Il governo brasiliano sta “liberando” vasti territori amazzonici dalla presenza degli indios yanomami. Un etnocidio che può anche trasformarsi in una catastrofe ecologica.

L’America, fin dal tempo della conquista da parte dei bianchi, è stata teatro di innumerevoli fatti sanguinosi e disumani di cui la storia dell’umanità non ha raccontato che una piccola parte. Nel Sud-America lo sterminio degli Indios cominciò con gli archibugi dei primi conquistatori spagnoli e portoghesi e con le nuove malattie che portavano con sé. Le polemiche per decidere se gli Indios fossero uomini o no non furono placate né dalla bolla pontificia di Paolo III, che nel 1537 li dichiarava “veri uomini”, né da dichiarazioni di altri eminenti personaggi. Il vescovo Bartolomeo de las Casas scrisse in quell’epoca La leggenda nera – Storia proibita degli Spagnoli nel Nuovo Mondo, che rimase all’indice fino al 1906: nel libro sono descritte le violenze alle quali furono sottoposte alcune nazioni indigene “miti, umili ed amanti della pace”. Si era solo all’inizio di un genocidio, carico a volte di sadismo, che in Brasile pare stia per giungere a termine ai giorni nostri. Gli europei che si unirono successivamente a spagnoli e a portoghesi non si dimostrarono migliori. Per ignoranza o nell’intento di tacitare la coscienza degli invasori, gli Indios furono sovente, e sono a volte tutt’oggi, descritti come incapaci, di indole falsa, indocile e cattiva. Per eliminare tali “pericolosi” abitanti del Sud-America si usarono, oltre alle armi, virus, batteri, veleni e perfino la sterilizzazione delle donne. L’elenco delle atrocità e degli abusi è lunghissimo. Molti superstiti di gloriose nazioni indigene, stremati dalla miseria, hanno perso la loro identità. Alcuni di essi, demoralizzati, scoraggiati ed emarginati, si sono abbrutiti dedicandosi all’ozio e all’alcolismo, avvolti sovente dall’anonimato nelle periferie delle città. Si dice che in America Latina siano stati sterminati in questi secoli 90 milioni di Indios. Si calcola che nel solo Brasile, nel 1500, vivessero 4-5 milioni di Indios. Oggi essi sono stimati in 220.000 in mezzo a una popolazione di 120 milioni di brasiliani; e l’odissea indigena continua.

