La Prima Commissione presieduta da Marino Finozzi (Lega Nord) approva, con il voto favorevole della maggioranza, il progetto di legge n. 116 d’iniziativa dei Consigli comunali di Resana, Grantorto, Segusino e Santa Lucia di Piave relativo alla “Applicazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali”.
“Questo progetto di legge è di portata fondamentale per il Veneto”, commenta il presidente Finozzi.  “Ha origine da una proposta arrivata da alcuni Comuni con la quale si vuole far riconoscere al Veneto il titolo di minoranza nazionale. Da tanto tempo il Veneto cerca di far conoscere al resto d’Italia le proprie caratteristiche di popolo, della propria storia e della propria cultura, così come previsto dal nostro Statuto. Il riconoscimento di minoranza nazionale ci permetterebbe di fare un passo ulteriore per quanto riguarda il riconoscimento della lingua veneta: ricordo che esistono Paesi come il Brasile che hanno già riconosciuto al veneto il titolo di lingua, quindi non vedo perché riconosciamo il sardo e l’occitano, per esempio – così come tante altre lingue che sicuramente sono parlate da una minoranza in questo Paese – mentre non viene riconosciuto il veneto, che è parlato da 5 milioni di persone,”.
Scontata la replica degli Zii Tom di turno: “Sinceramente, non ci sentiamo una minoranza nazionale”, ribatte il vicepresidente della Prima Commissione, Stefano Fracasso (PD). “Pensiamo che i veneti siano a tutti gli effetti degli italiani con le loro specificità e le loro eccellenze e anche con i loro vizi, ma questo autodefinirci minoranza ci sembra anche un modo per tirarci fuori dalle responsabilità che invece dobbiamo assumerci a tutti i livelli a partire dal quello nazionale, e non solo. Quindi questa proposta ci sembra stonata rispetto alle sfide che ci attendono come veneti nel Veneto e in Italia”.
Come dire che le comunità riconosciute dalla Convenzione quadro si tirano fuori dalle loro responsabilità e stonano rispetto alle sfide.

pdl 116 autonomia bilinguismo veneto - marino-finozzi
Marino Finozzi.

Ecco le premesse e il testo della proposta di legge.

REALIZZARE LA PIENA PARTECIPAZIONE DEL POPOLO VENETO ALLE ISTITUZIONI ITALIANE ATTRAVERSO IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DI “MINORANZA NAZIONALE” E IL BILINGUISMO VENETO-ITALIANO CHE NE CONSEGUE

Il popolo veneto è una comunità umana storica ed etnica insistente nel territorio dell’alto Adriatico fin dal 1200 a.C., ma in realtà sono numerose le attestazioni della presenza di veneti in varie e distantissime aree geografiche d’Europa: dalla Venetia del Baltico, alla Paflagonia in Asia Minore, dalla penisola Balcanica all’attuale Carinzia, da tutto l’alto Adriatico al “lacus venetus” in Svizzera, dai Veneti Atlantici della Bretagna e della costa atlantica ai Venetulani delle attuali Lazio e Campania, al paese di Venetico in Sicilia. A spingerli a questo furono probabilmente dei grandi sconvolgimenti climatici e devastanti terremoti nei secoli fra il XV e XII sec. a.C., ma anche importanti guerre determinati dalle armi in ferro, eventi che provocarono imponenti migrazioni indoeuropee che l’archeologia contemporanea attesta essere sempre più coincidenti con le migrazioni dei veneti. Sono infatti numerosissimi gli scavi che negli ultimi 20 anni hanno modificato la prospettiva sui veneti antichi, precedentemente chiamati “venetici” in virtù della loro lingua e scrittura apparentemente ben diverse dalla latina. Sono numerosissimi i reperti venetici tanto da poter concludere che i veneti erano una delle componenti principali e maggioritarie degli indoeuropei, ed essi portarono con sé la loro civiltà, i propri costumi anche sacrali, la lingua e varie tecniche di allevamento e coltivazione come le tecnologie dei metalli e della ceramica.
