Un’importante e straordinariamente approfondita ricerca sulla questione delle minoranze nazionali nella regione dello Schleswig, nella penisola dello Jutland. Dall’epoca carolingia fino ai nostri giorni, attraverso due guerre mondiali ed enormi problemi di carattere politico, territoriale, giuridico, culturale, economico e sociale, la costruzione faticosa e sofferta di una realtà che, soprattutto se raffrontata alle drammatiche vicende di contrasto etnico riscontrabili in altre parti d’Europa e del mondo, rappresenta un esempio prezioso di tentativo di soluzione positiva del problema: alla base di tutto, un rapporto improntato a una reciproca e ben fondata fiducia, la rinuncia a ingiustificati privilegi, il rispetto per tutto ciò che distingue popolo da un altro e che ne rappresenta l’intrinseca e irripetibile ricchezza.

Lo Schleswig (in lingua danese Slesvig) è una regione situata nella parte meridionale della penisola dello Jutland. Delimitato a Nord dalla Danimarca, ad Ovest dal Mare del Nord, ad Est dal Piccolo Belt e a Sud dal fiume Ejder, confine tradizionale con il mondo tedesco, per la sua qualità di regione di frontiera, esso ha avuto una storia particolarmente tormentata. Già in epoca carolingia, onde frenare la forte pressione germanica verso Nord, il re dello Jutland Godfred dovette far costruire il terrapieno della “Dannevirke”, una fortificazione che univa la foce dell’Ejder al corso dell’altro piccolo fiume Schlei (Slien). Ciò non bastò tuttavia ad evitare la conquista da parte di Carlo Magno dello Schleswig, a seguito di un’offensiva partita dal limitrofo Holstein. La conquista germanica dello Schleswig accentuò l’immigrazione di agricoltori, che colonizzarono le terre del cosiddetto “Nordmark”, portandovi soprattutto la propria lingua; questi vissero peraltro in tranquillità, convivendo senza troppi problemi con la popolazione originaria.

Nel 1207, tuttavia, l’imperatore Corrado II cedette lo Schleswig al re di Danimarca Knud il Grande; ciò accese le mire danesi sul vicino territorio dello Holstein, che avrebbe potuto completare il quadro territoriale di un grande regno, i cui domini si estendevano all’Inghilterra meridionale, alla Norvegia, alla Svezia meridionale e ad alcune zone costiere sul Mar Baltico. Il desiderio danese di annettere lo Holstein provocò una serie innumerevole di contese dinastiche, dai risvolti spesso sanguinosi, che si risolsero temporaneamente solo nel 1460, quando le assemblee regionali di Schleswig ed Holstein scelsero quale signore comune re Cristiano I di Danimarca, che ricevette i due territori a titolo di unione personale; sia l’uno (Schleswig), feudo della corona danese, sia l’altro (Holstein), territorio imperiale, dovevano mantenere le proprie istituzioni tradizionali e rimanere, sempre secondo la promessa di Cristiano I, uniti per sempre (“ewich tosammende ungedelt”). La penetrazione tedesca non potè tuttavia essere arrestata: alla colonizzazione agricola medioevale succedette l’inurbamento, causa soprattutto l’attività commerciale della “Hansa”. Non a caso, anche a distanza di secoli, le maggiori città portuali dello Schleswig furono quelle a maggiore concentrazione etnica tedesca, e anche quelle in cui potè svilupparsi quel ceto medio che aiutò la Riforma protestante a diffondersi ovunque. Quest’ultimo fenomeno interessò peraltro anche l’intera Danimarca, come pure la Scandinavia nel suo complesso; per lo Schleswig esso significò in particolar modo una diffusione ancora più capillare della lingua tedesca. Di conseguenza, la frontiera etnica, linguistica e culturale tra mondo scandinavo e mondo tedesco non potè che ritirarsi sempre più a Nord. Tuttavia, le relazioni tra Danesi e Tedeschi, grazie soprattutto al commercio fiorente, si snodarono pressoché tranquille, salvo la parentesi disastrosa della Guerra dei Trent’Anni, fino al XIX secolo: fu in quel periodo che scoppiò la cosiddetta “Questione dei Ducati”, appunto di Schleswig e Holstein, oltre al piccolo Lauenburg, ottenuto dalla Danimarca nel 1815 come compenso alla perdita della Norvegia. La differenza sostanziale tra la legge successoria dei tre ducati, basata rigidamente sulla legge Salica, e quella del regno di Danimarca, che non la riconosceva, si aggiunse, come motivo di tensione, al crescere dei sentimenti nazionali, sulla scia del resto dell’Europa.  Il movimento nazionalista dello Schleswig-Holstein tentò di arrivare ad una secessione dei tre ducati dall’unione personale con la Danimarca: ciò provocò una guerra, cui partecipò anche la Prussia, designata dalla Dieta di Francoforte a difendere Holstein e Lauenburg, appartenenti alla Confederazione Germanica dal 1815. La vittoria danese del 1848 non fece scemare la tensione internazionale provocata dal conflitto: sullo Schleswig occupato fino alle rive dell’Ejder, nonostante le prudenti esortazioni delle Grandi Potenze, fu instaurata una rigida amministrazione commissariale danese; questa, non tenendo conto delle esigenze della popolazione di lingua e sentimento tedeschi, si adoperò costantemente, specie sul piano culturale, per danesizzare completamente lo Schleswig. Nel 1863 il re Cristiano IX di Danimarca pose ufficialmente fine alla politica dello “helstaten”, cioè di uno Stato composto anche dai ducati, sottoscrivendo una Costituzione comune per la Monarchia e per lo Schleswig. Si trattava di una contravvenzione alla promessa fatta nel 1850 alla Prussia di non avvicinare lo Schleswig alla Danimarca più dello Holstein: l’incauta mossa, incoraggiata dai nazionalisti danesi più accesi, provocò un secondo conflitto, che vide stavolta rapidamente prevalere la macchina politica e militare prussiana.  La nettissima sconfitta della Danimarca nel 1864 segnò la fine del legame con i ducati: alla conferenza di pace di Vienna, il Regno dovette rinunciare a tutto lo Schleswig, lo Holstein e il Lauenburg a favore di Prussia e Austria, i vincitori della guerra. Tuttavia, di fronte alla pretesa austriaca di fare dello Schleswig-Holstein uno Stato indipendente, la Prussia si oppose, e ciò condusse ad una nuova guerra, stavolta austro-prussiana, e ad una nuova vittoria di Berlino.

La Pace di Praga del 1866 assegnò Schleswig, Holstein e Lauenburg alla Prussia; Napoleone III, che aveva portato la Francia nella questione, patrocinò l’introduzione nel Trattato di Praga dell’articolo 5, che recitava che “la popolazione dei distretti settentrionali dello Schleswig dovrà essere ceduta alla Danimarca, se essa attraverso un libero plebiscito manifesterà il desiderio di esservi riunita”. Nel frattempo, però, all’apparato militare prussiano era succeduto nello Schleswig quello amministrativo, che si rivelò ancora più ferreo: nella nuova provincia prussiana iniziò subito un processo di germanizzazione, che si snodò per un periodo di 54 anni, dal 1864 al 1918, raggiungendo il suo culmine intorno al 1900, sotto l’amministrazione Koller. Nello stesso periodo di tempo, in occasione del Congresso di Berlino del 1878, il paragrafo 5 del Trattato di Praga fu abolito da Austria-Ungheria e Germania. Questo evento, unito alla germanizzazione e al forte flusso emigratorio dallo Schleswig verso la Danimarca o addirittura verso gli USA, non impedì ai Danesi dell’antico ducato di organizzarsi: sullo scorcio del XIX secolo nacquero la “Unione linguistica” (“Sprogforeningen”), l’“Unione elet-torale dello Schleswig del Nord” (“Den nordslesvigske Vaelgeforening”), 1’“Unione scolastica” (“Skoleforeningen”) e l’“Unione creditizia dello Schleswig del Nord” (“Den nordslevigske Kreditforening”); quest’ultima aveva lo scopo di facilitare, mediante prestiti, l’acquisto da parte di agricoltori della regione di grandi e piccole proprietà. L’aspirazione sempre più forte di questi gruppi era quella di riportare lo Schleswig, o quantomeno la parte ancora culturalmente e linguisticamente danese, in seno al regno di Danimarca. Lo scoppio della prima guerra mondiale accese speranze che si intensificarono via via che l’esito del conflitto si andava chiarendo.

La notizia improvvisa, arrivata ai primi di ottobre del 1918, che il nuovo governo tedesco, guidato dal principe Massimiliano di Baviera, aveva accettato un armistizio e l’inizio di negoziati di pace basati sui “14 Punti” del presidente americano Woodrow Wilson causò grande eccitazione nello Schleswing. La Germania accettava implicitamente il principio dell’autodeterminazione dei popoli, e ciò significava la ……età possibilità di ritracciare la linea di frontiera con la Danimarca. Circa il destino dello Schleswig, nell’ottobre 1918, esistevano tre orientamenti politici degni di nota.