Nel territorio di Roraima

Il territorio di Roraima è l’ultima regione del Brasile nella quale, fino al 1978, metà della popolazione era indigena. Ancora oggi sopravvivono qui rappresentanti di almeno dieci popoli indigeni: Yanomami, Waimirì-Atroarì, Wai-Wai e Maiongong (Makiritare o Yekuana), che vivono nella foresta, e Makuxi, Taurepang, Arekuna, Ingarikò, Pantamona e Wapixana, che vivono nella savana; per un totale di 30.000 Indios. Dopo il contatto con bianchi invasori, vari altri popoli indigeni si sono estinti negli ultimi cento anni; tra questi, citati da vari studiosi, ci sono: Makù, Pauxiana, Saparà, Parucotò, Iakunà, Auakè, Kaliana, Piaroà, Maracana e Paraviana. Storicamente fu la zona della savana a suscitare per prima l’interesse degli invasori che, provenendo in maggior parte dal Nord-Est del Brasile, alla ricerca dell’Eldorado, o sfuggendo alla giustizia, si installarono nella regione, sposandosi con donne indigene. La capitale del territorio di Roraima, Boa Vista, nacque nel 1830 da una fattoria (allevamento di bestiame bovino e equino) sorta dove anteriormente c’era stata una maloca (villaggio) di Indios Paraviana; l’altra città roraimense, Caracaraì, fu fondata sul luogo di un vecchio recinto per il bestiame che doveva essere imbarcato sui battelli e portato a Manaus per la vendita. Si può affermare che le due uniche città di Roraima siano state fondate dai… bovini. Nella storia di Roraima, fin dai tempi del colonnello Manoel da Gama Lobo de Almada (1787), geografo lusitano, ad oggi, gli indigeni sono sempre stati considerati meno importanti del bestiame; villagggi indigeni sono recintati e perfino divisi a metà dal filo spinato; altri sono stati incendiati deliberatamente dai padroni del bestiame e dai loro subordinati; una testimonianza di soli quindici anni fa riferisce casi di fazendeiros che avevano marcato a fuoco Indios ribelli col ferro usato per segnare i buoi; molti Indios furono allontanati a colpi di fucile o puniti con la frusta. “Uomini” che si vantavano di aver partecipato a spedizioni “punitive”, durante le quali si perpetrarono vere stragi di Waimirì-Atroarì, affermavano che l’indio era come una belva, la sua uccisione era dunque ritenuta un dovere per eliminare un pericolo pubblico. Le malocas degli Indios sono sempre più ridotte in numero e in estensione a causa dell’ampliamento dei recinti per il bestiame, fatti costruire oltre tutto per la maggior parte dagli stessi Indios, sfruttati come schiavi per la mano d’opera. È sintomatico come lo SPI(1) abbia iniziato la sua attività a Roraima con una fattoria di bestiame, che fino al 1970 fu l’unica attività “indigenista” nel territorio, per quanto fosse notoriamente l’unica fattoria nella quale il bestiame non aumentasse. Fino all’inizio del 1979 questa fattoria rimase una delle principali “preoccupazioni” della FUNAI nella regione; ma, anche cosi, fu invasa illegalmente da circa sessanta fazendeiros che ora allevano nell’area all’incirca 50.000 capi di bestiame senza pagare tributi o affitto ad alcuno. Studi recenti, fatti da tecnici locali, hanno stabilito che per allevare un bovino sono necessari, in questa regione, otto ettari di terra. Questo vuol dire che il fazendeiro non si è mai preoccupato, a Roraima, di migliorare il terreno e i pascoli. Fino a oggi è sempre stato più facile allargare i recinti, o semplicemente non farli, perché il bestiame si alimenti dove vuole; le piantagioni degli Indios ne sanno qualcosa. Insomma, in questa regione, non è il fazendeiro che alleva il bestiame, ma il bestiame che alleva il fazendeiro, a prezzo della vita degli Indios.
Secondo Nunes Pereira (1967), “molti Indios eccellono nella cura del bestiame, ma sia in questa che in altre attività ricevono salari infimi”. Lo stesso autore notava già in quell’epoca che gli Indios di Roraima erano minacciati di totale estinzione, rilevando nel contempo, con sorpresa, l’esistenza di “dissimulati sentimenti di rivolta”… “Gruppi interi evitavano i rapporti con i ‘civilizzati’, in vista della loro condotta aggressiva e immorale, che comportava anche l’uso di armi e di castighi e l’intromissione nelle feste tradizionali… Col pretesto di insegnar loro le faccende domestiche, ragazze indigene erano condotte in servitù nelle case dei fazendeiros, o dei commercianti, o delle principali autorità locali, dove soffrivano umiliazioni e sevizie: alcune fuggivano, altre erano violentate e buttate sulla strada ove contraevano malattie veneree… Bambini e ragazzi, sotto il nome di figliocci, erano portati a lavorare come servi o caricatori d’acqua, ma erano rari quelli che non fuggivano… Espulsi dal luogo delle loro malocas, a causa dell’incremento degli allevamenti e dello stabilirsi di garimpos (luoghi dove lavorano i garimpeiros o cercatori di diamanti e oro), gli Indios sono stati recintati come bestie selvagge, in pezzetti di immensi latifondi, con demarcazioni arbitrarie o immaginarie, segnate da filo spinato, come i campi di concentramento nazisti.”
Non furono pochi gli indigeni che, arrivati dopo anni di duro lavoro a possedere qualche mucca o qualche cavallo, vennero obbligati a disfarsene col pretesto che gli animali invadevano “la piantagione dei fazendeiros” e, quando i proprietari non ubbidivano, gli animali sparivano e morivano “misteriosamente”. Molti indigeni ora non possono più pescare nei laghi, fiumi e ruscelli; e molti, per fare e coprire le proprie case, devono portare il legname e le foglie da grandi distanze perché il bosco più vicino al villaggio è del fazendeiro che proibisce agli Indios di utilizzarlo. Queste terre, che da tempi immemorabili erano la culla di eroi e di divinità mitologiche di numerose nazioni indigene, sono quasi totalmente occupate dalle mandrie i cui proprietari sono sempre stati ampiamente protetti dalla “giustizia” (leggi polizia locale). La testimonianza di un capo indigeno morto da pochi anni, registrata da padre S. Sabatini nel 1965, mostra alcuni degli aspetti drammatici della sua vita e di quella del suo popolo: “Anticamente