Tuttavia è il territorio che va dalle attuali province di Bergamo all’Istria che assunse il nome del popolo, Venetia, espanso anche nella Carinzia e fino all’Emilia della civiltà cosiddetta Villanoviana, e conservò questo nome nell’epoca romana (Venetia et Histria), nella Serenissima Repubblica di Venezia (ancora Venetia) e poi venne diviso prima in Veneto e Lombardia, poi nel Triveneto, e oggi suddiviso fra diverse regioni amministrative (Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Trentino, Lombardia) terre che ancora oggi in sostanza hanno la comune identità del territorio originario e spesso la lingua.
È un popolo il veneto che precocemente aveva una propria scrittura con proprio alfabeto, attestata esistente coeva a quella etrusca ma con proprie specificità, una scrittura insomma similare a quella diffusasi nello stesso periodo in altri territori come l’Umbria (Etruschi) e nel Lazio (Latini) ecc., denunciando ancora quella antica comune origine diffusa in diversi luoghi d’Europa.
Con la latinizzazione e le successive epoche, il popolo veneto dell’Adriatico ha sempre mantenuto una propria identità storica e linguistica, certamente divenuta oggi molto diversa da quella di 3200 anni or sono, anche a seguito della perdita di quell’autogoverno culturale e politico sempre avuto in precedenza.
La moderna lingua veneta conta documenti intelligibili fin dal 1200 d.C., è riconosciuta esistente anche dalla tabella ISO 639-3 con il codice “VEC”. La lingua veneta è parlata ancora oggi dalla maggioranza della popolazione residente nel regione Veneto, ma pure dalla maggioranza dei cittadini dei territori della Venezia nel regione Friuli-Venezia-Giulia (Pordenone, Trieste e Costa adriatica), ma pure nelle provincie di Trento come in ampia parte delle provincie di Mantova e Brescia già appartenenti alla Repubblica Veneta, mentre sono varianti ben distinte ma sempre della lingua veneta anche il Cadorino, Bresciano e il Bergamasco che sono di frontiera con altre lingue minoritarie. A questo ceppo linguistico veneto se ne aggiunge un altro molto numeroso che si trova in Rio Grande do Sul, in Brasile, e altri sparsi per l’Europa, come in Istria, Tulcea, Albania Veneta. I parlanti veneto nel mondo sono diversi milioni, ma non bisogna però confondere il fatto linguistico con il fatto “nazionale”. Infatti una persona può essere di una certa nazionalità, per esempio italiana, e contemporaneamente parlare prevalentemente una lingua diversa da quella comune alla nazionalità, come per esempio lo sloveno, o il tedesco o francese.
L’esempio più palese di questo fatto sono gli svizzeri, che pur essendo una stessa nazione (o popolo) parlano diverse lingue, in maggioranza il tedesco, ma anche l’italiano, il francese e altro.
Erroneamente si crede comunemente che la differente lingua sia la dimostrazione dell’appartenenza ad una diversa etnia, e allo stesso tempo si crede erroneamente che parlare la stessa lingua significhi avere la stessa nazionalità. È evidente infatti che non sono di nazionalità britannica gli statunitensi, i canadesi, gli australiani e molti popoli che parlano inglese in Africa, come non sono italiani gli svizzeri della canton Ticino.
Occorre quindi tenere distinto il fatto linguistico da quello nazionale, come per altro fanno le convenzioni internazionali in materia. Il riconoscimento delle minoranze linguistiche in Italia è avvenuto del 1999 dopo anni di elaborazione, in ottemperanza della “Carta Europea sulle lingue regionali e minoritarie” di fonte Consiglio d’Europa la cui ratifica legale in realtà non è mai avvenuta (l’Italia viene biasimata per questo e sarà presto condannata). All’epoca della preparazione della legge sulle lingue minoritarie la lingua veneta era stata giustamente e ovviamente censita fra quelle per le quali era dovuto il riconoscimento, ma nel 1997 le spinte secessioniste crearono nel parlamento italiano la paura che il riconoscimento della lingua avrebbe rinfocolato la spinta secessionista, per cui essa venne stralciata dalla lista.
Purtroppo quella grave lesione dei diritti linguistici non è più stata sanata poiché la materia delle minoranze linguistiche è riservata allo Stato dalla Costituzione (art.6). A nulla è valso nemmeno il riconoscimento regionale del Veneto della lingua veneta nel 2007, e il riconoscimento regionale della Regione Friuli Venezia-Giulia del 2011 per la sua parte di popolo, in quanto tali enti non hanno competenza in materia, almeno fino a quando non sarà ratificata la suddetta Carta sulle Lingue regionali e minoritarie.