Dalla fine della 1a Guerra Mondiale ai plebisciti del 1920

Il primo era quello del governo danese, guidato dal radicale Cari Theodor………. l’imperativo categorico era l’assoluta neutralità, lasciando che fosse la popolazione stessa dello Schleswig, sia Danesi che Tedeschi, ad esprimersi riguardo al proprio futuro. Copenaghen percepiva il momento internazionale favorevole, e proprio in sede internazionale intendeva affrontare la questione dello Schleswig, portandola alla Conferenza di Parigi. Al contrario, un trattato bilaterale con la Germania avrebbe potuto causare future intromissioni tedesche nella politica interna danese, specie se avessero prevalso orientamenti estremisti ed una minoranza tedesca assai consistente fosse compresa nei confini della Danimarca. L’optimum sarebbe stato perciò sì ottenere uno spostamento a Sud della frontiera, ma questo doveva comprendere solo la parte più genuinamente dello Schleswig, cioè quella settentrionale. Le altre due tendenze politiche riguardanti il destino dello Schleswig si erano sviluppate nella stessa regione, seguendo un processo che era durato dei decenni. La popolazione di origine e sentimenti danesi dello Schleswig aveva in qualche modo sofferto sotto l’amministrazione prima prussiana e poi germanica, ma ciò nonostante non aveva maturato una posizione univoca: vi era anzitutto uno schieramento estremo, che si chiamava “Movimento della Dannevirke “Dannevirkebevaegelse”) e discendeva in parte dagli ottocenteschi “Danesi dell’Ejder”; esso sosteneva che la nuova frontiera tedesco-danese seguire la linea medioevale Schlei-Dannevirke-Ejder, riassorbendo così anche i territori dello Schleswig……… e meridionale, ormai quasi completamente germanizzati. Più moderato, ma ugualmente poco realisti era il “Movimento di Flensburg (“Flensborg-Bevaegelse”), che rivendicava invece alla Danimarca la sola fascia centrale dello Schleswig, compresa Flensburg, la città più importante della regione, tuttavia tedesca per un abbondante 75%. Questa fazione ebbe purtuttavia un certo peso nella definizione politica del programma danese concernente lo Schleswig. Il terzo schieramento era quello più realista e anche quello politicamente più significativo, visto il sostegno, sia pur velato, del governo danese. Guida indiscussa di esso era Hans Peter Hanssen, deputato regionale al Reichstag tedesco e presidente della già ricordata “Unione elettorale dello Schleswig del Nord”: per queste sue qualità egli rappresentò l’essenziale “trait d’union” tra gli ambienti politici dello Schleswig, il governo tedesco e il governo danese. Il movimento politico guidato da Hans Peter Hanssen, denominato “Movimento di Aabenraa” (“Aabenraa- Bevaegelse”) dal nome della città in cui il suo programma fu formulato, aspirava ad un ritorno alla Danimarca della sola parte settentrionale dello Schleswig, la cui popolazione era prevalentemente di lingua e sentimento danesi. La minoranza tedesca, secondo i calcoli di Hanssen, oscillava invece tra le 25mila e le 45.000 unità, e poteva quindi essere “risucchiata in due generazioni”. La nuova frontiera doveva perciò essere tracciata secondo una linea particolare, già proposta dallo storico Hans Victor Clausen alla fine del XIX secolo: questa correva a Sud di Tönder, nello Schleswig occidentale, e a Nord di Flensurg, in corrispondenza della antica frontiera tra tedesco e danese come lingue ecclesiastiche, “là dove la cultura danese e quella tedesca si incontrano l’una con l’altra”.

Il “programma di Aabenraa”, articolato in cinque punti, comprendenti tra l’altro anche un eventale plebiscito per lo Schleswig centrale, ottenne sul finire del 1918 il carisma dell’ufficialità da parte del governo danese guidato da Erik Scavenius: una volta comunicato alle Grandi Potenze, esso divenne quindi il programma ufficiale danese per lo Schleswig alla Conferenza di Pace di Parigi. Oltre alla posizione del governo di Copenaghen e a quelle maturate in seno alla comunità danese dello Schleswig, esisteva anche uno schieramento tedesco, che si identificava con il gruppo etnico residente nello Schleswig: esso si organizzò come tale nello stesso periodo di quelli danesi, quando, da una serie di entità minori, nacque una “Commissione generale tedesca per il ducato di Schleswig” (“Deutscher Hauptausschuss für das Herzogtum Schleswig”). All’interno di questa si verificò immediatamente una frattura tra due ali: una intransigente, che era fermamente contraria a qualsiasi compromesso territoriale con la Danimarca, e una negoziale, rassegnata ad uno Schleswig del Nord danese, ma ben dacisa a difendere i diritti della futura minoranza tedesca. Quest’ultima corrente era guidata da un ecclesiastico, il pastore evangelico Johannes Carl Schmidt, detto Schmidt- Wodder, dal nome del piccolo paese da cui proveniva: già politicamente attivo dai primi del secolo e convinto ma inascoltato assertore di un più tollerante atteggiamento nei confronti del gruppo etnico danese, egli sosteneva ora la necessità di un’uguaglianza numerica tra le due minoranze che si sarebbero create sui due lati di una nuova frontiera. La minoranza tedesca dello Schleswig del Nord doveva avere il diritto di difendere la propria cultura, usufruendo di scuole e chiese in cui potesse usare la propria lingua; ogni suo appartenente doveva poi iscriversi ad un catasto nazionale, definendo così una “comunità tedesco-nazionale” (“Deutschvölkische Gemeinschaft”), garanzia contro ogni tentativo di omogeneizzazione. Infine, la minoranza avrebbe dovuto disporre di un seggio al Folketing di Copenaghen. Una volta elaborato anche il programma della minoranza tedesca, tutto era pronto per risolvere la questione dello Schleswig  in sede di conferenza di pace: A Parigi, nella primavera del 1919, si formò una commissione mista belga-danese , presieduta da André Tardieu, con il compito di esaminare tutti i dettagli del problema con la massima imparzialità. Molti elementi estranei influirono tuttavia sul giudizio della commissione: anzitutto la posizione contrattuale pressoché nulla della Germania sconfitta; quindi il credito di cui godeva presso le Grandi Potenze la Danimarca dalla lunga tradizione liberale, ciò che la esentò dal sottoscrivere, come altri Paesi, un trattato internazionale sui diritti delle minoranze etniche. Ultimo, ma non per questo fattore meno importante nella dinamica delle decisioni di Parigi, fu la debolezza del programma tedesco in contrapposizione all’articolatezza dli quello danese. Il governo di Copenaghen si vide addirittura  offerta dalle Grandi Potenze la possibilità di far effettuare un plebiscito in una  terza zona dello Schleswig, corrispondente grosso modo all’intera parte meridionale della regione; l’ambasciatore danese Bernhoft rinunciò, dato che non vi era alcun desiderio di ospitare nel Regno un gruppo etnico tedesco di 300.000 unità, pari a oltre il 10% delle popolazione totale. Lo strumento del plebiscito, perfettamente consono al principio dell’autodeterminazione dei popoli, avrebbe quindi deciso la questione nazionale nello Schleswig settentrionale e centrale: si trattava proprio di quella soluzione di carattere internazionale che consentiva alla Danimarca di evitare una trattativa bilaterale con la Germania, Paese di cui essa diffidava, dopo gli sviluppi negativi dell’art. 5 del Trattato di Praga del 1866. L’art. 109 del Trattato di Versailles stabilì che una commissione internazionale si formasse allo scopo di sorvegliare l’andamento dei due plebisciti da celebrare nello Schleswig; essa doveva avere piena potestà amministrativa sulla regione, mentre la sovranità doveva essere conservata dalla Germania fino all’esito delle votazioni. Queste, secondo le modalità indicate nel “programma di Aabenraa”, dovevano svolgersi considerando le due zone dello Schleswig come due blocchi unici: si era evitato così un voto per municipi che, visto il peso del gruppo etnico tedesco nelle città, avrebbe potuto creare delle “enclaves” pericolose per la Danimarca. Il 10 febbraio 1920 si svolse il plebiscito nella prima zona, corrispondente allo Schleswig del Nord: il 75% della popolazione si espresse per la riunificazione alla Danimarca; il restante 25 % votò contro. Non mancarono alcune significative “isole” tedesche, specialmente nei distretti di Tönder (77% pro-Germania) e Sönderborg (66%). Dopo più di un mese di tensioni politiche a tratti anche gravi, il 14 marzo 1920 si svolse anche il secondo plebiscito per lo Schleswig centrale; nonostante le percentuali di voto risultassero quasi esattamente rovesciate (circa il 75% pro-Germania e il 25% pro-Danimarca), la neonata minoranza tedesca sul suolo danese contava circa 80.000 unità, contro le meno di 10.000 del suo corrispondente danese a Sud della nuova frontiera. La “linea Clausen”, che andò a costituire quindi il nuovo confine tra Danimarca e Germania, risultava perciò del tutto inadeguata e dimostrava che la questione dello Schleswig era tutt’altro che conclusa.