noi avevamo tutta la terra, avevamo la caccia, avevamo il pesce, avevamo la frutta della foresta; noi avevamo tutto… Ora il bianco ci ha portato via tutta la terra e non troviamo più cibo… adesso noi non mangiamo, mangiamo poco, mangiamo male e abbiamo proprio fame. Non abbiamo più salute e siamo rovinati dalla tubercolosi. Anticamente noi prendevamo i cervi correndo. Adesso, mi vergogno a dirlo, non riesco neanche a raggiungere un porco. Mio padre che è vecchio corre più di me. E noi andiamo ancora bene, adesso. Ma vi sono molti villaggi che sono veramente miserabili, ove tutti soffrono la fame per davvero, e là il bianco (perché gli Indios non hanno più terre) sempre sopra, sempre sopra, per sfruttarli… Vi sono bianchi che non permettono più la pesca, che si riservano il cervo, che si riservano tutto. Anticamente l’indio ammazzava il cervo prendendolo con la corsa e con il fuoco, incendiando la savana: oggi è proibito incendiare la savana. E l’indio come fa a cercarsi da mangiare? Anche il pesce il bianco se l’è preso tutto. Se c’è una pozza profonda nel fiume, dove ci sono tanti pesci, il bianco dice: questa è mia. E l’indio come può continuare a vivere così? E quasi tutti i bianchi sono così.” Prosegue la narrazione del capo Makuxì in un altro capitolo: “Guarda, quando bianco è arrivato alla nostra terra, Indio pensava che bianco era dalla parte di Dio, Indio pensava che Dio era venuto a visitarlo. Infatti bianco ha tutto e Indio non ha nulla: bianco ha filo spinato, noi non abbiamo; bianco ha libro, noi non abbiamo; bianco ha scure, noi non abbiamo; bianco ha automobile, noi non abbiamo; bianco ha aereo, noi non abbiamo… Ma bianco è venuto e ha rubato le nostre terre: e l’indio non poteva più cacciare. Ha detto che le terre erano sue, ha detto che i pesci dei fiumi e dei laghi erano suoi. Poi, ha portato le malattie. Poi, ha insidiato le nostre donne. E l’indio si è ribellato. Allora il bianco ha ucciso i nostri avi, li ha uccisi, li ha massacrati molto; Indio fuggiva così veloce come la cosa più veloce. E allora Indio ha capito che il Dio dei bianchi era cattivo. Quando il bianco arrivava diceva che era buono, che voleva abitare vicino a noi. Diceva: ‘Io non porto via le tue terre. Mentre io sono qui ci sarà carne per te e per i tuoi figli’. Il bianco prometteva e non dava e portava via le nostre terre. Diceva che le terre erano sue, che il pesce era suo, e che era tutto suo. E Indio aveva fame molta. Sai cos’è la fame? La fame non è uno scherzo, sai? Io te lo dico, la fame non è uno scherzo.”
Sarà necessario aggiungere altro a tutto questo per avere un’idea della situazione degli Indios di Roraima? In una monografia di Antonio Ferreira de Souza, offerta a chi scrive dal sindaco di Boa Vista nel 1976, si legge a proposito degli Indios Waimirì-Atroarì: “Si sa che quei selvaggi non vogliono accettare l’avvicinamento della gente civilizzata e offrono ostilità, quasi sempre a tradimento, a tutti quelli che sventuratamente penetrano nell’area dei loro domini. Ma con l’avvento della Rivoluzione del 31 marzo (2) nessun ostacolo potrà intralciare lo sviluppo del Brasile, specialmente nell’Amazzonia, dove strade stanno rompendo la vergine selva equatoriale in tutte le direzioni. La strada BR-174 (Panamericana) è fattore di integrazione nazionale e di collegamento internazionale con il Venezuela, nelle frontiere settentrionali della patria brasiliana, il cui sottosuolo nasconde ricchezze minerarie che si traducono in grandi possibilità economiche che le strade aiuteranno a scoprire.” Si legge ancora nella stessa monografia: “La scoperta e la successiva estrazione dell’oro e del diamante, si devono al lavoro empirico dei garimpeiros e avventurieri di ogni specie.” E ancora: “Il minerale anima e infeticcia, Roraima scintilla e affascina.”
In questi ultimi anni un’altra risorsa è stata resa possibile dalle strade, e specialmente dalla BR-174 (Manaus-Venezuela): il legname. Dal settembre del 1975 all’agosto del 1978 sono stati esportati verso il Venezuela 33.000 metri cubi di legname. Dalla relazione governativa di Roraima sulle attività del territorio del 1978 risulta anche che il distretto agro-pastorale di Roraima, con un’area di 600.000 ettari, è stato diviso in 146 lotti che vanno da 2.000 a 23.000 ettari ognuno. Nel distretto sono comprese anche terre che appartengono per legge agli Indios Yanomami, ma l’autorizzazione alla vendita dei lotti è già stata concessa. È di pubblico dominio che l’INCRA (Istituto nazionale di colonizzazione e riforma agraria) sta facendo la stessa cosa in quasi tutti gli stati e territori dell’Amazzonia brasiliana. Nella relazione di un’antropologa della FUNAI (1977) concernente una ricerca fatta a Roraima, si legge: “Ci sono progetti agro-pastorali, industriali e di estrazione di minerali in tutto il territorio che interessano aree notoriamente indigene, in alcune delle quali vivono gruppi che poco o nessun contatto hanno con i membri della società nazionale.” Il nuovo governatore, in una recente conferenza, spiegando il potenziale economico e le necessità di Roraima al ministro degli Interni, non ha neppure menzionato gli indigeni, che costituiscono gran parte della popolazione. Ha difeso l’invasione delle loro terre da parte dei garimpeiros e la delimitazione delle terre indigene della savana solo perché ciò gli è indispensabile per fornire a norma di legge i titoli di proprietà dei terreni ai fazendeiros che si sono stabiliti attorno alle malocas.
Gli studi sulle aree indigene di Roraima, fatti dalla FUNAI nel 1977, sono in maggior parte segreti o riservatissimi. È certo che sarebbe molto scomodo per il governo e per i politici locali se gli studi si rendessero pubblici, perché potrebbero causare l’espulsione di fazendeiros, potenti elettori, dalle aree indigene (pochissimi Indios sono elettori). Ci viene spontanea la domanda: chi delimiterà queste terre? e con quali criteri? Chi avrà la possibilità di difendere gli interessi di questi Indios e di denunciare gli abusi di cui sono sempre vittime?

