In occasione dell’anniversario del PKK, il 39°, la guerriglia curda ha inviato un messaggio ai giovani del Kurdistan invitandoli a unirsi al PKK. “Rafforzeremo la nostra lotta”, si legge nel comunicato, “fino a quando il nostro popolo e tutti i popoli del mondo saranno liberi”.
Sulle pubblicazioni curde sono apparse varie interviste realizzate tra i guerriglieri che si oppongono alle milizie fasciste di ISIS e Al Nusra (senza dimenticare il loro principale sponsor, il governo turco).
Per il combattente Nizar Zeriker (HPG) il PKK è sorto “in condizioni difficili, quando nessuno aveva il coraggio di combattere. È nato in memoria del martire Haki Karar come risposta al fascismo, alle politiche di annichilimento praticate contro il nostro popolo. Prima il popolo curdo provava la morte ogni giorno, era ridotto all’autonegazione”.
Poi, con la nascita del PKK “il destino dei curdi è cambiato”. E veramente, per quanto lo Stato turco abbia cercato di distruggerlo con ogni mezzo immaginabile (pensiamo alle squadre della morte), il movimento non ha mai smesso di svilupparsi, grazie anche alla grande capacità di Ocalan di elaborare e rinnovare il pensiero, la filosofia del movimento stesso.
Un altro guerrigliero intervistato ha ricordato che il PKK “ha iniziato con una manciata di persone e oggi ne mobilita milioni svolgendo un ruolo chiave nella ricostruzione democratica del Medio Oriente”. E la lotta, continua il guerrigliero, continuerà a svilupparsi “sulle montagne, nelle città, nelle prigioni, in tutto il Kurdistan e in tutto il Medio Oriente se necessario” sulla base del motto elaborato da Ocalan: “ Non vivremo più come prima e non combatteremo più come prima”.
“Fino al 27 novembre 1978”, interviene un altro membro di HPG, “non c’erano segni della nazione curda e il nostro popolo era politicamente molto debole. La fondazione del PKK ha rappresentato una vera resurrezione, da allora abbiamo vissuto una serie di trasformazioni incredibili, miracolose e questo processo di cambiamento prosegue positivamente. Come esponenti delle HPG siamo ora più forti, più attrezzati per proteggere i valori e le conquiste che i nostri combattenti caduti ci hanno lasciato in eredità”. E conclude: “Noi continueremo a difendere le nostre conquiste e le terre del Kurdistan sia contro le bande criminali di ISIS e di Al Nusra, sia contro la politica fascista di Turchia e Iran, a fianco di tutti i popoli oppressi del mondo”.

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Più vicini alla libertà

Certo ne hanno fatta di strada i curdi da quando non potevano parlare la loro lingua e temevano addirittura di pronunciare il loro nome. “Prima non potevano nemmeno dire che erano curdi”, aggiunge Arjin Merdin, guerrigliera YJA Star. “Eravamo un popolo alienato dalla sua stessa cultura e lingua. Inoltre le donne che prima del PKK non avevano alcuno spazio nella società, hanno ora raggiunto un grande livello di organizzazione”.
Per Cudi Miros (HPG) oggi il popolo curdo “è più vicino alla libertà di quanto lo sia mai stato prima. Allora, prima della nascita del PKK, i curdi nelle quattro parti del Kurdistan si erano allontanati tra loro, erano divisi anche dal punto di vista culturale. Poi la coscienza nazionale si è risvegliata e oggi possiamo vederlo chiaramente a Shengal, nella resistenza in Bakur, Bashur e Rojava, dove giovani provenienti da ogni parte del Kurdistan lottano nelle medesima trincee contro l’ISIS o contro il fascismo turco”.
Per la guerrigliera Dicle Koto (YJA Star ): “l’anniversario della fondazione del PKK è per noi importante e significativo. Il primo esercito di donne in tutto il mondo è nato grazie al leader Apo. Nel 39° anniversario della fondazione del nostro partito, ripetiamo la nostra promessa di prendere parte alla lotta più forti e più attive che mai, in linea con gli obiettivi dei nostri martiri e l’ideologia del nostro leader.”