La nuova legislazione speciale e i problemi economici (1920-1933)

La conferenza di pace di Parigi e l’esito dei due plebisciti del 1920, pur avendo fissato una nuova linea di frontiera tra Danimarca e Germania, non avevano potuto che sfiorare il complesso problema della protezione delle due minoranze etniche dello Schleswig. Ad un’iniziativa tedesca della primavera del 1920, volta ad arrivare ad un trattato bilaterale con la Danimarca che risolvesse la questione, naufragata per via dell’opposizione danese, seguì, in un clima di grave tensione tra i due Paesi, un intervento politico delle Grandi Potenze: questo culminò nell’accordo di Parigi del 5 luglio 1920, che siglò il passaggio definitivo della sovranità sullo Schleswig del Nord (ora ribattezzato con il suo nome più antico di Jutland meridionale, Sönderjylland) dalla Germania alla Danimarca. Ultimato così il quadro delle condizioni di base per la stabilità politica della regione, occorreva a questo punto occuparsi della tutela dei rispettivi gruppi etnici. Per quanto riguarda la minoranza tedesca dello Schleswig del Nord, ai cosiddetti “paragrafi di libertà” della Costituzione danese, che già garantivano i diritti fondamentali, si aggiunse una nuova legislazione di carattere speciale. Questa fu elaborata attraverso una procedura assai articolata: l’“Unione elettorale dello Schleswig del Nord”, per mezzo di tre sottocommissioni, una scolastica, una ecclesiastica e una giuridica, formulava dapprima le proposte di legge; queste venivano poi trasmesse ai ministeri danesi singolarmente interessati, che le elaboravano, mentre in parallelo esse venivano discusse da una “Commissione parlamentare per lo Jutland meridionale” (“Rigsdagspartiernes sönderjyske udvalg”), in cui governo e Parlamento danesi concorrevano a dare ad esse una forma definitiva. Di qui, le proposte venivano trasmesse per l’approvazione definitiva alle due camere del Parlamento danese, il Folketing e il Landsting. A tutto ciò va aggiunto infine il prezioso contributo dello speciale ministero creato fin dall’estate 1919 per i problemi dello Schleswig del Nord e posto sotto la guida del liberale Hans Peter Hanssen. Sul piano scolastico, la nuova legislazione si ispirò essenzialmente alla necessità di mantenere la sovranità danese sullo Schleswig settentrionale, concedendo al tempo stesso alla minoranza tedesca una libertà sia linguistica che intellettuale. Il gruppo etnico ottenne il diritto ad usufruire di speciali sezioni scolastiche comunali di lingua tedesca; non già, tuttavia, a scuole autonome sotto l’amministrazione dello Stato danese, come esso avrebbe preferito. La legge consentiva peraltro di costituire istituti privati, e fu proprio questa la strada che la minoranza tedesca preferì intraprendere, come del resto il suo equivalente danese a Sud della nuova frontiera. Nelle campagne, come regola, la lingua scolastica doveva seguire quella della popolazione ivi residente; se, però, i genitori di almeno dieci allievi lo avessero deciso, si potevano chiedere in ciascuna sezione delle ore in lingua tedesca, oppure si poteva votare per decidere sulla lingua da adottare. Dove invece il tedesco si trovava ad essere lingua scolastica, si dovevano impartire almeno quattro ore settimanali di lingua danese, con possibilità di ottenere comunque dispensa dal Ministero per l’Educazione di Copenaghen. Nelle città, inclusi i capoluoghi Tönder, Haderslev, Aabenraa e Sönderborg, valevano le stesse regole, con l’unica eccezione del tedesco obbligatorio e non più facoltativo nelle sezioni danesi della scuola primaria. Criteri similari ispirarono la nuova legislazione ecclesiastica: il principio era sempre il rispetto della lingua prevalente nei vari distretti, sulla base delle più recenti statistiche. Purtuttavia, lo Schleswig del Nord fu grossolanamente diviso in due diocesi, una con sede a Ribe nel Nord-Ovest e un’altra ad Haderslev nel Nord-Est; quest’ultima includeva poi territori che arrivavano fin quasi alla città di Vejle, nello Jutland centrale, come a significare che, sul piano ecclesiastico, il governo danese non intendeva riconoscere alcuna peculiarità alla regione. Le varie comunità ecclesiastiche ottennero la facoltà di decidere se mantenere o meno il proprio vecchio parroco: la maggior parte decise per il sì. Dal 1921, infine, ciascuna delle città principali dello Schleswig del Nord ottenne due parroci, uno tedesco e uno danese, che dovevano usare ciascuno la propria lingua e lavorare separatamente: apparve subito chiaro, però, che il parroco tedesco finiva per essere subordinato a quello danese. Il nuovo sistema giuridico-amministrativo stabilì nella regione la parificazione delle due lingue, sia di fronte al giudice che negli atti giudiziari. Sul piano più precisamente amministrativo, il nuovo ordinamento autorizzò le pubbliche autorità ad usare il tedesco nelle questioni di diritto privato; la lingua poteva poi essere generalmente usata nelle riunioni comunali e in tutte le altre istanze di livello locale o comunque ridotto. Sul piano della legge elettorale, lo Schleswig del Nord fu organizzato come un unico distretto, e la minoranza tedesca ottenne la concreta possibilità di inviare un suo rapresentante al Folketing: ciò si verificò già dal 1920, e il seggio fu assegnato al pastore Schmidt- Wodder, che lo mantenne ininterrottamente fino al 1939. Non mancarono tuttavia critiche, anche assai aspre, a questo nuovo ordinamento speciale: sul piano scolastico ed ecclesiastico la minoranza tedesca lamentò l’impossibilità di costituirsi in quella “Comunità tedesco-nazionale” di cui Schmidt-Wodder aveva parlato nel 1918, viste le numerose limitazioni ad un’effettiva autonomia; anche sul piano giuridico-amministrativo non mancarono forti perplessità: basti pensare che alla provincia (amt) quasi interamente tedesca di Tönder furono annessi cinque distretti quasi interamente danesi, bilanciando così il peso elettorale e politico della minoranza di una zona assai prossima alla frontiera. Fu pertanto proprio il pastore Schmidt- Wodder a lanciare la nuova parola d’ordine del gruppo etnico: occorreva una nuova risoluzione (“eine neue Entscheidung”), che riaprisse la questione della frontiera, fissata da quella pace di Versailles che per i Tedeschi non solo dello Schleswig, ma di tutta Europa, era stata una pace “di violenza”. Purtuttavia, l’evoluzione politico-internazionale degli anni ’20 mostrò sempre più chiaramente che non si sarebbe arrivati ad una revisione della frontiera favorevole alla minoranza tedesca: di conseguenza, la “neue Entscheidung” dovette ridursi ad una febbrile attività interna di supporto all’insieme delle attività del gruppo etnico, specie quelle culturali. Alla “Lega dello Schleswig-Holstein” (“Schleswig-Holsteiner Bund”), attiva già dal 1919 e presieduta fino al 1926 dal borgomastro di Flensburg, Herman Todsen, si aggiunsero così altre due fondamentali organizzazioni: la “Fondazione tedesca” (“Deutsche Stiftung”) e la “Commissione del Nord” ( “Nordausschuss”).