Il popolo yanomami

Gli Indios Yanomami occupano un’area di foresta tropicale nella regione di frontiera tra il Brasile e il Venezuela. Dispersi in circa 320 villaggi, gli Yanomami totalizzano all’incirca 16.400 indigeni, costituendo il maggior gruppo umano ancora in gran parte isolato dalla società avanzante (neobrasiliana). Nel Brasile gli Yanomami abitano aree comprese nel territorio federale di Roraima e nello stato di Amazonas, con una popolazione stimata in 8.400 Indios, la grande maggioranza dei quali vive ancora secondo i propri schemi culturali tradizionali.

Storia. È indiscussa l’occupazione dell’area suddetta da parte degli Yanomami sin da tempi remoti. La comprovano la tradizione orale degli Indios e le relazioni dei diversi esploratori e membri di spedizioni scientifiche che, dal 1787, hanno percorso la regione.

Società ed adattamento ecologico. Ogni villaggio yanomami è formato per lo più da una sola abitazione nella quale coabitano varie famiglie estese, legate da alleanze matrimoniali, con un totale che va dai 30 ai 100 individui. Gli Yanomami praticano un nomadismo intermittente. L’esercizio delle loro attività socio-economiche richiede aree considerevolmente estese per la pratica dell’agricoltura in regime di rotazione periodica, e della caccia, pesca e raccolta, unite alla necessità di costanti migrazioni che permettano il rinnovo della terra e del potenziale della fauna e della flora. Inoltre i gruppi e i complessi di gruppi locali mantengono tra loro frequenti contatti che provocano scambi di beni e di alleanze matrimoniali. Le aree comprese tra diversi villaggi o tra complessi di villaggi, così come quelle nelle quali transitano, sono coperte da dense reti di sentieri, punteggiate da innumerevoli accampamenti e da antiche piantagioni. Ogni parte della foresta è sfruttata, ha un nome, è percorsa con intima familiarità e impregna la memoria del gruppo per mezzo di narrazioni storiche e mitologiche fin dai tempi più remoti. Questi fatti devono rimanere strettamente associati al concetto di “territorio” yanomami, che può essere limitato all’abitazione e alle adiacenze del villaggio perché non siano snaturate la vita e la cultura di questo popolo.

Il contatto con i bianchi e le sue conseguenze. I contatti degli Yanomami con la società che li attornia furono sporadici fino al 1974, quando la strada BR-210, Perimetrale Nord, tagliò il sud del territorio senza che qualsiasi schema di protezione fosse previsto ed attuato, provocando una vera tragedia nei gruppi raggiunti. I boscaioli che entrarono massicciamente, abbattendo la foresta lungo il tracciato della strada, senza essere sottoposti a nessun controllo sanitario, introdussero le prime forme di influenza e il morbillo. Nel tratto della BR-210 che ha tagliato la regione e nelle sue vicinanze sono scomparsi 20 villaggi lasciando i resti di forse 1.000 morti. Alcuni (pochi) sopravvissuti “vivono” ai margini della strada e lo splendore che li caratterizzava di un vivere autentico e genuino in pochi anni è scomparso, portandoli in piena decadenza fisica e culturale a praticare la mendicità. All’altezza del km 146 della Perimetrale Nord (Missione Catrimani) gruppi di indigeni furono colti da innumerevoli epidemie influenzali, faringiti e morbillo. In questo luogo il numero di assistenze a malati yanomami, in casi di complicazioni per malattie da virus, passò da 4.596, nei 38 mesi anteriori all’arrivo dei primi lavoratori, a 18.488 nei 38 mesi seguenti. Alcuni gruppi, residenti a circa 60 km da questa area, furono ridotti a meno della metà.