Il PKK non è un partito o un movimento qualsiasi

Anche Aram Fırat (HPG ) ha voluto ricordare come 39 anni fa “Apo ha lanciato il movimento insieme a un piccolo gruppo di amici in circostanze difficili”, sottolineando come sarebbe completamente errato “considerare il PKK come un partito o un movimento qualsiasi. Dobbiamo considerare le circostanze nelle quali il PKK è stato fondato e le realtà dei curdi e del Kurdistan se davvero vogliamo capirlo. Il nostro movimento non ha perso il suo ritmo da quando il leader Apo [Ocalan] ha compiuto il primo passo fino a oggi. Come militanti apoisti, proteggeremo i sogni e l’eredità dei nostri eroici martiri che hanno portato il nostro movimento fino a oggi”.
Aram Firat conclude il suo appassionato intervento sostenendo che “la lotta per la terra, il popolo e i popoli oppressi del mondo è la cosa più sacra al mondo. Per questa ragione invito la gioventù del Kurdistan e il nostro popolo a rafforzare la lotta. Il nostro popolo e la gioventù del Kurdistan deve proteggere e rafforzare i valori che il PKK ha creato”.
“ll nostro movimento non è solo per il popolo curdo, ma per tutti i popoli oppressi. Ogni volta che premiamo il grilletto esprimiamo la rabbia e l’odio che proviamo per le forze colonialiste”, ha dichiarato senza mezzi termini Beritan Cudi, guerrigliera di YJA Star, mentre Serhat Xelat ha voluto porgere gli auguri “per il 39° anniversario del PKK”, ricordando che i valori creati nel corso degli ultimi quaranta anni hanno consentito lo sviluppo di un movimento in cui ormai si riconoscono milioni di persone.

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Giustizia per Sakine, Fidan e Leyla

Il 23 gennaio 2017, dovrebbe iniziare a Parigi il processo per l’assassinio di tre militanti curde uccise il 9 gennaio 2013: Sakine Cansiz (tra i fondatori del PKK), Fidan Dogan e Leyla Saylemez. 1) La conclusione è prevista entro il il 24 febbraio.
L’imputato è un giovane turco, Omer Guney, riuscito a infiltrarsi nelle organizzazioni curde e arrestato il 13 marzo 2013. Dagli atti del processo sembra ormai certo che il presunto colpevole era da tempo in contatto con il MIT, il servizio segreto turco. Secondo le organizzazioni curde, il MIT potrebbe aver commissionato il delitto allo scopo di intimidire i militanti e stroncare sul nascere ogni tentativo di soluzione politica del conflitto.
Grazie alla mobilitazione delle organizzazioni curde, finora il triplice omicidio non è stato archiviato. Decine di migliaia di persone si sono radunate per intere settimane nella capitale francese e davanti alle ambasciate in tutta Europa in occasione degli anniversari, chiedendo una condanna effettiva dei colpevoli e l’individuazione dei mandanti.
In questi giorni l’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI) ha lanciato un appello “per portare a Parigi la nostra richiesta di verità e giustizia affinché alle udienze siano presenti osservatrici e osservatori internazionali”.
Un monito contro il terrorismo di Stato per impedire il ripetersi di simili atrocità.
Perché, prosegue il comunicato di UIKI, “vogliamo assumere la difesa del diritto alla vita di ogni persona contro gli attacchi da parte dello Stato”.
Riempire l’aula del tribunale, seguire ogni udienza del processo ha un significato ben preciso: mostrare che Sakine, Fidan e Leyla non sono state dimenticate, non solo dal loro popolo, ma anche da tutti coloro che ritengono irrinunciabili i valori come pace, democrazia, giustizia e libertà.

N O T E

1) L’uccisione delle tre militanti curde, sia nelle circostanze che nelle modalità, ricorda il caso di Dulcie September, attiva esponente antiapartheid (in quanto membro dell’African National Congress) assassinata dai servizi segreti sudafricani, sempre a Parigi, il 29 marzo 1988. Un’azione probabilmente intesa anche a colpire il presidente francese Mitterand, “colpevole” di aver fatto togliere l’ANC dall’elenco delle organizzazioni terroristiche.
Analogamente l’uccisione delle tre donne curde potrebbe aver rappresentato un messaggio, di stampo mafioso, verso Hollande che aveva espresso una seppur tiepida solidarietà nei confronti dei curdi (tra l’altro aveva incontrato almeno una delle tre militanti uccise). E non dimentichiamo che anche la moglie di Mitterand sfuggì fortunosamente a un attentato proprio mentre era impegnata a favore dei curdi con la sua fondazione (France Libertés – Fondation Danielle Mitterand). In questo caso la manovalanza era irachena, pare, ma esiste il fondato sospetto che anche la CIA potesse essere coinvolta.
Risulta quindi mai attuale, a mio avviso, la lettera aperta (apparsa anche su “La Stampa”) che Danielle Mitterand aveva inviato nel 2003 al popolo curdo:
“Cari amici curdi, una volta di più gli interessi delle potenze straniere vi pongono al centro dell’attualità internazionale. Potreste spiegarmi che senso ha dato la potenza americana a questa ‘partnership’ con voi? Potreste mostrarmi un solo documento ufficiale in cui un responsabile dell’amministrazione americana si sia impegnato a favore delle vostre richieste e rivendicazioni per uno Stato iracheno democratico e federale? Come sapete gli americani stanno minando nuovamente il vostro Paese e hanno l’intenzione di usare ancora bombe all’uranio impoverito. Mi dite di non potervi opporre alla volontà della superpotenza americana nella guerra che conduce contro l’Iraq, tanto più che sono i vostri ‘protettori’. Ma potete fare affidamento su un Paese, gli Stati Uniti, che vi ha tradito tragicamente due volte, nel 1975 e nel 1991? Al vostro posto, non mi fiderei”.