Tornando alla questione delle minoranze nazionali, il fatto che un parlante una lingua minoritaria, o anche la maggioranza regionale dove essa esiste, si senta comunque parte di una nazione di lingua diversa (per esempio la minoranza albanese del Sud Italia si sente Italiana pur parlando albanese), non significa che tutti coloro che fanno parte di una certa minoranza linguistica si sentano della nazionalità dominante.
Esiste insomma il fenomeno delle “minoranze nazionali”, emerso nel diritto internazionale quando diversi indicatori già annunciavano la caduta del muro di Berlino ed il ritorno all’autogoverno di diverse minoranze. Il Consiglio d’Europa, preoccupato dei conflitti etnici che sarebbero emersi nel seguito della caduta dell’Unione Sovietica, e della rivendicazioni che sarebbero sorte dalle minoranze non più eterodirette, cercò di creare un quadro legislativo per questi fenomeni in realtà ben diffusi anche nell’Europa occidentale, e il tutto nel dichiarato tentativo di prevenire i conflitti e i tentativi di oppressione da parte degli stati tornati alla sovranità. Venne quindi creata la “Convenzione Quadro sulle minoranze nazionali”, di fonte Consiglio d’Europa appunto, emanata nel 1986 e ratificata dall’Italia con legge n. 302/1997, riguardante quindi coloro che si sentono appartenenti ad una comunità differente dalla comunità nazionale maggioritaria nello stato, e lo sono per alcuni aspetti come per esempio il fatto che parlano una lingua diversa, sono insomma delle “minoranze nazionali” che in quanto tali possono o meno parlare una propria lingua, ma non necessariamente.
Quando una comunità, per la propria storia, per i propri modelli sociali, anche economici, per la propria lingua o altro, si percepisce come differente dal resto della comunità nazionale, siamo di fronte ad una “minoranza nazionale” la quale ha il diritto non solo di avere particolari tutele previste dalla suddetta Convenzione, come posti riservati nell’amministrazione statale e locale, mezzi di comunicazione riservati come giornali e TV , ma pure il pieno bilinguismo negli uffici, scuole bilingue, cartellonistica stradale ecc. ecc., in lingua minoritaria, anche quando questa non sia stata riconosciuta dallo Stato.
Questi diritti delle minoranze nazionali e non dati alle minoranze linguistiche sono esistenti a priori, sono diritti umani inalienabili per affermazione della stessa norma, non sono una concessione politica dello stato, non possono essere messi in discussione o ridotti da una trattativa politica, la stessa convenzione li classifica come “diritti umani”, quindi fondamentali e preesistenti all’ordinamento giuridico e statale, chi li nega viola diritti inalienabili e la costituzione italiana come i trattati dell’Unione Europea.
Quello che la convenzione sulle minoranze nazionali porta a realizzazione è una situazione molto similare a quella che c’è in Sud Tirolo, forse ancora più marcata perché prevede che i flussi migratori nel territorio della minoranza nazionale siano gestiti dalla stessa rappresentanza della minoranza.
Le “minoranze nazionali” sono quindi una materia di diritto differente dalle “minoranze linguistiche”, anche perché se fossero la stessa questione allora la convenzione sulle minoranze si applicherebbe a tutte le minoranze linguistiche d’Italia, quindi si dovrebbero avere tanti sud Tirolo quante sono le minoranze nazionali. Invece le minoranze nazionali sono un fenomeno sociologicamente diverso, emerso nel diritto e riconosciuto dal diritto internazionale solo da pochi decenni, e per questo la materia non è nominata in Costituzione né assegnata.
A chi spetta quindi, nel riparto delle competenze costituzionali, riconoscimento delle minoranze nazionali ? Essendo competenza non elencata, essa spetta alle regioni in virtù della art. 117 c.4 della Costituzione, almeno fin tanto che non verrà modificato il Titolo V della stessa come il parlamento dei nominati sta facendo. Un parlamento, giova ricordarlo, che secondo la sentenza n. 1 del 2014 della Corte Costituzionale è stato eletto incostituzionalmente.