La prima era un ente ufficialmente privato, ma in realtà subordinato al governo tedesco, ed aveva il compito di assistere, specie sul piano economico, quei settori della minoranza che erano stati colpiti in particolare dalla crisi economica successiva alla guerra. La “Commissione del Nord” aveva invece la funzione di organo catalizzante ed organizzativo dell’attività nazionale nella zona della frontiera, lavorando anch’essa in continuo contatto con Berlino. Dopo la creazione di questi primi due organi specifici nel 1920, due nuove strutture videro la luce appena un anno dopo: si trattò di un “Ufficio per le risorse necessarie alla frontiera settentrionale” (“Grenzmittelstelle Nord”) e di un’agenzia di stampa regionale, il “Korrespondenzbüro Nordschleswig”; quest’ultimo era inoltre collegato, a Sud della frontiera, al giornale “Der Schleswig-Holsteiner”, stampato a Flensburg. Sia l’“Ufficio per le risorse”, sia l’agenzia stampa erano nate in seno al “Nordausschuss”, che tuttavia si sciolse nel 1923, in seguito al riconoscimento della nuova frontiera da parte dei due partiti socialdemocratici di Danimarca e di Germania. Sul piano politico-programmatico, dopo lo scioglimento post-plebiscitario della “Commissione generale tedesca”, nell’agosto del 1920 fu creata dapprima una “Unione elettorale dello Schleswig” (“Schleswigscher Wählverein”) che, subito dopo, si trasformò in “Partito dello Schleswig”, o “Slesvigsk Parti”: la denominazione danese era motivata dal fatto che esso avrebbe concorso alle elezioni per il Folketing, e fu proprio nelle sue file che il pastore Schmidt-Wodder venne eletto nel 1920. Il consolidamento politico e organizzativo della minoranza tedesca fu bilanciato dalla creazione, da parte danese, di due associazioni patriottiche nella regione di frontiera, la “Graensevaern” e la “Jyske Vaern”: il loro compito era essenzialmente di vigilanza e pressione politica sul gruppo etnico tedesco. Quest’ultimo non si fece comunque intimorire, e concentrò la propria attività sul consolidamento del sistema scolastico privato e delle libere comunità religiose, queste ultime legate alla Chiesa evangelico-luterana tedesca dello Schleswig-Holstein. Nel campo fondamentale della diffusione delle informazioni, i quattro quotidiani di lingua tedesca sopravvissuti nei capoluoghi regionali alla conclusione della guerra (“Apenrader Tageblatt”, “Sönderburger Zeitung”, “Neue Töndernsche Zeitung” e “Hadersiebener Tageblatt”) furono costretti, per mancanza di fondi, a fondersi in un unico giornale , il “Nordschleswigsche Zeitung”: questo cominciò ad uscire come quotidiano nel 1929 e si configurò come la voce ufficiale del gruppo etnico tedesco, sia pure smorzata dalle direttive di Berlino, fermamente intenzionata a non peggiorare le già precarie relazioni diplomatiche con Copenaghen. La controffensiva politica danese procedeva nel frattempo a ritmo sostenuto: alle già ricordate associazioni patriottiche regionali si aggiunse, nel 1927, una nuova commissione: questa riunì due organizzazioni di lunga tradizione come l’“Unione scolastica” e l’“Unione linguistica”, più una terza, del tutto nuova e più direttamente volta a difendere l’identità culturale danese: 1’“Unione della frontiera (“Graen- seforeningen”). Il processo di riunificazione dello Schleswig del Nord alla Danimarca comportò problemi di ordine non soltanto politico-giuridico e culturale, ma anche economico e sociale. Alla fine della prima guerra mondiale il crollo verticale del marco tedesco non impedì a molte persone nella regione, che speravano in una ripresa, di effettuare investimenti bancari; questi si rivelarono però fallimentari, e la conseguente emorragia economica fu fronteggiata con la costituzione, su iniziativa del governo danese, di due nuovi istituti di credito: una cassa di conguaglio (“Udligningskasse for de sönderjyske Landsdele”,o, più brevemente, “Sönderjyllands Kreditforening”) e una banca di prestito (“Laanekassen for Sönderjylland”). Tutti coloro che ne avevano necessità potevano ricorrere alle risorse finanziarie di queste due istituzioni creditizie; la maggior parte dei beneficiari fu tuttavia costituita da proprietari terrieri, commercianti ed imprenditori. La peculiare struttura economica dello Schleswig del Nord, prevalentemente agricola, rese chiaro già nell’autunno del 1919 che ogni intervento di sostegno avrebbe dovuto interessare le infrastrutture produttive della regione: tre commissioni iniziarono così ad occuparsi delle difficili questioni della distribuzione delle terre tra i proprietari e della lottizzazione degli appezzamenti. Il gruppo tedesco si rese subito conto che se la politica agricola regionale fosse stata lasciata esclusivamente nelle mani del governo danese, sarebbe stato impossibile garantire la sopravvivenza dei proprietari tedeschi: solo nel 1926, tuttavia, il governo di Berlino potè fornire alla minoranza un sussidio economico pari a cinque milioni di marchi. Ciò consentì di costituire nello Schleswig del Nord un istituto di credito tedesco, il “Kreditanstalt Vogelgesang”: questo, tramite un’organizzazione di copertura denominata “OSSA”, con sede a Berlino, dipendeva economicamente pressoché per intero dalla Germania. Compito del “Kreditanstalt Vogelgesang” era quello di sostenere i proprietari terrieri tedeschi che la crisi avrebbe potuto costringere all’abbandono delle terre e, in seguito, a fare mettere queste ultime all’asta. Fu così che ebbe inizio la cosiddetta “guerra della terra” tra Tedeschi e Danesi nello Schleswig del Nord: forte dei due istituti di credito creati dal governo di Copenaghen, la maggioranza danese potè inoltre contare su un’istituzione privata: la “Difesa della terra” (“Landevaernet ”). Questa operava come un banca, rivendendo a proprietari terrieri danesi tutti quegli appezzamenti acquistati da coloro che, oberati dalla crisi, erano costretti a vendere. Il governo danese riuscì inoltre a convincere agricoltori dello Jutland settentrionale ad emigrare a Sud per creare nuove proprietà comprendenti terre abbandonate in prevalenza da Tedeschi. Due altri istituti di credito furono infine creati a completare il quadro della politica agraria condotta da Copenaghen nella regione. La “guerra della terra” si inasprì nel 1925: in quell’anno il governo tedesco decise di porre restrizioni alle importazioni dalla Danimarca; quest’ultima aveva peraltro già dal 1923 ridotto drasticamente le importazioni di manodopera agricola dallo Schleswig tedesco, sia allo scopo di assorbire la disoccupazione nazionale, sia per bloccare la crescita di peso dei Tedeschi nello Schleswig del Nord.  La situazione economica della minoranza tedesca non potè non risentire negativamente di simili sviluppi, soprattutto perché questi allontanavano ogni possibilità di spostamento almeno della frontiera economica, danneggiando ulteriormente i rapporti commerciali tra le due zone dello Schleswig divise dal confine del 1920. Tutti questi fattori uniti insieme accesero e svilupparono il malcontento degli agricoltori: il fenomeno investì l’intera Danimarca, partendo proprio dallo Schleswig del Nord, ove nacquero dei veri e propri movimenti politici agrari. I1 primo di essi fu la cosiddetta “Autonomia Contadina” (“Bondens Selvstyre”), fondata nel 1923 dal proprietario terriero di origine frisona Cornelius Petersen: essa aspirava all’indipendenza politica di tutto lo Schleswig e anche dello Holstein, sulla base delle tradizioni medioevali e della “Legge dello Jutland” (“Jydske Lov”). Alla Danimarca sarebbero dovute spettare la conduzione degli affari esteri e la difesa nazionale del nuovo Stato, la cui classe dominante sarebbe stata quella agraria, nella sua qualità di unico ceto davvero produttivo: ogni freno all’iniziativa privata avrebbe dovuto essere senz’altro rimosso. Il movimento dell’“Autonomia Contadina” presentava alcune parziali analogie con il fascismo italiano; Petersen era tuttavia convinto che un regime di quel tipo non doveva essere che il primo passo verso una definitiva forma di autonomia e quindi di autogestione degli autentici “produttori”. Il movimento guidato da Cornelius Petersen, costituitosi in partito nel 1926 e quindi clamorosamente sconfitto nelle elezioni di quello stesso anno, trasmise comunque molte delle sue idee ad una nuova organizzazione, che nacque nel 1928, al culmine della “guerra agraria”: il “Movimento Unitario” (“Samlingsbevaegelse”) raccoglieva però agricoltori sia danesi che tedeschi e si batteva per la costituzione di uno speciale consiglio economico che si occupasse dei problemi dello Schleswig del Nord. L’orizzonte meno settario della nuova organizzazione spinse tra gli altri anche il pastore Schmidt-Wodder a tentare un approccio politico, senza però risultati di rilevo. La “Grande depressione” del 1929 allargò ulteriormente il fenomeno della protesta agraria nello Schleswig del Nord come nel resto della Danimarca: nel 1930, nella città di Randers, nello Jutland settentrionale, nacque un nuovo movimento agrario,l’“Associazione degli Agricoltori” (“Landbrugemes Sammenslutning”). L’impulso, stavolta proveniente da Nord, si estese in misura ancora maggiore anche a Sud, con una serie di agitazioni volte ad ottenere l’abbassamento dei prezzi delle proprietà terriere in vendita e la fine delle aste degli appezzamenti. La nuova organizzazione, che arrivò a contare nella regione di frontiera circa 1/10 del totale dei suoi membri nel 1932, si caratterizzava tuttavia anche per un diffuso sentimento di antisemitismo; ciò la portò nel 1940 a rapporti quasi di simbiosi con il Partito Nazista Danese (D.N.S.A.P.) di Frits Clausen.

Gli anni del nazismo (1933-1945)

