforazioni delle carni, tali da fare ribrezzo anche ai più accaniti sostenitori del body piercing.
I protagonisti indiscussi di tali performance sono i Mah Song. Mah in lingua thai significa cavallo e, in questo caso, fa riferimento a come gli dèi usino i corpi di questi uomini come veicolo, incarnandosi in loro per tutta la durata del festival. I Mah Song manifestano poteri sovrannaturali e portano buona sorte alla comunità: attraverso i supplizi autoinflitti veicolano il male su se stessi, strappandolo agli altri. Si dividono in due categorie: i primi sono persone non sposate che sono state scelte dagli dèi per le loro qualità morali. Gli altri invece hanno avuto la premonizione di un sacerdote riguardo alla loro morte imminente. L’unica speranza per prolungare la loro vita è affrontare le prove del festival e, di conseguenza, purificarsi.
I templi sono ricolmi di offerte e statue dell’immenso pantheon taoista. Ognuna di loro rappresenta un potenziale dio che entrerà nel corpo del proprio prescelto. Alcune hanno il volto coperto in attesa di scegliere il Mah Song più meritevole. Alle prime luci dell’alba l’aria si riempie di suoni dei gong e delle campanelle, e uomini, donne e persino qualche bambino fanno il loro ingresso nel tempio, in direzione dell’altare. Muovono la testa da destra a sinistra, in modo ipnotico. Hanno gli occhi ribaltati ed emettono suoni innaturali. In piena trance raggiungono, chi danzando, chi correndo, le statue degli dèi e colpiscono violentemente l’altare con le mani aperte, come dei forsennati. Gli addetti del tempio procedono alla vestizione degli aspiranti Mah Song con grembiuli riccamente ornati e ricamati. Quando gli dèi prendono possesso dei loro corpi i Mah Song hanno un sussulto e si precipitano fuori dal tempio. Ora possono affrontare ogni tipo di tortura, poiché il dio, se il posseduto si dimostrerà sufficientemente puro, non gli farà provare dolore.
Uno dopo l’altro raggiungono il piazzale antistante il tempio. Il dio che li cavalca ha già scelto per loro il tipo di supplizio che dovranno affrontare per dimostrare di essere degni di lui. Assisto, tra l’incredulo e l’affascinato, a una sorta di danza ancestrale dove decine di posseduti si percuotono con bastoni, si fustigano con fascine di salice incendiate e si infliggono profondi tagli nella lingua con accette affilate. Ma lo spettacolo più raccapricciante mi viene offerto da coloro che hanno tranquillamente preso posto sulle sedie di plastica sparse nel piazzale. Questo genere di lesione non può essere eseguita in autonomia, quindi ognuno di loro si avvale dell’aiuto di un reduce di precedenti edizioni del festival e Mah Song a sua volta negli anni passati. Spesso è un parente, un amico o semplicemente un esperto che ha eseguito centinaia di volte questa operazione. Armato di un lungo punteruolo metallico pratica delle lacerazioni nelle guance del posseduto, affondando il cono d’acciaio nella carne tanto quanto il foro dev’essere grande. Questo perché il taglio è propedeutico all’inserimento di oggetti sacri al dio, come spade, pugnali, lance, ma anche piante, armi da fuoco, eliche di navi, attrezzi da giardinaggio, pali con stendardi e qualsiasi altro oggetto di uso comune dalla forma atta allo scopo.
Alle origini del festival le perforazioni avvenivano esclusivamente con dei grossi aghi (più simili a spilloni) la cui impugnatura aveva scolpita in legno la testa di un dio. E ancora oggi i templi più ortodossi si limitano a questo tipo di supplizio. La cosa, mi spiegano, è degenerata negli ultimi anni, quando templi più giovani hanno deciso di adottare oggetti più grandi e più scenografici al fine di dimostrare che i loro dèi sono più importanti, secondo l’equazione “dolore più grande = dio più potente”.
Io stesso sono in preda a una sorta di trance e scatto fotografie ai Mah Song e agli assistenti come se non mi trovassi davvero li, come se la macchina fotografica fosse una barriera tra me e quel mondo sconcertante. In effetti in quel momento le sensazioni sono assenti, distanti. Mi renderò realmente conto dell’esperienza soltanto a casa, riguardando le fotografie.
Il preposto all’operazione indossa guanti di lattice, il punteruolo e gli inserti vengono disinfettati; nonostante questo siamo molto lontani dagli standard igienici occidentali. Quando entrambe le guance sono state perforate il posseduto ha già dimostrato la sua purezza d’animo se ha resistito fino a quel punto senza provare dolore. Chi non è degno abbandona prima o nel corso di questa operazione, come mi è capitato di assistere. Uno dei prescelti non aveva evidentemente raggiunto quello stato di ipnosi che gli impedisce di accorgersi del dolore e, dopo che la punta era penetrata per pochi centimetri, lo vidi contorcersi dalla sofferenza e chiedere di abbandonare.