Perché il popolo veneto dovrebbe avere un diritto “speciale” ad essere riconosciuto come minoranza nazionale? Perché non si potrebbero riconoscere per esempio gli Insubri, o gli Apulei, o i Siciliani?
Come detto ogni ente regionale ha attribuzione costituzionale (ossia diritto) e dovere internazionale di riconoscere le minoranze nazionali presenti nel proprio territorio, facendo attenzione però a non confondere il territorio regionale con il territorio di presenza di una certa minoranza, per esempio in Friulia-Venezia-Giulia si potrebbero riconoscere i Friulani, ma avrebbero diritto di essere riconosciuti come altra minoranza i Veneti della Regione, come in Emilia e Romagna si devono riconoscere due distinte minoranze nazionali.
Tuttavia esiste un diritto speciale che il popolo veneto ha di essere riconosciuto da parte delle diverse regioni poiché esso è già stato riconosciuto “popolo” dall’art. 2 della legge costituzionale n. 340 del 1971 che istituiva la regione veneto, e seppure tale riconoscimento c’è anche nel nuovo statuto della regione veneto del 2012, emanato dalla regione stessa, questo non ha lo stesso valore costituzionale del riconoscimento del 1971 che venne invece emanato dal parlamento e in doppia lettura come per le riforme costituzionali.
Il popolo veneto è dunque già riconosciuto come soggetto di diritto esistente, per cui ad esso semmai si devono pure il diritto all’autodeterminazione (L. n. 881/1977), fatto riconosciuto anche con le risoluzioni 42/1998 e ancora nel 2012 ma senza alcuna utilità effettiva.
Riconoscere il popolo veneto come “minoranza nazionale” non è impegnativo sul piano della indipendenza, anzi, la stessa legge n. 302/1997 afferma che i diritti lì sanciti non debbono poi essere usati per raggiungere l’indipendenza, ed allo stesso tempo è proprio la negazione dei diritti di minoranza nazionale a legittimare invece eventuali azioni di indipendenza a causa del fatto che costituiscono violazione dei diritti umani fondamentali sul piano internazionale e sono causa giustificativa di secessione legittimata nel diritto dei popoli.
La regione veneto ha già riconosciuto il popolo veneto come soggetto di diritto internazionale, chiedendo pure un referendum regionale (e non di tutti i veneti) per l’autonomia o l’indipendenza, e dunque può tranquillamente riconoscere la minoranza nazionale del popolo veneto, e le due cose non sono in conflitto fin tanto che il popolo veneto non decida di esercitare la propria sovranità internazionale notoriamente scippata nel 1866 con plebiscito invalidato e poi annullato nel 2010 dallo stesso governo italiano.
Il riconoscere l’identità e l’autonomia specifica del popolo veneto quale minoranza nazionale significa riconoscere allo stesso tempo il suo appartenere alla Repubblica Italiana, ed è certamente competenza delle regioni (art. 117 c. 4 Cost.) il farlo, anche se questo porterà ai veneti uno status del tutto speciale sottoponendoli ad una amministrazione speciale similare a quella del Sud Tirolo ma pur sempre unitaria.
Il riconoscere ai veneti i diritti di minoranza nazionale non trasformerebbe la regione in una autonomia speciale, ma obbligherebbe invece l’amministrazione dello stato a rispettare la sfera dell’autonomia del popolo veneto, a trattarlo come tale, per di più dovendo lo stato assumersi i costi della salvaguardia e della realizzazione della minoranza nazionale, in realtà semplicemente dovendo provvedere ad una decurtazione della tassazione oggi avente un residuo di decine di miliardi a sfavore dei veneti. Insomma lo stato dovrebbe ridurre gli introiti regionali ad un ragionevole 10-20 per cento in linea con quanto avviene nei territori europei contermini.
Occorre inoltre ricordare che il popolo veneto essendo diffuso su più regioni, ai sensi della Convenzione succitata, ha pure diritto di essere amministrato da una stessa regione, come per altro tenderebbe a fare la riforma delle regioni con l’istituzione di una unica regione triveneta, e per gli stessi giuridici non ha senso parlare di una rappresentanza internazionale del popolo veneto da parte di una singola regione, che è un ente amministrativo dello stato sottoposto alle regole costituzionali, fatto per altro già statuito e riconosciuto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 365/2007.
