In una lettera molto cortese, Flavio (che abita a Cuneo ma è di evidente origine valligiana d’oc) chiede se la nostra rivista abbia dato vita a una campagna per screditare l’occitanismo, a giudicare dagli articoli “sempre più frequenti” che trattano “a senso unico” delle valli piemontesi di lingua provenzale. Prima di rispondere tirerò giu il carico: “Etnie” sta per pubblicare un ebook firmato dalla Consulta Provenzale che è uno dei più approfonditi documenti di denuncia contro l’occitanismo.
Ma, detto questo, non è che noialtri come redazione abbiamo mai abbracciato la politica provenzalista contro quella occitanista. Parlando per me, non nutro livore per partito preso contro i seguaci di Fontan, anche se mi sono formato con i Buratti, i Baudrier e gli Arneodo. Quando curavo la pagina etnica della “Padania” (che, alla fine degli anni ’90, sotto la direzione dell’ottimo Gianluca Marchi era ancora un giornale degno di tal nome) ho ospitato alla pari le tesi del compianto Sergio Arneodo e di un dirigente del MAO, che tra l’altro in tema di sfruttamento del territorio alpino aveva tutte le sue ragioni. E recrimino anch’io, come Roberto Saletta, che alcuni provenzalisti abbiano rifiutato la “politica”… un atteggiamento peraltro molto piemontese e piemontesista di snobismo autolesionista.
Premesso umilmente che io sono un “esterno” rispetto alla diatriba, ammetto che, dell’occitanismo, un padanista convinto come il sottoscritto apprezza di pancia la coalizione tra comunità affini per combattere lo Stato centrale, il vero nemico mortale. Di primo acchito. Salvo poi riconoscere che a nessun padanologo (se non per gioco) è mai venuto in mente di inventare una koinè padana, che sarebbe il meno, ma soprattutto di volerla imporre al posto delle lingue locali. E noi sappiamo che il disegno degli occitanisti è proprio questo: un’unica lingua più o meno di sintesi – l’occitano – da parlarsi dall’Atlantico al Cuneese…
Fatto sta che un etnista (nel senso moderno, non quello di Fontan) è un misto di studioso dei popoli e di loro difensore, e per lui autonomismi e indipendentismi sono sì sacri, ma a patto di rispettare realtà antropologiche ed etnolinguistiche esistenti, non situazioni inventate. Se l’occitanismo non ha avuto presa sui popoli multiformi del Midi francese, non si capisce perché la dovrebbe avere in Piemonte. Vogliamo inserire la Provenza Alpina in una spinta politica di autodeterminazione? Facciamolo nell’àmbito del piemontesismo o del padanismo, considerandola uno dei nostri “fiori all’occhiello” etnici, come i walser o gli arpitani.
Forzare – come reazione a una forzatura distruttiva – la rinascita di lingue e culture può essere una buona idea, se si tratta di riportare in vita qualcosa che sta morendo o è già morta: ne è testimonianza la Cornovaglia, dove si ricomincia a parlare un idioma gaelico, il cornico, che si era estinto due secoli fa. Ma pigliare una lingua minacciata come il provenzale piemontese e, invece di sostenerlo e ridiffonderlo, pretendere di sostituirlo con qualche invenzione proveniente dalla Francia, si traduce in un’operazione altrettanto distruttiva. Ci saranno anche (e di fatto ci sono) centri culturali che si cibano con sincerità di questa cultura, spettacoli di musica “occitana” elettrificata in cui ragazze e ragazzi ballano con movimenti appresi in qualche dopolavoro, ma – tristemente – tutto ciò resta estraneo agli abitanti delle vallate. Solo e soltanto perché nella loro tradizione non ne esiste traccia…

La sindrome del guano

C’è poi uno stigma, un marchio congenito in questa filosofia… In forte disaccordo con illustri (e amati) colleghi come Gustavo Buratti e Gianni Sartori, sono convinto che la sinistra – soprattutto quella “italiana”, soprattutto quella che si dichiara tale nell’ultimo mezzo secolo – non solo non c’entri un accidente con l’etno-autonomismo, ma lo trasformi in guano a ogni minimo contatto. Centralistico e autoritario, il “progressismo” si interessa dei gruppi umani soltanto se c’è di mezzo un apparente sfruttamento economico. Terrorizzato dalla diversità etnica, nei pochissimi casi in cui si è affiancato agli autonomisti – Sardegna, Friuli, Piemonte provenzale – lo ha fatto solamente perché sentiva odore di povertà e di sfruttamento capitalistico. Non a caso, quando il Friuli ha perso la nomea di landa d’emigrazione ed è entrato idealmente nella ricca orbita della Grande Padania, alleanze tipo Movimento Friuli e Democrazia Proletaria sono svanite nel nulla.
È stata proprio questa mentalità poveraccistica ad alimentare l’immane fesseria delle Dodici Minoranze, sostanzialmente centralista e sinistrorsa, per cui sono tutti “italiani” tranne qualche indigente e innocua comunità (e ovviamente le minoranze ufficiali imposte dai trattati internazionali).
Da questo stato di cose nascono i miei ricordi di giovanissimo etnista… parliamo della seconda metà degli anni ’70… allorché cominciai ad avere a che fare con gli “occitani”: era tutta gente legata al CIEMEN, il Centre Internacional Escarré che, non so oggi, ma ai tempi era un ambiente di un’arroganza insopportabile. Siccome nel mondo etnico il mio “passaporto” era piemontese, venivo trattato come un colonialista “italiano”, con sufficienza, uno che doveva imparare cos’erano le vere minoranze, gli alloglotti, eccetera. Tanto che un giorno ne mandai un paio all’inferno, dandogli degli “acciugai” (storicamente, il mestiere di quei valligiani nell’economia piemontese).
Chiaro che quando un movimento autonomista, come il MAO degli esordi, ritiene che due chilometri oltre il suo comune inizi un mondo abitato da stranieri esteso dal Piemonte a Pantelleria, magari tagliando a metà intere famiglie di valligiani, la sua credibilità presso la popolazione è a rischio. Eppure questa faccenda dell’occitanismo, checché ne dicano i suoi detrattori, qualche successo ce l’ha. È un successo che puzza, però. Ha quello stesso odore degli entusiasmi mainstream, le cose di cui tutti noi dobbiamo rallegrarci: gli sbarchi dei clandestini, la vittoria dei partiti antropologicamente superiori, le trovate gender, le esternazioni papali… Se si naviga un po’ in internet sotto la voce “occitano”, si vedrà che sono tutti lì a ripetere a pappagallo la lezioncina sulle tot valli che parlano la lingua dei trovatori: wikipedia, i siti sulla scuola, la Pubblica Istruzione, gli studiosi della domenica, con l’ammirazione del bambino che ha scoperto il sesso. Tutto favorevolmente preconfezionato, senza neanche il dubbio che qualcosa non funzioni o che esistano fior di voci dissonanti. Mentre – al contrario – tutto ciò che si estende a oriente è tabù, con cattivoni, ricchi, egoisti, Padanie sempre “inesistenti”, particolarismi, ritorni a passati dialettali, eccetera.
No, personalmente non temo, come i provenzalisti, che la gente balli danze irlandesi a Milano o a Torino credendo che siano occitane, se questo può fargli entrare nel cervello che esistono comunità etniche da preservare e difendere. A spaventarmi è che ciò avvenga nei circoli ARCI, alle feste dell’Unità e nei centri sociali. Se fossi un nativo di quelle valli (occitane o provenzali, chiamatele come volete) sarei molto preoccupato dalla trasformazione in guano.