In base all’oggetto scelto come inserto può essere necessario l’aiuto di una o più persone oltre a colui che pratica i tagli. Il Mah Song deve affrontare una lunga processione per le strade di Phuket (anche decine di chilometri) con le guance aperte e oggetti a volte pesanti o ingombranti, tenuti di traverso alla bocca. Per questa ragione quasi tutti vengono accompagnati in processione da amici e parenti che controllano che non si procuri danni ancora più gravi.
Per quanto strano possa sembrare i tagli sulle guance non sanguinano quasi mai. Potere del dio o bravura di chi esegue l’operazione? Difficile stabilirlo. Quello che è ancora più strano, e che chiunque mi ha confermato con forza, è la miracolosa guarigione delle ferite che avviene in modo naturale in pochi giorni. Le cicatrici di chi, negli anni passati, ha subìto questa pratica sono ben visibili, ma nessuno di loro ha applicato nulla di più terapeutico di un semplice cerotto.

Ogni dio ha caratteristiche proprie e le trasmette al posseduto come se ne muovesse il corpo a mo’ di burattinaio. Alcuni parlano solo cinese, mentre altri agiscono da folli, se il dio è famoso per la sua pazzia. Alcune donne sono possedute da divinità infantili e si comportano come bambine, altre spargono fiori e acqua benedetta poiché la dea che le possiede è fondamentalmente positiva. Molti sono irascibili e possono diventare violenti. Tutte le cerimonie e le processioni sono accompagnate da rumori forti: canti, urla e strepiti, fuochi d’artificio e amplificatori a tutto volume che riproducono canti sacri registrati riempiono i templi e le strade di Phuket per nove giorni. Più rumore c’è e meglio è, perché il frastuono tiene lontani gli spiriti maligni. Questo si traduce in un girone infernale dove si combatte una battaglia a colpi di decibel. Inutile dire che i tappi di cera sono stati i miei migliori alleati per tutto il reportage.

Il festival si conclude con la processione finale del nono giorno. La più grande, la più rumorosa, la più incredibile. Mi apposto nei pressi del municipio, sulla strada principale di Phuket Town. È tardo pomeriggio, ma so che la processione finirà a notte fonda. Mi è stato consigliato, oltre agli immancabili tappi per le orecchie, una mascherina per filtrare il fumo. Inoltre proteggo la macchina fotografica ricoprendola con più strati di cellophane. Lungo la strada i fedeli hanno approntato dei tavoli con le offerte, costituite da frutta fresca, tazze di tè e dolci.
Durante questa processione i Mah Song di tutti i templi convergono al centro della città per poi sfilare in direzione del tempio di Sapam, che si affaccia sulla baia omonima. L’arrivo della processione è ampiamente annunciato dallo scoppio dei petardi: rosse cartuccere appese a pali alti fino a tre metri, che esplodono in sequenza dal basso verso l’alto, guizzando e contorcendosi come un serpente sputante fiamme e fumo. Altri petardi rivestono totalmente gli enormi baldacchini che portano le statue degli dèi. Anche questi vengono fatti detonare, noncuranti dei portatori che vengono investiti dalle esplosioni. I Mah Song, scalzi e seminudi, invitano i fedeli a lanciare i petardi sui loro corpi: non temono il dolore o le ferite, poiché il loro dio li protegge. Ben presto l’ambiente è totalmente saturo del fumo delle esplosioni e, nonostante la mascherina, sono costretto ad allontanarmi spesso dalla strada per respirare. Tutto intorno a me è un crepitare di petardi, qualcuno afferra un bambino pochi istanti prima che una piccola bomba di carta esploda ai suoi piedi. I fedeli invitano i posseduti a bere e mangiare al loro desco, poiché l’offerta gli porterà fortuna; altri domandano i numeri che giocheranno alla lotteria. Dopo molte ore il corteo, composto da migliaia di persone, si allontana, le esplosioni cessano e il fumo, lentamente, si dissipa. La strada è totalmente ricoperta di uno strato di carta rossa, residuo dei milioni di petardi fatti esplodere. Il festival dei Nove Dèi Imperatori si è concluso anche quest’anno. Da domani i Mah Song torneranno alle loro consuete attività. Per nove giorni sono stati i protagonisti assoluti di uno spettacolo mistico che avrà forti ripercussioni sulla loro vita, poiché venire cavalcati da un dio, a Phuket, non è per uomini comuni.