La stampa locale si è gradualmente aperta al dibattito sul tema della lingua. Non mancano dissensi e polemiche

In una lettera al settimanale Famiglia Cristiana del 2 dicembre 1979 veniva espresso il disappunto per una multa inflitta a causa di una scritta invitante a conservare l’identità veneta. Interessante è il commento a tale episodio: “Soggiunge la notifica: lo striscione, sulla facciata esterna di un fabbricato, era visibile dalla pubblica via. Ecco il punto. Appeso in salotto o in cantina, ben occultato ai passanti, Veneti resteremo veneti non costituisce reato. Ma sulla pubblica via, lo crediate o no, è un magazzino di illeciti”. E più oltre: “Qui si è sbagliato definendo pubblicitarie quelle tre parole: come se il Veneto fosse un aperitivo”.

Il Giornale di Vicenza del 16 dicembre 1979 entra nel vivo della questione, pubblicando la missiva di un lettore: “Per me i meridionali, presi in generale, benché sarebbe ingiusto considerarli globalmente, sono un popolo diverso dai settentrionali: veneti, lombardi, piemontesi, friulani… Si tratta, cioè, di dare la possibilità agli uni e agli altri di vivere nel proprio mondo e di realizzarsi come persone e come popolo proprio nel loro paese d’origine… Solo con il rispetto della singolarità di ogni popolo si può parlare di Europa Unita: diversamente si potrà parlare di una Europa unita con la forza”.

Interessanti le prese di posizione della Scuola libera di lingua veneta “B. Russell” e del direttore dell’Osservatorio Ecologico di Montebelluna, ospitate dal Gazzettino il 30 gennaio 1980. Vi si legge che “Non necessariamente uno stato coincide con una nazione… La Polonia, per esempio, come il Veneto, ha continuato ad essere nazione anche quando ha perduto la propria indipendenza” e più oltre “Il problema ecologico dei gruppi etnici è sorto nel momento in cui si è cercato con la violenza di sfasciare i gruppi etnici per farne un unico gruppo etnico identificato nel territorio dello stato. Secondo noi è assurdo, perchè una civiltà non si forma per decreto, ma si forma in secoli di lotte e di convivenza per tentare di raggiungere il meglio per favorire la conservazione delle specie, nel rispetto reciproco”.

Sul Gazzettino dell’8 febbraio 1980 una corrispondenza da Conegliano riconsidera l’offensiva contro lo striscione vicentino. “Ebbene, la multa appare giustificata! Ogni corteo di scioperanti con striscioni non autorizzati non viene forse punito in uguale maniera? Tutti i manifesti, tutte le scritte che costituiscono la metrica murale delle nostre città senza preventive autorizzazioni, non cadono puntualmente ed inesorabilmente sotto i rigori della legge? E tutti gli automobilisti romani e napoletani, che circolano senza aver pagato il bollo di circolazione, l’una tantum per il Friuli ed il premio all’assicurazione, non vengono forse assoggettati a pesanti pene pecuniarie?”.
È ovvio che queste domande retoriche lasciano alquanto perplessi, ripensando al rigore impiegato contro la scritta del Veneto.

Il giorno dopo, il 9 febbraio, il più diffuso giornale veneto ritorna sull’argomento della nazione veneta con una lettera da Susegana: “Sotto l’amministrazione austriaca il popolo veneto era considerato una nazione storica; ora non più! Fino a pochi decenni fa ad Israele si negava, oltre al diritto all’esistenza, ogni caratteristica nazionale e statale; ora l’opinione mondiale sembra mutata!” Dopo un accenno alle analoghe situazioni nazionali algerina, tedesca ed afgana, la lettera conclude: “Prima di negare prerogative nazionali ad un popolo con storia e cultura secolari, io prenderei in seria considerazione la facilità con cui tali prerogative vengono conferite o tolte”.

Il Giornale di Vicenza del 10.2.1980 registra la protesta di un insegnante sardo per le scritte in cimbro sull’Altipiano di Asiago. Famiglia Cristiana del 17.2.80 pubblica la serafica speranza di un giovane bassanese, che la polemica scoppiata nel Veneto venga smorzata dallo spirito di amore cristiano, ma questa aspirazione non sembra essere stata accolta specialmente dagli emigrati veneti. Scrive uno di loro dalla Germania sul Gazzettino del 23.2.80. “Non si tratta di espellere i meridionali, ma di impedire che continuino ad essere espulsi i veneti! Ora le cose debbono cambiare, ma solo perchè le tradizionali valvole di sfogo, costituite da Inghilterra, Francia, Svizzera e Germania non sono inesauribili, anzi sono già sul punto della saturazione. Noi non potremo più emigrare e, messi con le spalle al muro, si dovrà giungere inevitabilmene allo scontro”.

Nuovo impegno

Si tratta di espressioni che denunciano una problematica non più sottovalutabile. Al significato di tali espressioni scritte, che rimangono valide finché non si potrà dimostrare il contrario, fanno ecco due importanti fenomeni:

– Il competente ed insolito fervore dei veneti (quasi un improvviso risveglio), che incominciano a prendere coscienza della loro identità;

– La disponibilità dei quotidiani veneti ad ascoltare anche le voci locali.

Il primo argomento assume risvolti di estrema rilevanza. Nell’Italia nord-orientale si erano consolidati gli autonomismi sudtirolese e friulano; ora la presa di coscienza veneta, espressa nei limiti della correttezza e della legalità proprie di quelle genti, realizza una specie di saldatura che potrebbe portare ad una maggiore coesione, solidarietà ed omogeneità delle tre regioni interessate, sia ai fini della rivalutazione della propria identità, sia in ordine ad un più funzionale decentramento amministrativo.

Il secondo argomento ha sorpreso vasti strati della popolazione veneta. Già in data 22 dicembre 1979 il Gazzettino aveva pubblicato una dura critica all’ing. Tomellieri, presidente del Veneto, alla Commissione di controllo sugli atti regionali, ma nessuno si sarebbe aspettato tanta attenzione, e tanto spazio, alla pubblica opinione. Se questo è un segno che i giornali veneti hanno recepito la pressante richiesta proveniente dai lettori, non rimane altro che citarli come esempio per altri fogli delle regioni limitrofe, in quanto, come ha scritto Ulderico Bernardi in Le mille culture, “tutelare la preziosa diversità delle culture locali, in una visione dinamica e non certo conservatrice e antistorica, è oggi un impegno di grande significato, ha il valore di contrapporre una realtà dialettica, e quindi sempre più svincolata dalla subalternità, al condizionamento e all’appiattimento proposto da una rozza industria culturale”.