All’indomani della conquista del potere nel 1933, Adolf Hitler mantenne il riserbo più assoluto circa i suoi progetti sulla minoranza tedesca dello Schleswig del Nord: egli non sollevò alcuna rivendicazione territoriale e invitò addirittura alla calma i nazisti su entrambi i lati della frontiera tedesco-danese, specie quelli dello Schleswig-Holstein, che ormai premevano affinché l’intera regione entrasse nel programma della “Grande Germania”. La nuova parola d’ordine divenne così: “rivogliamo indietro lo Schleswig del Nord” (“Wir wollen Nordschleswig wieder haben”); il suo più naturale amplificatore fu nella regione il “Schleswig-Holsteiner Bund” ora guidato dal nazionalsocialista Wilhelm Sievers, e fermamente deciso a premere per un trattato bilaterale di revisione della frontiera tra Germania e Danimarca. La nuova attività propagandistica del gruppo etnico tedesco, attivamente sostenuta dai nazisti a Sud della frontiera, preoccupò seriamente la Danimarca nell’aprile 1933; di conseguenza Berlino, che teneva a mantenere rapporti discreti con Copenaghen, intervenne per raffreddare gli animi nello Schleswig-Holstein. Gli effetti della “tempesta di Pasqua” organizzata dai nazisti di Kiel non tardarono tuttavia a ripercuotersi a Nord della frontiera: proprio nell’aprile 1933, da una prima “Arbeitsgemeinschaft” nacque un’organizzazione apertamente nazionalsocialista, la “Nationalsozialistische Arbeitsgemeinschaft Nordschleswig”, che attraverso varie e travagliate vicende si costituì nel 1935 in partito, il “National-Sozialistische Deutsche Arbeiter-Partei Nordschleswigs”, sotto la guida del veterinario Jens Möller. Lo stesso pastore Schmidt-Wodder, inizialmente oppositore del nazismo, finì addirittura con l’accettare la partecipazione personale al “Deutsche Front”, che si caratterizzò come un Direttorio nazionalsocialista regionale. L’irrequietezza dei nazionalsocialisti cominciò a configurarsi come una tra le cause principali del deteriorarsi dei rapporti etnici nello Schleswig del Nord: l’“affare Stollig” del 1936, che vide come protagonisti alcuni membri del partito di Jens Möller, accusati di avere avvelenato i pozzi di una fattoria danese nei pressi di Aabenraa, provocò come conseguenza indiretta una diminuzione dei fondi stanziati dalla “Deutsche Stiftung” per l’attività della minoranza tedesca. Ciò nonostante, l’attività di questa sul “fronte interno” si intensificò ulteriormente con la creazione, nel 1938, di un “Ufficio per l’informazione e la propaganda” (“Amt für Aufklärung und Propaganda”), guidato da Rudolf Stehr, che in breve tempo estese il suo controllo sul “Nordschleswigsche Zeitung”. Contemporaneamente, il Partito nazionalsocialista regionale elaborò un programma dettagliato: la minoranza avrebbe dovuto ottenere assoluta autonomia nelle questioni scolastiche, essere ricompensata per i danni subiti durante la “guerra” agraria, mediante l’ereditarietà delle terre, e l’intera regione avrebbe dovuto essere riunita al mercato economico tedesco. Quest’opera così articolata finì per avere successo: la popolazione di lingua e sentimento tedeschi dello Schleswig del Nord, posta di fronte alla drammatica scelta tra l’accettazione del nazismo e la perdita definitiva della propria identità nazionale, non potè che scegliere il male che le appariva minore; purtuttavia, con grande delusione di questa, ancora dopo lo scoppio della crisi dei Sudeti, nel settembre 1938, Hitler non fece menzione della questione dello Schleswig. Come a confermare la moderazione politica di Berlino, le elezioni per il Folketing dell’aprile 1939 registrarono solo un modestissimo progresso per lo“Slesvigsk Parti” (dal 15,6% al 15,9%); l’unica novità di rilievo fu l’uscita di scena del pastore Schmidt-Wodder, sostituito in qualità di unico rappresentante parlamentare del gruppo etnico tedesco da Jens Möller. Il primo discorso parlamentare di quest’ultimo, profondamente influenzato dalle direttive di Berlino, fu tuttavia così cauto dall’auspicare addirittura un trattato di non aggressione tra Germania e Danimarca; ciò che equivaleva in pratica ad un riconoscimento definitivo della frontiera del 1920. La preoccupazione del gruppo etnico tedesco fu vivissima, ma in realtà essa non aveva motivo d’essere, come del resto i precedenti entusiasmi: Hitler, come risulta da alcuni documenti dell’ambasciata tedesca a Copenaghen, non pensava ad un’annessione dello Schleswig del Nord. Ciò in primo luogo per l’esiguità del gruppo etnico tedesco rispetto alla popolazione totale della regione, e quindi perché un’eventuale minoranza danese di una certa consistenza nel territorio del III Reich non era desiderabile. Hitler pensava piuttosto ad un più vago progetto di federazione tra Europa orientale e settentrionale, che includesse l’intera Scandinavia. La Germania desiderava perciò la “non attualizzazione” della questione dello Schleswig, e così Jens Möller dovette rassegnarsi addirittura al giuramento di fedeltà allo Stato danese e a curare solo gli interessi socio-culturali dei suoi rappresentati. Che egli non fosse affatto entusiasta dell’orientamento politico di Berlino, lo dimostra il netto rifiuto della possibilità – peraltro lontana – di un trasferimento in Germania del gruppo etnico tedesco, adombrata dal Ministro degli Esteri germanico Joachim von Ribbentrop. In realtà, la questione dello Schleswig non rappresentava per Berlino che un minuscolo dettaglio in confronto ad altri e ben più complessi scenari: la stessa piccola minoranza danese dello Schleswig meridionale sperimentò solo in parte le pressioni di Berlino, ogni offensiva provenendo essenzialmente dai circoli nazisti locali. Lo Schleswig meridionale faceva del resto parte dello Schleswig-Holstein, provincia in cui il Partito nazionalsocialista aveva una delle sue roccaforti (240.000 voti nel 1930). Il gruppo etnico danese, composto in prevalenza da lavoratori di ceto basso e solo in minima parte da borghesi (soprattutto a Flensburg) e da proprietari terrieri, dovette subire da Kiel la censura del proprio quotidiano, il “Flensborg Avis”, nel 1937: due anni più tardi le organizzazioni danesi della regione decisero di costituire un consiglio comune, ma ormai l’offensiva del regime aveva già colpito le scuole private, facendone diminuire il numero degli allievi, e si stava apprestando ad accertare i sentimenti nazionali della minoranza, tramite un censimento. I risultati di questo non furono mai pubblicati, a causa della guerra, che scoppiò pochi mesi dopo. Il 9 aprile 1940 la Danimarca fu invasa dalla 170a divisione della “Wehrmacht”: la popolazione di lingua e sentimento tedeschi dello Schleswig del Nord accolse con gioia le truppe d’occupazione, ritenendo ormai prossimo il ritorno alla Germania. Ancora una volta, però, gli entusiasmi furono raffreddati da Berlino, che anzi intensificò la cooperazione con Copenaghen: quest’ultima finì addirittura per aderire, nel 1941, al Patto Anti-Comintern. Il governo tedesco si limitò a raccomandare nuovamente ai “Volksdeutsche” dello Schleswig del Nord la cura delle questioni interne, specie lo “strappo” verificatosi con il partito di Frits Clausen; questi ultimi erano infatti nettamente contrari ad ogni revisione della frontiera. Sul piano regionale, grande importanza aveva rivestito la riforma del sistema scolastico del 1939: la minoranza tedesca poteva ora contare su trenta sezioni comunali nella propria lingua su ben sessanta istituti privati; altri dieci furono costituiti nel biennio 1941-1942 grazie ai proventi ottenuti per via della favorevole congiuntura economica. In questo settore molta importanza avevano avuto due nuove organizzazioni come la “Deutsche Selbsthilfe” e i “Deutsche Berufsgruppen Nordschleswig”: questi ultimi, raggruppando insieme imprenditori e lavoratori tedeschi, riuscirono a creare posti di lavoro sia a Sud della frontiera, sia addirittura nello Jutland settentrionale. Chi otteneva lavoro attraverso di loro doveva poi mandare i propri figli a studiare in una scuola tedesca. Non stupisce, di conseguenza, come l’associazione culturale della minoranza, il “Bund für deutsche Kultur”, sia potuta arrivare a contare ben 14.000 membri nel 1941. Sul piano politico, i problemi tradizionali dello Schleswig proseguirono immutati, con l’aggravante dell’animosità sempre più incontrollabile dei nazisti più estremi, specie quelli legati all’organizzazione paramilitare “Schleswigsche Kameradschaft”.

Occorre inoltre accennare al problema dei reclutamenti delle S.S. tra la popolazione tedesca della regione, in prospettiva della guerra contro l’Unione Sovietica. Le dimensioni sempre più preoccupanti di questo fenomeno indussero l’“ala destra” del Partito nazionalsocialista dello Schleswig del Nord, cui appartenevano Jens Möller e Rudolf Stehr, ad un ripensamento: l’arruolamento definitivo nelle S.S. comportava tra l’altro l’acquisto automatico della cittadinanza tedesca, e ciò significava in prospettiva il serio rischio dell’estinzione del gruppo etnico. Fu pertanto proprio Jens Möller, ufficialmente favorevole agli arruolamenti, ad adoperarsi in particolar modo per evitare a molti giovani questa sorte, autorizzando numerose esenzioni; ciò nondimeno, ben 900 reclute furono inviate al fronte orientale. A queste cifre vanno poi aggiunti i circa 1.700 volontari dello “Zeitfreiwilligensdienst”, il nuovo corpo creato nel 1943 allo scopo di coprire e sostenere le operazioni militari tedesche nello Schleswig del Nord. Nel periodo 1940-1943 la stessa struttura del Partito nazista regionale aveva subito significative modificazioni: il consiglio del Partito, organo ormai ingombrante, fu rimpiazzato da tre emanazioni più ridotte: un consiglio economico, uno culturale e uno politico. Inoltre, allo scopo di sostenere meglio le attività della minoranza, furono creati un ufficio per il gruppo etnico (‘’Volksgruppenamt’’) e un ufficio del tesoro (“Schatzamt”); quest’ultimo controllava annualmente i bilanci di tutte le organizzazioni tedesche della regione. Più tardi fu creato anche un ufficio scolastico con il compito di coordinare l’amministrazione degli istituti privati e di corrispondere il salario agli insegnanti. Le sezioni tedesche delle scuole comunali rimasero comunque sotto l’amministrazione danese. Un altro passo significativo fu la fusione, nel novembre 1940, tra l’ufficio regionale per la politica agraria, guidato da Rudolf Stehr, e il “Landwirtschaftlicher Hauptverein”, principale organizzazione degli agricoltori tedeschi dello Schleswig del Nord: il prodotto di questa fusione fu la nascita della “Comunità agraria dello Schleswig del Nord” (“Landesbauernschaft Nordschleswig”) che, mantenendo intatte le sue due componenti, si occupava della fornitura di beni agricoli. Nel 1941, poi, i Tedeschi costituirono un ufficio per l’economia nazionale (“Amt für Volkswirtschaft”) che, sotto la guida di Jens Möller, iniziò a coordinare politica agricola e industriale. L’opera di indottrinamento e controllo politico della minoranza tedesca proseguì con l’instaurazione di una stretta sorveglianza sull’operato dell’istituto Vogelgesang: ciò doveva preludere ad un’estensione del controllo politico anche sulle banche private della regione, le quali riuscirono tuttavia a mantenere la loro indipendenza. Esse tentarono addirittura di strappare il quotidiano “Nordschleswigsche Zeitung” all’influenza dei nazionalsocialisti, ma questa mossa sortì risultali del tutto opposti alle intenzioni. Le prime gravi sconfitte della “Wehrmacht” sul fronte orientale nel 1941-1942 fecero sì che la minoranza tedesca, specie nei settori velatamente antinazisti (il cosiddetto “circolo di Haderslev” o “Hadersiebener Kreise”), ricominciasse a pensare ad un eventuale statuto d’autonomia all’interno della Danimarca, anziché ad una revisione della frontiera. In un programma del 1942 si prevedeva l’invio di un rappresentante stabile del gruppo etnico presso il Governo danese: un ufficio permanente fu di fatto costituito a Copenaghen nel 1943, ma sotto la guida di Rudolf Stehr. Contemporaneamente, un ufficio ecclesiastico (“Kirchenamt‘) rilevò l’autorità e le funzioni delle due diocesi di Ribe ed Haderslev; molti religiosi rifiutarono tuttavia di sottoporvisi.