Attività minerarie. Il territorio yanomami, nel 1975, si vide incluso nelle mire dell’allora governatore di Roraima, che dichiarò: “Sono dell’opinione che un’area ricca come questa… non può permettersi il lusso di conservare mezza dozzina di tribù indigene, ostacolando lo sviluppo”. Poco dopo dei garimpeiros scesero con l’aereo e invasero l’area che presenta la maggior concentrazione di Indios Yanomami, nella Serra das Surucucùs. L’allora presidente della FUNAI dichiarava che la scoperta di minerali non avrebbe pregiudicato la sopravvivenza degli Yanomami, i quali avrebbero avuto “tutti i loro diritti assicurati”. Nel 1976 il dottor Kenneth Taylor, coordinatore del piano Yanoama della FUNAI, riferiva che “l’immunizzazione della popolazione indigena, fino ad oggi non ancora effettuata, è urgentissima, infatti i garimpeiros (che hanno invaso una parte dell’area per estrarre cassiterite) stanno portando con loro influenza, malattie veneree ecc.” Il garimpo (giacimento di minerali, in questo caso di stagno) finì per provocare conflitti, inclusi quelli fisici, tra Indios e garimpeiros. Missionari nord- americani che prestavano la loro opera nella zona denunciarono assassini di Indios eseguiti dai garimpeiros. Tali violenze convinsero le autorità federali a decidere la sospensione dei lavori e l’evacuazione dei garimpeiros dalla regione. All’inizio del 1979 un’équipe della DOCEGEO (sussidiaria della Compagnia “Vaio do rio Doce”) con 40 uomini è entrata per fare ispezioni nella stessa area, dopo aver firmato un accordo segreto con la FUNAI. In quest’area vivono 3.800 indigeni Yanomami con poco o nessun contatto con il mondo bianco e che finora non sono stati vaccinati. La stessa sopravvivenza fisica di questi Yanomami è ancora una volta gravemente minacciata.

Colonizzazione. Nel 1977 fu progettato il “Distretto agropecuario di Roraima” con un’area di 600.000 ettari. La delimitazione di questo progetto lede gravemente il diritto degli Yanomami al possesso della terra da loro occupata, poiché comprende aree notoriamente indigene.

LA FUNAI nell’area. Esistono, nella regione degli Yanomami, sette sedi locali della Fondazione nazionale dell’indio (FUNAI), dette “posti indigeni”. È interessante notare quale sia il tipo di intervento di questo organismo governativo, destinato a “proteggere’ ’ questa parte della popolazione. Soltanto uno dei sette “posti” è localizzato vicino ai villaggi indigeni; un altro fu abbandonato dopo essere stato incendiato dagli Indios, furiosi per un’ennesima epidemia trasmessa dagli stessi funzionari. Un altro ancora fu costruito in un’area non tradizionalmente indigena e servì nel 1976-78 come prigione clandestina per gli Indios “semiacculturati” della savana di Roraima. I rimanenti “posti” sono stati installati in luoghi dove non risultano esserci Indios: parendo questo un fatto piuttosto contraddittorio, è lecito ipotizzare una loro probabile eliminazione.

Proposte e dichiarazioni per la delimitazione del territorio yanomami.

L’imminente occupazione economica della regione e la conseguente minaccia di sterminio degli Indios Yanomami fecero sorgere varie proposte e richieste per la delimitazione della loro terra, nel tentativo di proteggere i diritti degli Indios al possesso e all’occupazione, prospettando la necesità di un’area continua (unica) e l’urgenza dei provvedimenti da prendersi. Fin dal 1968 persone ed organismi che conoscono questa area hanno fatto almeno undici proposte o richieste in questo senso, la maggioranza delle quali sono scomparse dagli archivi della FUNAI. Nonostante tutte queste proposte il presidente della FUNAI, alla fine del 1977 e nel 1978, firmò quattro decreti nei quali riconosceva il possesso da parte degli indigeni Yanomami di 21 aree separate, scartando la possibilità della formazione di un’unica riserva indigena in Roraima. I riferiti decreti della FUNAI non sono dunque una protezione per le terre indigene e – ciò che è ancora più grave – sembra che preparino la strada ad una futura spoliazione del tradizionale territorio yanomami, lasciandolo diviso in piccole isole, e perciò facilmente vulnerabile. La elimitazione delle 21 aree fu eseguita sulla base del rilievo aereo effettuato dall’ente ufficiale nel 1977: questo rilievo presenta gravi errori tecnici ed è anche in contraddizione con la stessa delimitazione delle aree cui servì come base. Secondo i dati rilevati rimangono per lo meno 800 Yanomami fuori dalle aree riconosciute ufficialmente come loro; se a questi aggiungiamo quelli segnalati dal progetto Radambrasil, la popolazione indigena fuori dalle aree dichiarate proprie si può elevare a 2.900 Yanomami. Le isole create dai decreti della FUNAI non sono dunque altro che una divisione arbitraria del tradizionale territorio yanomami e il risultato di una mera geometria burocratica. Questa delimitazione ignora la necessità fondamentale dell’adattamento ecologico di un gruppo indigeno della foresta amazzonica: infatti gli proibisce, non rispettando apertamente lo Statuto dell’indio, l’accesso all’area dalla quale trae più del 50% delle fonti indispensabili per la sua alimentazione e l’80% delle sue risorse tecnologiche. Le attività socio-economiche degli Yanomami si svolgono in aree molto grandi. Infatti, nonostante alcune aree, secondo lo studio della FUNAI, sembrino “vuote”, sono invece utilizzate dagli Indios come aree indispensabili per la caccia e la pesca, per la raccolta di materiale tecnologico, per il saltuario raccolto dei prodotti delle vecchie piantagioni (nei luoghi anteriormente occupati), per il periodico cambio dei villaggi dopo un lungo sfruttamento ecologico di un’area. Se si mantiene la delimitazione della FUNAI, in pochi anni gli Yanomami, stretti in piccole isole di foresta già sfruttata, avranno il loro autonomo sistema economico distrutto per mancanza di eco-zone appropriate e saranno ridotti a pochi relitti umani affamati, alla completa dipendenza dell’ente che dovrebbe tutelarli.

