Breve premessa indispensabile: appare evidente come durante tutto il 2015 il governo spagnolo a guida Partido Popular abbia inasprito le politiche repressive sia nei confronti dei prigionieri e delle prigioniere baschi, sia perseguitandone gli avvocati (vedi gli arresti del gennaio 2015). Quanto al potere giudiziario ha messo in campo nuove norme giuridiche (sulla cui legittimità è lecito perlomeno dubitare) per ostacolare ogni liberazione legalmente prevista di prigionieri politici.
Adottando questa strategia, Madrid ha ottenuto soltanto di ostacolare ulteriormente il processo ormai avviato per una soluzione politica del conflitto. La strumentalità di questa presa di posizione governativa è apparsa chiaramente anche in occasione degli arresti in settembre di alcuni militanti di ETA che avevano un ruolo preciso nel processo di disarmo iniziato dall’organizzazione indipendentista (nonostante in maggio ETA avesse nuovamente espresso la volontà di procedere a ulteriori passi in tale direzione).
Perfino alcuni suoi esponenti hanno espresso dure critiche ai metodi del PP (come la presidente del partito nel Paese Basco che si è dimessa in ottobre).

Dopo le elezioni

Con le elezioni generali del 20 dicembre 2015 non è emersa nella penisola iberica una maggioranza chiara e i negoziati per un nuovo governo hanno incontrato diverse difficoltà. Al punto che non si escludono nuove elezioni. Comunque vada, il nuovo governo non potrà evitare di dare una risposta chiara, fondata sul dialogo e sui negoziati, alle richieste che pervengono sia dalla Catalogna sia da Euskal Herria.
Tra gli interventi più interessanti di fine anno, l’intervista realizzata da Inaki Altuna con David Pla e pubblicata su “Gara” il 15 dicembre (in euskara).
David Pla, uno dei delegati di ETA per la soluzione del conflitto, attualmente in carcere, ha spiegato quali fossero gli impegni (poi non mantenuti) del PSOE dopo Aiete. 1) Per la situazione attuale, ha sottolineato la necessità di ulteriori passi in direzione della soluzione e rivendicato la coerenza di ETA che “ha mantenuto tutto gli impegni” al contrario dei vari governi spagnoli. Riconosce come sia alquanto improbabile poter riaprire un dialogo con Madrid dopo il 20 dicembre (ultime elezioni) anche se “bisogna lavorare anche per questa eventualità, ma in ogni caso senza considerarla la principale della nostra strategia”.
A una domanda su Baigorri, in riferimento agli arresti – tra cui quello dello stesso Pla – operati congiuntamente da Guardia Civil e polizia francese in questa località della Nafarroa Beherea (Bassa Navarra, sotto amministrazione francese), 2) ha risposto che “quattro anni dopo Aiete, ETA ha avviato una profonda riflessione per definire la sua strategia e i passi ulteriori da compiere. Per questo stiamo raccogliendo le proposte di varie persone e soggetti politici”.
Per quanto è avvenuto dopo il 2011, non nasconde di provare una “sensazione agrodolce” in quanto “abbiamo costruito uno scenario politico ricco di opportunità, ma tuttavia non siamo in alcun modo dove avremmo desiderato”. David Pla ha poi sottolineato che il blocco del processo di soluzione produce “un contesto difficile e con molte carenze”. Si dice inoltre convinto che la stato spagnolo difficilmente potrà realizzare di propria iniziativa un processo di democratizzazione di tale portata da implicare il riconoscimento di Euskal Herria come nazione. Ritiene quindi che si debba “aprire un processo come popolo, con l’obiettivo di creare una convergenza di forze necessarie affinché Euskal Herria possa avanzare ulteriormente”.
Ha detto poi di considerare le ripetute violazioni dei diritti dei prigionieri politici come “un tentativo da parte dello Stato di creare uno scenario da vincitori e vinti”. Se invece si considera la cosa da un punto di vista più ampio si comprende come il progetto della Spagna sia sostanzialmente naufragato nel Paese Basco. Agli occhi della maggioranza dei cittadini baschi il governo spagnolo appare oggi come il maggior ostacolo per la pace e i partiti spagnoli a ogni elezione ottengono sempre meno consenso in questa regione.