Le elezioni generali del marzo 1943 registrarono in Danimarca un notevole passo in avanti dei partiti democratici; nel frattempo, aumentava l’intensità delle azioni di sabotaggio, degli scioperi e delle azioni armate delle prime formazioni della resistenza antinazista. Ciò provocò un netto peggioramento delle relazioni tra Germania e Danimarca, fino ad arrivare, nell’agosto del 1943, alla dichiarazione dello stato d’assedio e allo stabilimento della legge marziale su tutto il territorio danese. I  nuovi, drammatici sviluppi fecero uscire allo scoperto i settori antinazisti della minoranza tedesca, primo tra i quali quello di Haderslev: questo, nel settembre 1943, dichiarò in segreto la propria “assoluta lealtà” alla Danimarca, riconoscendo implicitamente la frontiera del 1920 come definitiva. La situazione nello Schleswig, specie a Nord, divenne assai difficile: alle azioni anti-sabotaggio dello “ZeitfreiwiUigensdienst” si aggiunse l’opera di più diretta repressione del “Selbstschutz”, appositamente creato nel 1944 e ben presto inviso alla popolazione. Nel frattempo, il numero degli arruolati, nelle S.S. e ora, in seguito alla legge marziale, anche nella Wehrmacht, arrivò nel gruppo etnico tedesco alle 2162 unità. Dal settembre 1944, con lo scioglimento della polizia di Stato danese, l’oppressione tedesca si fece ancora più dura: le ali più estreme del nazismo, complice la consapevolezza del prossimo crollo, presero il sopravvento. Le forze politiche democratiche, per poco ancora costrette alla clandestinità, erano coscienti dei rischi di rappresaglia che la minoranza tedesca dello Schleswig del Nord avrebbe corso, una volta conclusa la guerra, in assenza di forze di pubblica sicurezza. Il problema fu parzialmente risolto alla capitolazione delle forze armate tedesche, il 4 maggio 1945, e alla conseguente fine improvvisa dell’occupazione della Danimarca: le forze della resistenza, per le quali lo Schleswig del Nord aveva costituito la 3a regione di operazioni, furono chiamate a svolgere il compito di mantenimento dell’ordine pubblico, finché la polizia danese non fosse stata ricostituita ed organizzata.

 

Dal conflitto alla coesistenza nazionale (1945-1955)