Considerazioni antropologiche. Oltre ai gravi inconvenienti ecologici, la delimitazione sanzionata dalla FUNAI provocherebbe una drastica disorganizzazione delle comunità yanomami nell’ambito socio-culturale, minacciando definitivamente la loro coesione; ossia non sarebbero più possibili né le strategie matrimoniali tra i villaggi, né la partecipazione intercomunitaria alle celebrazioni funebri; provocherebbe un disanimo e un collasso psicologico capaci di compromettere irreparabilmente la vita culturale della comunità, contribuendo alla accelerata distruzione della sua struttura etnica. Questo smembramento è contrario al decreto che sancisce l’accordo n. 107 della OIT (Organizzazione internazionale del lavoro ONU), in cui si determina che i paesi firmatari devono “prendere in debita considerazione i valori culturali e religiosi e i metodi di controllo sociale propri di queste popolazioni, così come la natura dei problemi che esse devono affrontare, tanto dal punto di vista collettivo che dal punto di vista individuale quando sono esposte a modifiche di ordine sociale ed economico”.

Considerazioni sanitarie. Tutti sappiamo che malattie relativamente non gravi, come raffreddore, influenza, morbillo, tosse convulsa e varicella, sono mortali per l’indio americano. Il semplice contatto, anche passeggero, con individui della società occidentale, apparentemente sani, può distruggere interi villaggi. Lo smembramento del territorio yanomami moltiplicherebbe i punti di contatto con la popolazione bianca circostante, facilitando il contagio di malattie infettive alla popolazione indigena, creando la necessità di uno schema di assistenza che, come sappiamo, sebbene sotto la responsabilità del governo, difficilmente verrebbe effettuato. L’esperienza in questo campo è molto illuminante. Le vaccinazioni richieste da membri della FUNAI nel 1976 come urgentissime fino ad oggi non sono state programmate, anzi non c’è neanche un segno che indichi che si stia organizzando un piano in questo senso. D’altra parte, oltre a minacciare la salute degli indigeni, gli stessi coloni e minatori che entrassero nel territorio yanomami potrebbero a loro volta rimanere vittime delle malattie endemiche che già contagiano gravemente gli Indios, tra le quali la oncocercosi, che molte volte porta alla cecità, la malaria, la leishmaniosi e la febbre gialla.

Considerazioni giuridiche. La Costituzione federale assicura agli Indios il possesso permanente delle terre da loro abitate, riconoscendo loro il “diritto dell’usufrutto esclusivo delle ricchezze naturali e di tutte le cose utili in esse esistenti”. Lo Statuto degli Indios dispone: “È considerata proprietà dell’indio o silvicola [abitante della selva] l’occupazione effettiva della terra che in consonanza agli usi, costumi e tradizioni tribali egli possiede, dove abita ed esercita l’attività indispensabile alla sua sussistenza o che gli è economicamente utile.”

La Commissione per la creazione del parco yanomami (CCPY). Verso la fine del giugno 1979, a nome della CCPY, fu presentata al presidente della FUNAI ed al ministro degli Interni una nuova proposta, la dodicesima, unitamente ad una richiesta diretta al presidente della Repubblica, sottoscritta da 34 personalità tra le quali i presidenti della SBPC (Società brasiliana per il progresso della scienza), OAB (Ordine degli avvocati del Brasile), ABA (Associazione brasiliana di antropologia), CNBB (Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile), ABI (Associazione brasiliana della stampa), e il direttore dell’INPA (Istituto nazionale di ricerca dell’Amazzonia). A livello internazionale diversi scienziati – che da tempo conoscono la peculiare situazione degli Yanomami per aver svolto fra questo popolo studi di antropologia, ecologia, etimologia, genetica, geografia umana, linguistica – sono allarmati e preoccupati per la situazione degli indigeni. La Commissione per la creazione del parco yanomami ha ricevuto centinaia di mozioni di appoggio dal Messico, dal Perù, dal Paraguay, dall’Inghilterra, dalla Svizzera, dalla Francia, dalla Danimarca, dal Canada, dagli Stati Uniti, e se ne auspicano altre. Sono stati prodotti filmati da gruppi di cineasti americani, francesi, canadesi, inglesi, cileni, venezuelani, italiani, giapponesi e jugoslavi. Tuttavia, affinché il parco possa avere reali possibilità di concretizzarsi, deve essere coscientizzata innanzitutto la nazione brasiliana, ed è a questo che tutti possiamo e dobbiamo contribuire. Gli atteggiamenti di alcune autorità brasiliane sembrano considerare la presenza degli Yanomami e la delimitazione di un’area destinata esclusivamente a loro come un attentato alla sovranità del paese. Al contrario, poiché gli Yanomami arricchirebbero umanamente la già pluralistica e diversificata popolazione dello stato, è auspicabile che la proposta del parco yanomami non si perda, come tante altre, negli archivi della FUNAI. Questa speranza si basa non solo sulle timide parole favorevoli di qualche alta personalità, ma principalmente sulla constatazione che oggi per la prima volta comincia a spirare un clima differente tra la popolazione brasiliana, nel senso di una maggior apertura al problema. Un altro motivo a favore della creazione del parco è l’assenza nell’area di problemi fondiari e, se la politica in Amazzonia sarà portata avanti con intelligenza, non ne sorgeranno. Nel caso specifico del parco, chi potrebbe desiderare terreni non adatti alla coltivazione e che, nel migliore dei casi (25%), sono di infima qualità?

Considerazioni ecologiche. L’interesse particolare per l’ecologia di questa regione ha già motivato i tecnici del progetto Radambrasil, che dopo accurati studi hanno raccomandato l’urgente preservazione di varie aree comprese nel perimetro del parco proposto a motivo dei loro speciali ecosistemi. Secondo le mappe del Radambrasil il 36% dell’area del parco non può essere sfruttato economicamente perché è area protetta, in base al Codice forestale; il 41% è stato classificato di valore minimo o insignificante per essere adibito a profitto economico; il poco che rimane è di bassa capacità naturale. Da ciò si deduce chiaramente che il parco non reca alcun danno al progresso della regione. Tanto più che, in Roraima, il parco occuperebbe il 18% della peggiore terra del territorio, per accogliere il 14% della sua popolazione. La verità è che gli invasori dell’area pretendono solo il legname ed i minerali. Circa questi ultimi è utile chiarire che, quando fu presentata la proposta del parco, fu chiesto con insistenza al presidente della FUNAI che ritirasse subito i 40 uomini della DOCEGEO che facevano sondaggi là dove è maggiore la densità della popolazione yanomami. Con l’ingresso senza controllo di persone non qualificate, in pochi mesi il parco rischierebbe di diventare inutile perché non ci sarebbero più Indios e su tutti cadrebbe la responsabilità di un altro genocidio. A distanza di un mese dalla richiesta la DOCEGEO è uscita dall’area della Serra das Surucucùs: purtroppo ciò che è stato un fattore positivo che tutti avrebbero voluto poter attribuire alla FUNAI sembra invece essere stata una scelta della compagnia mineraria, la quale ha capito che l’impresa non era economicamente vantaggiosa.

Il problema del “garimpo”. La minaccia più recente e più pericolosa per il popolo yanomami è costituita dalla penetrazione dei garimpeiros, individui che si avventurano nei luoghi più inaccessibili della foresta alla ricerca di minerali e pietre preziose che estraggono empiricamente. Sono conosciute le nefaste conseguenze cui sono esposti gli Indios con l’arrivo incontrollabile di tali cercatori nel territorio. Come è stato spiegato, nel paragrafo sulle attività minerarie, nel 1976 le autorità federali avevano fatto sospendere le attività del garimpo nella Serra das Surucucùs, di fronte all’allarmante situazione degli indigeni nell’area. Tale provvedimento fu definito da un deputato regionale come una “pastoia assurda” che impediva il progresso della regione. Ma non è pensabile che il progresso della regione si ottenga sacrificando i suoi abitanti. Simili autorità dimenticano che gli Indios sono parte integrante di questa stessa popolazione la cui crescita esse sembrano voler promuovere. D’altra parte ciò che viene richiesto con la proposta del parco indigeno yanomami è il minimo indispensabile per la sopravvivenza degli Indios, nel rispetto della loro terra in base alle leggi brasiliane. La chiusura del garimpo provocò polemiche e dichiarazioni demagogiche ed assurde da parte delle autorità regionali, le quali sobillarono addirittura i bianchi perché contravvenissero al provvedimento. Il governatore di Roraima finanziò nientemeno che l’invasione di un’area degli Yanomami vicina alla Serra das Surucucùs, mandando dei taxi-aerei a lasciare i garimpeiros su una pista costruita tempo prima dagli stessi Yanomami. Oltre agli avventurieri vi furono anche alcuni pseudoscienziati che, alla ricerca di celebrità e dell’Eldorado, eccitarono la fantasia del popolo con notizie sensazionalistiche, quali la scoperta di piramidi nella regione.

1984: considerazioni finali

Negli ultimi anni parecchie autorità brasiliane si sono espresse in termini favorevoli alla creazione del parco yanomami. Tuttavia si è trattato per la maggior parte dei casi di promesse demagogiche, tendenti a scoraggiare la campagna di sensibilizzazione al problema. In realtà l’unica vera misura adottata è stata la “interdizione”di un’area, attraverso il decreto ministeriale GM n.025 del 29.3.1982. Questo provvedimento ha però un’importanza molto relativa, perché “area interdetta” è un’area da studiare, che può, o meno, passare ed essere riconosciuta come riserva indigena; è un provvedimento provvisorio che può essere sospeso in qualsiasi momento; inoltre non è mai stato rispettato: centinaia di invasori che dal 1981 sono penetrati nel Furo de Santa Rosa, nell’area interdetta, fino ad oggi non sono stati fatti evacuare e costituiscono uno dei principali centri di propagazione di malattie che stanno decimando gli Yanomami. Recenti iniziative del governo brasiliano dimostrano che, invece di far rispettare le leggi già esistenti, si tende a modificarle per renderle più complesse e di più difficile applicazione, a scapito degli Indios. Il decreto n. 88118 del 23.2.1983 revoca disposizioni anteriori e apporta modifiche pericolose: toglie alla FUNAI la competenza esclusiva della demarcazione delle terre indigene; introduce un dato nuovo e vago nella definizione delle aree indigene prendendo in considerazione l’interesse pubblico, l’interesse indigeno, i problemi sociali e altri vaghi pretesti. La demarcazione della terra indigena è così tolta dal contesto culturale dei popoli indigeni per entrare nel mito della sicurezza nazionale. Nell’ottobre scorso il presidente della Repubblica Brasiliana, senza consultare il Congresso nazionale, ha emesso un decreto con il quale facilita ancora di più l’invasione di terre indigene per l’estrazione di minerali. Sulla scia di questo decreto assumono maggiore importanza le reiterate richieste di alcuni deputati per autorizzare l’estrazione di minerali anche nel cuore dell’area yanomami, dove vivono almeno 4.000 Indios senza contatto con i bianchi. Questo può essere l’inizio della fine del popolo yanomami, come è stato ampiamente dimostrato da iniziative simili prese in passato. Il ministro dell’interno brasiliano ha più volte dichiarato che non sarebbero mancati finanziamenti per l’assistenza agli Indios e la demarcazione delle loro terre. In effetti ciò non si sta verificando, tanto è vero che gli stanziamenti destinati a questo fine sono stati drasticamente ridotti. Non più tardi del luglio scorso, ad esempio, l’ufficio regionale della FUNAI di Boa Vista, che è responsabile dell’assistenza alla maggior parte degli Yanomami in Brasile, non aveva i soldi necessari per comprare comunissimi antielmintici. Come si può conciliare questo con le misure che il ministero dell’Interno brasiliano dice di aver preso nel gennaio del 1982? Da oltre quindici anni gli esperti stanno sollecitando in ogni modo la “creazione del parco indigeno yanomami”. Fino ad ora ci sono state solo infinite promesse e rinvìi. Ci sentiamo umiliati ed impotenti di fronte a questa situazione che ci può rendere partecipi di un ennesimo genocidio. Noi crediamo che la lotta cominciata debba continuare. Il potere pubblico deve rendersi conto che la nazione è disposta a collaborare e a dare forza quando agirà a favore degli Indios, deve prendere coscienza delle responsabilità che gli competono di fronte a tutta l’umanità, deve sapere che non ci lasceremo stornare e che siamo ancora disposti a lottare, se ce ne sarà bisogno, per il bene degli Yanomami.

Note

(1) SPI = Servizio di protezione agli Indios, estinto nel 1968, dopo la denuncia di responsabilità in atti di genocidio, e sostituito poi con la FUNAI, ossia Fondazione nazionale dell’indio che, grosso modo, ha esercitato fino ad ora la stessa funzione. Compito della FUNAI è quello di tutelare gli Indios, che per legge sono considerati minorenni.

(2) Il 31 marzo del 1964 i militari brasiliani, con un colpo di stato, presero il potere che mantengono tuttora.