Insomma il popolo veneto può raggiungere il proprio autogoverno interno nella Repubblica Italiana similarmente a quello del sud Tirolo, tutto questo tramite una semplice delibera del Consiglio regionale.
Basta una delibera regionale che riconosca l’esistenza dei seguenti fatti:
– la “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” del Consiglio d’Europa (STE n. 1571 ratificata con legge n. 302/1997) impone ad ogni amministrazione dello stato italiano di rispettare alcuni diritti fondamentali delle minoranze “nazionali” che la stessa convenzione defìnisce “parte integrante della protezione internazionale dei diritti dell ‘uomo”. Tali riserve speciali sono atte a garantire la sopravvivenza della minoranza e la partecipazione effettiva degli appartenenti alla minoranza alle decisioni che li riguardano;
– il diritto internazionale vede nelle minoranze nazionali e nelle minoranze linguistiche due fenomeni sociali e di diritto protetti in maniera differenziata: le minoranze linguistiche sono tutelate dalla “Carta Europea per lingue minoritarie e regionali” (Consiglio d’Europa – STE 148), mentre le minoranze nazionali sono protette dalla “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” del Consiglio d’Europa (STE n. 157, ratificata con legge n.302/1997); la diversità delle due materie e la irriducibilità delle stesse deve essere recepita poiché “L ‘ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. “ (art. 10 Cost);
– essendo la materia delle “minoranze nazionali” differenziata dalle minoranze linguistiche nel diritto internazionale e non citata nella Costituzione italiana, per l’art. 117 c. 4 “Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” ;
– il Consiglio della Regione Veneto ha riconosciuto l’esistenza del “popolo veneto” nella Risoluzione 42/1998 (richiamando il precedente riconoscimento della legge Costituzionale n. 340/1971 che all’art.2 già riconosceva il Popolo Veneto e il suo diritto all’autogoverno) e nuovamente nella Risoluzione 44/2012, riconoscendo non solo l’esistenza giuridica e i diritti di autogoverno e autodeterminazione, ma statuendo che il “popolo veneto” non è una entità astratta o di fantasia ma esiste in quanto soggetto di diritto internazionale unitosi all’Italia quale popolo sovrano nel 1866, avente propria storia, lingua ed identità, e che tuttora gode dei diritti di autodeterminazione internazionali di ogni popolo di cui alla L.n.881/1977, in pratica riconoscendone lo status anche di minoranza nazionale;
– per quanto detto, il “popolo veneto” non solo è un fatto evidente sul piano sociale, storico, linguistico e culturale e preesistente allo Stato Italiano, ma è già giuridicamente riconosciuto dalla Risoluzione del Veneto n.42/1998 e dall’art. 2 L.n.340/1971 , ed in quanto minoranza nazionale ha,diritto al rispetto integrale della “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali “ (ratificata con L.n.302/1997 ): si tratta di diritti fondamentali che, ripetiamo, la stessa convenzione de quo qualifica come diritii fondamentali afferente ai diritti umani, dunque essenziali ed imprescindibili per l’art.2 Cost.;
– il nuovo trattato dell’Unione Europea, come modificato dal trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, ha fatto aderire l’Unione Europea al sistema del Consiglio d’Europa, “costituzionalizzando” le norme del Consiglio d’Europa come già annunciato da un apposito studio dell’ufficio legislativo del Governo Italiano del 2007 che avvertiva del nuovo assetto che si veniva a creare dal 1 dicembre 2009 (possiamo fornire estratto d’interesse dello studio del Governo);
– le risoluzione n.42 del 1998 e n.44/2012 del Consiglio Regionale del Veneto e la Risoluzione non possono però essere intese come “rappresentanza” del “popolo veneto” da parte della Regione Veneto, in quanto la regione è un ente periferico statale vincolato negli scopi e nelle funzioni dalla legge statale, priva di competenze internazionali generali, fatto per altro sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n.365 del 7/11/2007 nella quale ha pure sancito che non spetta ad un ente regionale la rappresentanza di un popolo.