La fine dell’occupazione tedesca aveva lasciato in Danimarca profonde ferite: tra deportati e imprigionati si era arrivati infatti alle 14.000 unità, sebbene il 95% degli Ebrei si fosse potuto salvare per mezzo dell’emigrazione nella neutrale Svezia. Non deve perciò stupire la reazione che portò già nell’estate del 1945 all’arresto di circa 3.500 Tedeschi appartenenti alla minoranza dello Schleswig del Nord, tra cui Jens Möller e Rudolf Stehr; ben 2.598 di queste persone furono in seguito condannate per attività direttamente o indirettamente naziste: in percentuale, si trattò del 25% della popolazione tedesca di sesso maschile. La “resa dei conti giudiziaria” (“Rechlsabbrechnung”) fu in seguito temperata da revisioni ed ampie amnistie, ma alcune conseguenze di essa, come la perdita del diritto di voto e del libero esercizio della professione, permasero ininterrottamente fino al 1955. L’unico diritto che la minoranza tedesca conservò fu quello alle scuole private: anche questo, tuttavia, fu limitato nel 1946 da una legge che precluse la possibilità di usufruire di esami di Stato. Contrario alla idea di scuole comunali tedesche vere e proprie, il governo danese mantenne comunque le sezioni speciali; esso decise però di colpire ulteriormente l’insegnamento privato stabilendo il principio della compensazione dei danni di guerra da parte della minoranza, mediante la cessione o la messa all’asta di edifici che ospitavano istituti d’istruzione privati. La “resa dei conti” colpì, sotto il profilo delle condanne giudiziarie, specialmente i funzionari amministrativi, oltre che gli insegnanti, gli ecclesiastici, gli operatori dei mezzi di comunicazione (radio e giornali), gli artisti, i responsabili delle organizzazioni partitiche e non, e gli industriali. Molti degli arrestati furono quindi concentrati nel campo di Faarhus, presso Flensburg, che era già stato usato dalle S.S. Alla fine del maggio 1945 il Folketing approvò una “legge penale aggiuntiva” con tutti i carismi di un provvedimento eccezionale: la pena detentiva minore fu fissata a quattro anni e fu introdotta la censura, che colpi subito il “Nord- schleswigsche Zeitung”. Quest’ultimo dovette peraltro sospendere le pubblicazioni dopo appena tre mesi, a causa di un attentato che ne fece saltare in aria la tipografia nella città di Aabenraa. L’atmosfera era talmente tesa che alcuni settori politici legati alla destra e ai nazionalisti danesi proposero addirittura l’espulsione dell’intero gruppo etnico tedesco, reo di avere “abusato” dei diritti ottenuti con la legislazione speciale del 1920. A questo punto, i circoli democratici della minoranza, specie l’“Haderslebener Kreise” e alcune personalità di rilievo del periodo prebellico, quali il direttore del “Nordschlcswigsche Zeitung”, Ernst Siegfried Hansen, e l’ormai anziano pastore Schmidt-Wodder, resero noto nell’ottobre 1945 un documento intitolato “Das deutsche Bekenntnis“: questo si configurava come una solenne dichiarazione ideologico- programmatica, in base alla quale i Tedeschi dello Schleswig del Nord, “figli di una povera madre’’ (la Germania), si impegnavano a far rivivere gli antichi valori nazionali. Fondamento di tutto ciò dovevano essere il rispetto dei principi del Cristianesimo e la lealtà assoluta al Regno di Danimarca. Il documento proseguiva affermando l’uguaglianza dei diritti dei due gruppi etnici a Nord e a Sud della frontiera, da tutelarsi attraverso uno statuto bilaterale che sia Germania, sia Danimarca avrebbero dovuto firmare. Il presupposto necessario di questo obiettivo doveva essere quindi la costituzione di una commissione mista che curasse la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. Nel frattempo la minoranza si costituiva in un’“Unione tedesca” (“Deutsche Vereinigung”), allo scopo di coordinare l’azione comune, e il prodotto ultimo fu una nuova organizzazione, che nacque nel novembre del 1945: la “Lega dei Tedeschi dello Schleswig del Nord”, o “Bund deutscher Nordschleswiger’’. Il governo danese diffidava del programma di “rinascita nazionale”, della minoranza tedesca; quest’ultima, dal canto suo, sottolineò non solo la propria lealtà a Copenaghen, ma anche il desiderio di arrivare al più presto ad un’amnistia per i propri detenuti politici. Nell’immediato essa potè comunque ottenere soltanto un nuovo quotidiano: il 2 febbraio 1946 “Der Nordschleswiger” prese l’eredità del “Nord- schleswigsche Zeitung”. La situazione generale nello Schleswig del Nord si avviò in tal modo, sia pur lentamente, verso la distensione: già dal gennaio del 1946 si stava infatti lavorando ad un primo progetto di revisione della “legge penale aggiuntiva”, mantenendo tuttavia l’efficacia retroattiva del provvedimento al 9 aprile 1940, data dell’invasione tedesca. Nel marzo 1946, in occasione delle elezioni comunali, il “Bund deutscher Nordschleswiger” presentò una lista che ottenne nella regione circa 5.000 voti, un ottimo risultato, considerando l’alto numero degli imprigionati. A questo punto, l’obiettivo divennero le elezioni per il Folketing del settembre 1947, ma per presentarvisi occorreva costituire un partito vero e proprio; ciò che comportava la preventiva raccolta di diecimila firme e, di conseguenza, il ripresentarsi del problema dei prigionieri politici come pressoché insolubile. L’ostacolo fu aggirato tramite l’indicazione di un candidato “al di fuori dei partiti”, il quale, se eletto, avrebbe dovuto battersi anzitutto per la normalizzazione giudiziaria e l’abolizione della legge eccezionale del maggio 1945. Altri obiettivi “a lungo termine” venivano indicati nella libertà di lavoro e di iniziativa economica come presupposto dell’uguaglianza tra Tedeschi e Danesi, nella libertà culturale da perseguirsi su entrambi i lati della frontiera e nello stabilimento di normali relazioni economiche tra Germania e Danimarca. Il candidato indicato non fu eletto, ma qualche risultato fu comunque raggiunto: la ricostituita polizia danese perse parte delle sue attribuzioni politiche eccezionali, per smetterle del tutto; vi fu una certa liberalizzazione economica, ma la prima amnistia di un certo rilievo fu accordata solo nel 1950, con il rilascio di circa 2.000 appartenenti al gruppo etnico tedesco. Mentre la minoranza tedesca otteneva a Nord della frontiera una prima, faticosa legittimazione, a Sud la minoranza danese si organizzava a sua volta per conquistarsi uno spazio politico. Nello Schleswig meridionale le conseguenze della guerra erano state ancor più gravi che a settentrione, causa il crollo totale della Germania di Hitler prima, l’occupazione militare britannica e il flusso di profughi da Est (circa un milione!) dopo. In un quadro così drammatico, la minoranza danese era comunque riuscita  a formare una propria associazione politica, la “Unione dello Schleswig del Sud”, o “Sydslesvigsk Forening”: questa arrivò a contare ben 74.000 membri nel 1948, dopo aver raccolto un anno prima, alle elezioni per il Landtag di Kiel, ben 99.500 voti, pari al 55% dei suffragi. Ciò dimostrava che i maggiori successi erano stati mietuti tra coloro i quali non appartenevano strettamente al gruppo etnico, e che dunque l’“Unione” si era fatta portavoce di istanze generali. Un simile risultato spinse sia il gruppo etnico danese, sia lo stesso governo di Copenaghen a chiedere all’amministrazione militare inglese la separazione dello Schleswig meridionale dallo Holstein: la mossa si rivelò tuttavia sbagliata ed in ogni caso intempestiva, dato che ora le Potenze occidentali avevano interesse a costituire e difendere una nuova e compatta Germania democratica da opporre alla pressione sovietica da Est. Pertanto, la strada che gli Alleati suggerirono fu invece quella di un negoziato tra la Danimarca e il singolo Land di Schleswig-Holstein per arrivare ad una definitiva risoluzione del problema. Furono questi i presupposti internazionali delle “dichiarazioni” di Kiel e Copenaghen dell’autunno 1949, basi della futura coesistenza tra gruppi etnici nello Schleswig. Il 26 settembre 1949 il governo del Land dello Schleswig-Holstein accordò alla minoranza danese una assoluta libertà nazionale, intesa in senso culturale, ecclesiastico e linguistico: il danese poteva essere usato di fronte al giudice e il gruppo etnico poteva usufruire delle stesse fonti di diffusione delle informazioni del resto della popolazione; una commissione mista si sarebbe dovuta formare per la risoluzione di ogni problema di ordine pratico. Esattamente un mese dopo la “dichiarazione di Kiel”, il 27 ottobre 1949, il governo danese emanò il cosiddetto “protocollo (o dichiarazione) di Copenaghen”, che accordava alla minoranza tedesca dello Schleswig del Nord le stesse garanzie concesse a Sud dal Land di Schleswig-Holstein. Queste furono rivolte al “Bund deutscher Nordschleswiger” quale unico legittimo rappresentante del gruppo etnico tedesco. Come risultato immediato della “dichiarazione di Copenaghen”, oltre alla già ricordata amnistia pressoché generale, occorre ricordare la cosiddetta “legge di risocializzazione’’, che cancellò trenta dei provvedimenti eccezionali del maggio 1945. Molti degli insegnanti tedeschi epurati poterono quindi riprendere la professione; altri dovettero emigrare nel vicino Land dello Schleswig- Holstein. Ciò si verificava nel 1950. Tra il 1949 e il 1955 si compì il processo di riabilitazione della Germania sconfitta, trasformata nella sua parte occidentale in Repubblica Federale e ben presto quindi in baluardo avanzato della N.A.T.O. e colonna portante della prima comunità europea, la C.E.C.A. Questa evoluzione contribuì a determinare conseguenze favorevoli per il gruppo etnico tedesco dello Schleswig del Nord, che nel 1953 riuscì ad inviare il suo primo deputato al Folketing dopo il 1945; il risultato era stato ottenuto soprattutto grazie al ritorno a casa della maggior parte degli internati, ma il candidato Hans Schmidt-Oxbüll guadagnò il suo seggio anche per effetto dell’introduzione della nuova Carta costituzionale danese: questa abolì il Landsting ed aumentò il numero dei seggi del Folketing da 151 a 179, con 7 nuovi deputati da scegliersi espressamente nello Schleswig del Nord. Hans Schmidt- Oxbüll rimase in carica fino al 1966. A Sud della frontiera, invece, la barriera elettorale del 5% per accedere al Landtag di Kiel rese assai difficili le relazioni tra Danimarca e Germania fino al 1954: in seguito alle elezioni di quell’anno, poi, la lista danese “Südschleswiger Verein” non era riuscita ad eleggere un solo rappresentante, pur avendo conseguito 42.000 voti. A ciò si aggiunse la richiesta del governo regionale, guidato dal cristiano-democratico Friedrich Lübke, di una dichiarazione di lealtà della minoranza al governo federale. Una politica così poco lungimirante, nettamente in contrasto con lo spirito delle dichiarazioni di Kiel e Copenaghen del 1949, fu criticata dallo stesso gruppo etnico tedesco a Nord della frontiera. L’atmosfera politica non cambiò di molto nemmeno con la successione alla guida del governo cristianodemocratico di Kiel del più moderato Kai-Uwe von Hassel; per arrivare ad una soluzione finalmente equa del problema dello Schleswig si dovette aspettare la riunione dei ministri degli Esteri della N.A.T.O. dell’ottobre 1954. In quella occasione fu addirittura il Cancelliere federale Konrad Adenauer, ben conscio del reale peso della questione, a muovere i primi passi diplomatici. I primi veri negoziati, stavolta finalmente sul piano dei governi centrali, si aprirono nel gennaio del 1955 e portarono ad una prima conclusione importante: Bonn accettò la strada di due dichiarazioni unilaterali sullo status delle reciproche minoranze, di fronte al no danese sia ad un trattato bilaterale, sia a maggior ragione ad una revisione della frontiera (già peraltro accettata come definitiva dal “Bund deutscher Nordschleswiger” nel 1945). Tra il febbraio e il marzo del 1955 si arrivò infine al testo delle due dichiarazioni, che risultò praticamente speculare, a parte due distinti preamboli riguardanti i governi centrali: Bonn si impegnava a far valere la legge elettorale federale a favore delle minoranze nazionali; ciò che equivaleva in pratica all’abolizione per il Land di Schleswig- Holstein della clausola del 5 %. Copenaghen si impegnava dal canto suo ad abolire la legge scolastica del 12 luglio 1946 (che a sua volta aveva abolito la riforma del 1939), riconoscendo alle scuole private tedesche l’esame di Stato, a parità di condizioni con l’analogo impegno di Bonn. Le due dichiarazioni, in sintonia con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (art. 14, obbligo alla non discriminazione delle minoranze nazionali), garantirono l’intangibilità di tutti i diritti fondamentali: libertà personale, uguaglianza di fronte alla legge, libertà di pensiero, coscienza ed opinione, oltre che della loro manifestazione; libertà di stampa, riunione ed associazione; inviolabilità del domicilio; libertà di fondazione di partiti politici; libero accesso, senza alcuna restrizione o discriminazione ai pubblici impieghi; diritto al voto libero e segreto per tutte le istanze rappresentative; diritto all’identico trattamento per tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione basata su nascita, lingua, origine od opinione. Il riconoscimento della cultura e dell’identità nazionale delle minoranze fu pieno, senza alcuna possibilità di discriminazione, come pure dell’uso delle rispettive lingue, parlate e scritte, da parte dei singoli, come delle organizzazioni. L’uso di esse di fronte al giudice fu ammesso sulla base delle leggi esistenti. I membri delle minoranze non dovevano essere discriminati a favore del resto dei cittadini rispetto alla disponibilità di sussidi o a prestazioni di servizi; i loro interessi religiosi e culturali, come i loro contatti con i Paesi d’origine furono riconosciuti. Quanto al campo scolastico, alle due minoranze furono garantite scuole inferiori e superiori, anche con indirizzo professionale, come pure asili d’infanzia. L’uso della radio fu parimenti garantito ad entrambe e, in quanto ai giornali, in caso di comunicazioni pubbliche essi dovevano essere convenientemente informati. I rappresentanti delle due minoranze dovevano infine, proporzionalmente alle forze numeriche del loro gruppo, fare parte delle commissioni comunali occupantisi di questioni elettorali. Onde mantenere infine i contatti necessari tra i governi centrali da una parte e le rispettive minoranze dall’altra si pensò a due commissioni consultive, o “di contatto”, che però furono costituite soltanto nel 1965: esse sono presiedute dai Ministri degli Esteri dei due Paesi, Germania federale e Danimarca, e le compongono parlamentari, rappresentanti governativi e dei due gruppi etnici. Le due dichiarazioni unilaterali, sottoscritte a Bonn dal Cancelliere Adenauer e dal Primo Ministro e Ministro degli Esteri danese Hans Christian Hansen il 29 marzo 1955, rappresentarono la fine della questione dello Schleswig come problema di contrasto nazionale. Veniva così inaugurato il nuovo corso di coesistenza e di collaborazione, sia pure indiretta, tra Repubblica Federale Tedesca e Danimarca al fine di assicurare la soluzione di ogni singolo problema riguardante l’equilibrio etnico. Anche la coesistenza, dunque, determinò il porsi di nuove questioni, la cui risoluzione fu resa ancor più urgente dall’impegno preso nel 1955. È appunto di questi nuovi (e vecchi) problemi, che hanno caratterizzato il corso delle vicende nella “regione di frontiera” dello Schleswig per trent’anni dalle dichiarazioni di Bonn e Copenaghen, che ora vogliamo brevemente occuparci.

