Saharawi ancora presi in giro?

La vecchia proposta di Rabat – risalente al 2007 e ufficialmente definita una “risposta alle richieste del Consiglio di Sicurezza alle parti per porre fine alla situazione di stallo politico” – venne descritta come “l’iniziativa marocchina di negoziazione di uno status d’autonomia per la regione del Sahara”.
Ma per il Fronte Polisario e per gran parte della popolazione saharawi si trattava dell’ennesimo tentativo di beffarli, di una mossa propedeutica all’assimilazione.
Da allora essa viene periodicamente e regolarmente rilanciata, raccogliendo negli ultimi tempi il favore sia del governo madrileno, sia di alcuni ex esponenti del Polisario ora dissidenti nei confronti del Fronte. Ne avevamo già parlato. Ora sarebbe il caso di ricordare come nell’aprile di quest’anno (quindi non nel secolo scorso) il Marocco sia stato condannato dal comitato contro la tortura (CAT) dell’ONU a Ginevra per la dura repressione esercitata nei confronti dei giornalisti dissidenti, dei militanti del movimento di protesta del Rif e dei prigionieri politici saharawi, sia nei territori occupati del Sahara occidentale sia nelle carceri marocchine.
In novembre, poi, avvocati e rappresentanti di ONG (non quelle foraggiate da Qatar e Marocco!) hanno nuovamente presentato al comitato delle Nazioni Unite contro la tortura altre sei denunce per le torture subite, al momento dell’arresto e poi durante la detenzione, da altrettanti prigionieri politici saharawi (Sidi Ahmed Lemjiyed, Mohamed el Bachir Boutanguiza, Abdullahi Toubali, Abdellahi Lkhfaouni, Ahmed Sbai e Houssein Zaou); chiedendo l’apertura di un’inchiesta e il loro rilascio in quanto “condannati per confessioni estorte con la tortura”.
I fatti denunciati erano iniziati una dozzina di anni fa, quando l’accampamento di Gdeim Izik (il “campo della dignità”) realizzato nei pressi di Laayoune, la proclamata capitale della Repubblica Araba dei Saharawi, venne smantellato dalle forze dell’ordine marocchine. Gli arresti dei manifestanti si contarono a centinaia e una ventina di attivisti rimangono ancora in prigione, condannati all’ergastolo in quanto accusati di aver provocato la morte di membri delle forze di sicurezza.
Quanto al Fronte Polisario, un suo portavoce (Sidi Omar) ha nuovamente accusato il Consiglio di Sicurezza di non contrastare adeguatamente il re Muhammad VI che vorrebbe “imporre un fatto compiuto nei territori occupati della Repubblica Saharawi”.
Lasciando pertanto al popolo saharawi “una sola opzione, cioè quella di continuare e intensificare la legittima lotta armata per difendere il proprio diritto non negoziabile all’autodeterminazione e all’indipendenza”.