Opportunismo del PNV

Il delegato di ETA si dice critico anche nei confronti del Partito Nazionalista Vasco. Ritiene infatti che l’obiettivo del PNV “non sia una soluzione ragionevole, ma tenda piuttosto a indebolire la sinistra abertzale”.
Non per niente il PNV è prontissimo a trarre beneficio dagli attacchi dello Stato alla sinistra nazionalista, approfittando del fatto che Arnaldo Otegi, potenzialmente il maggior avversario elettorale di Iniko Urkullu, lehendakari (presidente) del governo basco dal 2012, rimanga in galera.
Ha poi confermato che una delegazione di ETA era rimasta per sedici mesi in un Paese europeo (anche se non conferma che si trattasse della Norvegia), sotto la protezione di quel governo, con l’approvazione di Madrid (sia durante che dopo Zapatero) per dialogare e stabilire accordi, incontrando anche una dozzina di personalità internazionali e un inviato del governo a guida PP.
Un inviato, ricorda, che al suo ritorno a Madrid non venne ricevuto dall’esecutivo, lo stesso che lo aveva incaricato. Una episodio paradossale.
Pla ha poi espresso un parere molto favorevole sul documento prodotto dal gruppo di esperti definendolo “molto importante, soprattutto rispetto alla posizione assunta dagli Stati [Spagna e Francia] in quanto porta ulteriore credibilità al processo”. Oltre a essere stato determinante per la prosecuzione del processo stesso, smentendo i dubbi avanzati da Madrid sulle reali intenzioni di ETA.
Alla inevitabile domanda sul destino delle armi in dotazione a ETA, egli conferma che un quantitativo notevole è già stato sigillato (come ETA aveva precedentemente garantito) e altre armi lo saranno in seguito. Sottolinea che “ETA non aveva alcuna necessità di sigillare i propri arsenali, tantomeno di disarmarsi”. Quindi “per ora le armi possono restare dove stanno. ETA sta facendo questo per il bene del processo, perché vuole dare una risposta positiva a questo problema. E lo fa per decisione propria, non per stanchezza”. Tanto per essere chiari.

Appelli e campagne

Tra gli eventi significativi del 2015, di segno diametralmente opposto a quelli governativi, vanno ancora segnalate la Conferenza Umanitaria (giugno) e la Campagna “Free Otegi, Free Them All”.
E infine, per concludere questo breve riepilogo del 2015 nel Paese Basco, ricordo che la Dichiarazione internazionale “Free Arnaldo Otegi & bring Basque political prisoners home” era stata presentata il 24 marzo al Parlamento Europeo dal musicista Fermin Muguruza a nome di 24 firmatari. Nomi ben noti per il loro impegno nell’ambito delle lotte per l’autodeterminazione dei popoli e per la giustizia sociale: Leyla Zana, Leila Khaled, Angela Davis, José “Pepe” Mujica, Desmond Tutu, Fernando Lugo, Gerry Adams, Adolfo Pérez Esquivel, Slavoj Zizek, José Manuel Zalaya, Joao Pedro Stédile, Nora Cortinas, Lucia Topolansky, Cuauhtémoc Cardenas, Carmen Lira,
Ahmed Kathrada, Rev. Harold Good, Tariq Ali, Mairead Maguire, Ken Livingstone, Pierre Galand, Helmut Markov, Gershon Baskin.

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N O T E

1) Nel palazzo di Ayete, a San Sebastiàn, si è svolta il 17 ottobre 2011 la “conferenza di pace” in cui il movimento Euskadi Ta Askatasuna ha rinunciato formalmente all’uso della violenza.
2) Comunicato del 23 settembre 2015 del Movimento Pro-Amnistia e Contro la Repressione:
Ante la operación llevada a cabo por la Policía Francesa y la Guardia Civil contra ETA en Baigorri, el Movimiento Pro Amnistía y Contra la Represión quiere compartir su lectura:
Para empezar, queremos mostrar nuestra solidaridad con los militantes Patxi Flores, Ramón Sagarzazu, Iratxe Sorzabal y David Pla, todos ellos detenidos ayer. Igualmente y una vez más, queremos denunciar la actitud represiva de los estados español y francés y queremos hacer llegar todo nuestro odio a quienes vinieron a Euskal Herria a hacer la guerra. La Guardia Civil, las Policías Española y Francesa, las distintas policías autonómicas españolas… Todas ellas son instituciones terroristas que han utilizado y defendido las torturas, los asesinatos, los secuestros, la guerra sucia y la legalidad fascista y es absolutamente necesario hacer entender al pueblo que si queremos construir la paz, no la paz del opresor sino una verdadera paz basada en la justicia, es imprescindible seguir haciendo frente a estos perros rabiosos que se denominan “Fuerzas de Seguridad del Estado”. Estas organizaciones terroristas son mediante las que pretenden someter a Euskal Herria y, por lo tanto, queremos hacer un llamamiento a seguir trabajando concienzudamente para deslegitimar a las distintas policías.
El Estado español ha entendido bien la necesidad de imponer la “versión oficial” sobre lo sucedido en este conflicto, ha entendido la necesidad de legitimarse ante el pueblo. Los ataques de los últimos tiempos contra la libertad de expresión y en general la prohibición de cualquier iniciativa que ponga en entredicho la “versión oficial” se sitúan en esa lógica de legitimación del terrorismo de estado. Necesitan distorsionar el conflicto político que hay abierto en Euskal Herria como garantía de que en el futuro nadie haga frente desde una actitud combativa al fascismo que nos pretenden imponer.
Poner el nombre de “Operación Pardines” a las detenciones de Baigorri es un auténtico insulto para Euskal Herria. Recordemos que José Pardines fue la primera persona a la que ETA mató, en 1968. Pardines era Guardia Civil y por lo tanto miembro del ejército de Franco, uno de los responsables de mantener la represión contra Euskal Herria y el resto de pueblos que mantienen bajo el dominio del Estado español. Llamar “Operación Pardines” a una operación que tiene como objetivo acabar con la organización que más hizo contra el franquismo es una clara acción de apología del terrorismo y nos parece que es escupir tanto sobre los restos de las miles de personas asesinadas en nombre de España por el franquismo y la Guardia Civil como sobre los cadáveres de los asesinados por el Estado español después del franquismo. El pueblo deberá hacer un esfuerzo descomunal para que la memoria histórica y la verdad no queden en las cunetas.
Por otro lado y en lo referido a las consecuencias de esta operación, ha llegado el momento de hacer una lectura más profunda. Después de noviembre de 2004, encuadrado en la propuesta de Anoeta, a ETA se le impone el papel de negociar una salida a las consecuancias del conflicto en un posible proceso de negociación. También en la declaración de Aiete ese fue el trabajo que se le asignó a ETA, un trabajo que se limitaba a una “mesa técnica”. Esto quiere decir que la tarea de ETA en ese posible proceso de negociación sería el de tratar el tema de presos, huídos y deportados y el de la salida de las fuerzas de ocupación. Actualmente, sin embargo, no hay ningún tipo de proceso de negociación en marcha y los estados ven la posibilidad de acabar con ETA utilizando la vía policial. Sin duda, ese será el camino que seguirán los estados cerrando las puertas a cualquier negociación. No ven que puedan sacar ningún provecho de una negociación en una situación como la actual.
Así las cosas y descartada la posibilidad de la mesa técnica, resulta más importante que nunca activar al pueblo a favor de la reivindicación y la lucha por la amnistía. Ahora, remarcar el carácter político de los represaliados originados por este conflicto se convierte en algo de vital importancia y para hacerlo hay que organizarse y luchar. Para ello, el Movimiento Pro Amnistía y Contra la Represión quiere ofrecer al pueblo un marco para llevar esta labor a cabo, porque la única lucha que se pierde es la que se abandona. Jo ta ke amnistia eta askatasuna lortu arte!
En Euskal Herria, a 23 de septiembre de 2015.
Movimiento Pro Amnistía y Contra la Represión.