La questione etnica nello Schleswig di oggi

A poco più di trent’anni dalla firma delle dichiarazioni di Bonn e Copenaghen e nonostante il fatto che la lettera di queste non sia stata ancora del tutto applicata, il bilancio della convivenza tra le minoranze etniche residenti nello Schleswig e la maggioranza della popolazione può dirsi nel complesso soddisfacente. Nello Schleswig settentrionale, a partire dal 1955, il gruppo etnico tedesco cominciò a battersi per l’effettiva normalizzazione dei rapporti politicosociali nella regione: i due problemi maggiori si configuravano per la minoranza nella disoccupazione e nella desiderata riabilitazione dei volontari dell’ultima guerra. Portare avanti queste istanze fu molto difficile, data la presenza nel sistema elettorale danese di una clausola di sbarramento, che convinse lo “Slevigsk Parti” a non presentarsi al voto dal 1966 al 1973. Gli interessi della minoranza furono pertanto curati nel frattempo dalla “commissione di contatto” istituita sulla base della dichiarazione di Copenaghen: essa era formata da due membri del Folketing e da esponenti del gruppo etnico. Nel 1973, infine, grazie anche all’entrata della Danimarca nella C.E.E., ma soprattutto mercé un accordo tra il “Bund deutscher Nordschleswiger” e i cristiani-democratici danesi, la minoranza tedesca ottenne di nuovo un seggio parlamentare. Esso fu occupato dal redattore capo del quotidiano “Der Nordschleswiger”, Jes Schmidt, che lo mantenne fino al 1979. In quell’anno, tuttavia, lo “Schlesvigsk Parti” non ottenne il quorum, e così si decise a Copenaghen di istituire, presso il Capo del governo, un Segretariato permanente per la minoranza tedesca, che è divenuto operativo nel 1983. A Sud della frontiera, gli anni ’50 e ’60 videro invece il sensibile e inarrestabile calo dei consensi del “Südschleswiger Wählverband”, lista rappresentativa della minoranza danese. D’altra parte i grandi successi elettorali della fine degli anni ’40 erano stati causati dalla particolarissima situazione verificatasi nello Schleswig meridionale. Svanito dunque il sogno del Bundestag, la minoranza ha dovuto accontentarsi del Landtag di Kiel, ove ha potuto inviare un rappresentante nel 1983, avendo ottenuto il 5,5% dei suffragi. Al pari del gruppo etnico tedesco a Nord, essa ha potuto contare inoltre su una “commissione di contatto”, con sede a Bonn, dal 1965. Per quanto concerne l’assetto organizzativo delle due minoranze etniche, esso è alquanto articolato. Dalle due fondamentali organizzazioni “Bund deutscher Nordschleswiger” e “Sydslesvigsk Forening” (“Unione dello Schleswig del Sud”), che fanno riferimento a due gruppi etnici rispettivamente di 15.000 e 45.000 persone circa, emana una serie di associazioni e servizi privati dalle maglie strettissime: lo scopo fondamentale di questi due sistemi è ovviamente la migliore garanzia possibile del benessere delle due minoranze. A Nord, il “Bund deutscher Nordschleswiger”, che collabora strettamente con il governo danese e mantiene nel contempo i contatti con la Repubblica federale tedesca, è il vertice di un sistema che comprende un’associazione scolastico-linguistica, una per la stampa, una giovanile e una per le biblioteche; ad esse occorre aggiungere due enti fondamentali come il “Servizio di assistenza sociale per lo Schleswig del Nord” (“Sozialdienst Nordschleswig”) e la “Mutua assistenza tedesca per lo Schleswig del Nord” (“Deutsche Selbsthilfe Nordschleswig”). Il sistema dell’istruzione privata tedesca comprende oggi nello Schleswig del Nord 18 istituti, tra cui il ginnasio di Aabenraa, cui vanno aggiunti 25 asili d’infanzia, per un totale complessivo di circa 2.000 allievi. La fondamentale funzione di mantenimento del patrimonio linguistico- culturale, in stretto contatto con le scuole private, è svolta inoltre dalle già ricordate biblioteche: ve ne sono quattro centrali ad Aabenraa, Haderslev, Tönder e Sönderborg, più sedici nei centri minori. Vanno infine ricordate le undici parrocchie regionali, che contribuiscono a mantenere viva la lingua tedesca e a coordinare delle attività sociali che fungono da collante per il gruppo etnico; riguardo a ciò occorre soggiungere che lo “Slesvigsk Parti” continua ad essere l’espressione elettorale della minoranza nei comuni e nelle province. I caratteri organizzativi della minoranza danese dello Schleswig del Sud sono, se possibile, ancora più marcati che nel Nord: ciò sia a causa delle dimensioni più ridotte del gruppo etnico, sia soprattutto per via della assai meno marcata forza di penetrazione culturale che ha il danese rispetto al tedesco nella regione di frontiera. A questo riguardo bisogna sottolineare il ruolo dei mass-media, con la possibilità di ricevere sia a Nord che a Sud della frontiera i programmi della radio e i tre canali della televisione tedesca, contro l’unica stazione danese; in più occorre considerare il peso dello sviluppo economico, con la forte industrializzazione dello Schleswig-Holstein e la forza di attrazione del polo di Amburgo, destinata per forza di cose ad aumentare. Non c’è dunque da meravigliarsi se la minoranza danese ha dato vita in trent’anni ad un sistema d’istruzione privata comprendente ben 53 istituti, incluso il ginnasio di Flensburg, e 63 asili d’infanzia, per un totale di più di 7.200 allievi; la Chiesa danese regionale conta su 43 comunità organizzate e le associazioni giovanili sono inoltre ben 63. Esiste quindi una biblioteca centrale regionale (“Dansk Centralbibliotek for Sydslesvig”), cui è collegata una collezione di libri di storia locale e una sezione di studio in collegamento con questa. Da non dimenticare è infine un sistema d’istruzione per la terza età, in forma di Università itinerante. Quanto ai rapporti delle minoranze con i governi degli Stati che le ospitano, vi è da dire che, proprio in occasione del trentennale delle dichiarazioni di Bonn e Copenaghen, il quotidiano del gruppo etnico danese “Flensborg Avis” ha lamentato una mancanza di contatti effettivi tra la “commissione di contatto” di Bonn e il Ministero degli Esteri federale; ciò che è invece soddisfacentemente garantito alla minoranza tedesca a Nord della frontiera. Quest’ultima, dal canto suo, considera tuttora irrisolto il problema dei diritti finanziari per le biblioteche di cui essa fruisce nello Schleswig del Nord; esistono tuttavia anche delle altre questioni, come quella dell’attività culturale in generale e l’uguaglianza dei diritti per tutti gli asili d’infanzia nei comuni regionali, come pure il pieno riconoscimento dei circoli ricreativi e delle associazioni giovanili e ricreative del gruppo etnico. Appare chiaro che le ultime questioni che abbiamo preso in considerazione come motivi non già di malcontento etnico, bensì di moderata insoddisfazione rispetto ad una rigorosa applicazione della lettera delle dichiarazioni del 1955, non rappresentano certo problemi gravi. Al contrario, la questione dello Schleswig, confrontata con drammatiche vicende di contrasto etnico in altre parti d’Europa e del mondo, può considerarsi come un caso del tutto singolare, e perciò tanto più prezioso, di lieto fine. Molto ha contato, è vero, la perifericità storica dello Schleswig rispetto alle grandi vicende europee, ma sarebbe un grave errore e un’ingiustizia limitarsi a dare questa spiegazione. In realtà la motivazione principale del successo con cui si è risolta la questione dello Schleswig va ascritta all’attività inesausta di promozione culturale condotta da entrambe le minoranze, alla loro perfetta capacità organizzativa: la rete fittissima di organizzazioni e servizi sociali viene incontro alla tradizione cooperativistica nordica e, nello stesso tempo, accompagna ogni singolo appartenente ai due gruppi etnici lungo il cammino di tutte le necessità quotidiane e future. Se lo sviluppo economico, come già si è accennato, ha creato le condizioni di base per appiattire progressivamente le differenze strutturali nella regione di frontiera tra Germania e Danimarca (che, tra l’altro, rappresenta il punto d’incontro tra il sistema C.E.E. e il sistema E.F.T.A.), rimane pur vero che la questione dello Schleswig è stata risolta anzitutto sul piano del rispetto e della reciproca fiducia tra etnie. Quest’ultimo è senza dubbio alcuno il presupposto fondamentale per la risoluzione di ogni conflitto, per grave che sia, che affondi le sue radici nel contrasto nazionale. Proprio su questo piano, in un auspicabile dibattito che lasci da parte ogni pregiudizio, il minuscolo, ma significativo caso dello Schleswig potrebbe mettere a frutto la sua preziosa esperienza.