– Il popolo veneto non è limitato e conchiuso nel territorio della attuale regione veneto, e ne fanno parte a pieno titolo, anche linguisticamente, buona parte dei cittadini della regione Friuli Venezia Giulia anche essa territorio annesso nel 1866 e da sempre parte di quel popolo veneto riconosciuto internazionale;
– Il combinato disposto dell’art. 2 L. n. 340/1971 e L. n. 881/1977 ha permesso l’esercizio dell’autodeterminazione diretta (L. n. 881/1977) del popolo veneto (art. 2 L. n. 340/1971) che effettivamente è iniziata nel 1999 con l’Istituzione di una propria anagrafe, una propria assemblea elettiva, un proprio governo rappresentativo. In altre parole, ai sensi della L. n. 881/1997 il popolo veneto ha autodeterminato proprie istituzioni di rappresentanza ed eletto i propri rappresentati con proprio sistema elettorale autodeterminato;
– la creazione dell’anagrafe, l’esercizio dell’Autogoverno del Popolo Veneto, e le diverse elezioni degli organi rappresentativi, sono stati vagliati dalle indagini di diverse magistrature e riconosciute legittime e non costituente reato, tanto che i procedimenti si sono tutti conclusi con l’archiviazione (vedi per prima la sent. di archiviazione del dott. Cherchi – Procura PD – nel 2002).
– per la legge n. 302/1997, nessuno può essere obbligato a dichiararsi come appartenente ad una minoranza, per tanto il popolo veneto è costituito esclusivamente da coloro che hanno fatto apposita dichiarazione di nazionalità veneta alla anagrafe del popolo veneto istituita (autodeterminata) nel 1999 ai sensi della L.n.881/1977, la quale ovviamente è basata non su criteri di appartenenza politica ma secondo criteri non discriminatori di nazionalità similmente ai criteri di nazionalità degli stati d’Europa;
– il popolo veneto, in quanto minoranza nazionale per gli scopi della L. n. 302/1997 , ha dunque propria rappresentanza legale ed effettiva nell’Autogoverno del Popolo Veneto istituito nel 1999;
– per I ‘Articolo 15 della convenzione quadro di cui alla L. n. 302/1997 “Le Parti si impegnano a creare le condizioni necessarie alla partecipazione effettiva delle persone appartenenti a minoranze nazionali alla vita culturale, sociale ed economica, nonché agli affari pubblici, in particolare a quelli che le riguardano”.

Occorre ricordare che la Convenzione di cui L. n. 302/1997 vieta di considerare discriminatori queste speciali misure di salvaguardia delle minoranze atti a garantire la rappresentanza delle minoranze nelle istituzioni. Allo stesso tempo tali diritti non vanno riconosciuti a chiunque, ma solo a coloro che si sono legalmente dichiarati veneti in una speciale anagrafe compatibilmente al diritto internazionale.
L’esistenza della minoranza nazionale renderà necessaria anche la creazione di speciali albi di insegnanti, traduttori, giornalisti, avvocati ecc., questi ultimi titolati alla legale rappresentanza degli interessi degli appartenenti alla minoranza nelle aule di giustizia, così come i giornalisti alla gestione di media in lingua della minoranza, finanziati dallo stato, per cui è di fondamentale importanza delegare ad un ente apartitico e scientifico la gestione di questo compito.
I titolari del diritto di minoranza sono già per altro protetti da numerose sentenze che sanciscono la responsabilità dell’agente per conto dello stato che persegue la violazione di norme fondamentali internazionali, come l’apposita convenzione de quo (in questo senso vedi Cassazione, S.U, sentenza n. 5044/2004 ).

PER LA REALIZZAZIONE DEI DIRITTI DI MINORANZA NAZIONALE DEL POPOLO VENETO È SUFFICIENTE UNA DELIBERA DEL CONSIGLIO REGIONALE CHE RICONOSCA IL FATTO GIURIDICO, UNA NORMA REGIONALE DEL TIPO PROPOSTO DAL PROGETTO DI LEGGE CHE QUESTA RELAZIONE ACCOMPAGNA.

Chi può attivare l’iniziativa legislativa del consiglio regionale al fine di arrivare all’emanazione di una tale legge? Come noto sono quattro i titolati all’iniziativa di legge nell’ambito regionale veneto:
1) ciascun consigliere regionale
2) la giunta regionale
3) gli enti locali (un consiglio provinciale OPPURE un comune capoluogo di provincia, oppure uno o più comuni che superino insieme 20.000 residenti o almeno dieci comuni indipendentemente dalla popolazione ricompresa)
4) l’iniziativa di legge popolare con 7000 firme su moduli vidimati dal Presidente della Consiglio Regionale Questo secondo l’art.20 dello Statuto regionale che inoltre impone che una volta presentata la proposta di legge, il Consiglio regionale la debba mettere all’ordine del giorno forzatamente trascorsi 6 mesi.
Il Comune di Limena nel 2013 ha già inviato, in forma di richiesta non formulata in proposta di legge, l’emissione di una norma regionale analoga a quella de quo.
È urgente che il Consiglio Regionale si attivi per l’emanazione di questa legge regionale pervenendo al riconoscimento del Popolo Veneto quale minoranza nazionale prima che il Parlamento italiano cambi la Costituzione, in quanto in particolare verrà cambiato quell’art.117 sulla ripartizione delle competenze che attribuisce alla regione una tale facoltà e che inevitabilmente perderà insieme a molte altre.
La norma regionale, richiamando succintamente quanto esposto sul piano normativo, provvede a riconoscere al popolo veneto i diritti di minoranza nazionale come previsti dalla Convenzione Quadro sulle minoranze nazionali, e ricalcando il modello di altre situazioni analoghe, delega la gestione del riconoscimento di appartenenza alla minoranza e regolamentare i vari livelli di
conoscenza della cultura e della lingua veneta all’Istituto Lingua Veneta, il quale è un comitato-fondazione autonomo di autogoverno linguistico che provvederà a graduare i vari ambiti che potranno essere influenzati dalla Convenzione Quadro sulle minoranze nazionali, che per altro godranno dei vantaggi di fìnanziamento a bilancio determinati dal richiamo dei diritti di autonomia degli enti locali e ai doveri di fìnanziamento da parte dello stato centrale come previsto da altra legge internazionale, la “Convenzione Europea relativa alla Carta Europea dell’Autonomia Locale” che l’Italia ha ratificato con legge 30 dicembre 1989 impegnandosi a rispettarla.

APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE QUADRO PER LA PROTEZIONE DELLE MINORANZE NAZIONALI

Art. 1 – Minoranza Nazionale.
1. Al “popolo veneto”, di cui agli articoli 1 e 2 dello Statuto regionale legge regionale n. 1/2012 (già articolo 2 della legge Costituzionale n. 340/1971), spettano i diritti di cui alla “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” del Consiglio d’Europa (STE n. 157) ratificata con legge 28 agosto 1997, n. 302 “Ratifica ed esecuzione della convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, gatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995.”.
2. Nel rispetto delle competenze di ciascuna regione e degli obblighi internazionali, fanno parte della minoranza nazionale veneta anche quelle comunità legate storicamente e culturalmente o linguisticamente al popolo veneto anche al di fuori del territorio regionale.
Art. 2 – Ambito di applicazione.
1. La presente legge si attua a tutti gli ambiti previsti dalla “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali”.
Art. 3 – Esercizio dei diritti di minoranza nazionale.
1. Il riconoscimento dei diritti di cui al precedente art.1 è subordinato al possesso del patentino di bilinguismo regolato da apposita delibera dell’Istituto della Lingua Veneta nel rispetto del suo statuto ed ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2 legge n. 340/1971 e legge 25 ottobre 1977, n. 881 “Ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali,
nonchè del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New Jork rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966.”.
2. L’Istituto Lingua Veneta opera come rappresentanza istituzionale della minoranza per quanto concerne l’attuazione delle disposizioni della legge n. 302/1997.
Art. 4 – Finanziamento.
1. Le spese relative all’attuazione della presente legge nel territorio regionale sono a carico e deliberate da ciascuna amministrazione centrale o periferica chiamata ad attuarla anche in conformità a quanto stabilito dall’articolo 9 dalla “Convenzione Europea relativa alla Carta Europea dell’Autonomia Locale” ratificata dalla legge 30 dicembre 1989, n.439 “Ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla Carta europea dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985.” eventualmente con perequazione dell’amministrazione centrale.
Art. 5 – Entrata in vigore.
1. La presente legge regionale entra in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione.