Centinaia di migliaia di metri cubi di terra, milioni di ore lavorative furono impiegati per edificare le opere più gigantesche create dagli Indiani del Nordamerica.

“I cacicchi di questa terra hanno per costume di erigere alte colline accanto alle loro dimore, e talvolta costruiscono le loro case su tali colline.” Con queste parole i conquistadores spagnoli descrivevano le inconsuete costruzioni degli indigeni incontrati in Florida: i mound.
Gli Spagnoli non dettero gran peso a queste colline artificiali, mentre attraversavano territori sconosciuti alla ricerca di città da depredare d’oro o, nella peggiore delle ipotesi, di mais, ma nonostante questo i loro scritti sono per noi molto importanti poiché gli Spagnoli furono i primi a vederli. Chi vi prestò maggiore attenzione fu invece Thomas Jefferson, che vent’anni più tardi sarebbe divenuto il terzo presidente degli Stati Uniti d’America, il quale, da accanito lettore qual era (possedette la più ricca biblioteca privata d’America), si interessò ai mound e ne parlò nel suo libro Notes on Virginia, del 1781. “Non conosco nessun oggetto che potrebbe essere definito un monumento indiano – disse – a meno che tali non siano quei tumuli [i mound] che in gran numero si trovano sparsi nel nostro paese.” E non solo ne parlò, ma fece il primo tentativo di scavo archeologico condotto con metodi scientifici, portando alla luce un gran numero di reperti ossei umani e studiandoli.
Ma, in definitiva, che cosa sono i mound? E a cosa servivano? Chi li costruì? I mound non si trovano solo in Florida, poiché sorgono dal Wisconsin al Golfo del Messico, dal Mississippi agli Appalachi, e neppure sono rari dal momento che se ne contano decine di migliaia, in special modo nell’Ohio. Sono sparsi ovunque e spesso, per via della vegetazione che li ricopre, sono difficilmente individuabili, a meno che non sorgano in pianura.
Le dimensioni e le forme sono quanto mai varie. Un mound presso Miamisburg, nell’Ohio, contiene non meno di 8.816 metri cubi di terra, mentre un altro a Ross County fu costruito con l’equivalente di 20.000 carri di terra. Giganteschi, quindi, e l’enormità dell’opera ci appare pienamente se pensiamo che la terra necessaria, considerando che gli Indiani non conoscevano la ruota né, tanto meno, naturalmente, il carro, veniva portata a destinazione per mezzo di ceste. Si è calcolato che, per costruire alcuni mound nei pressi di Poverty Points, nella Louisiana settentrionale, siano stati mossi circa 450.000 metri cubi di terra, con mezzi alquanto primitivi, trasportandoli da siti spesso lontani. Basti pensare che si suppone che per costruire il più grande di questi mound siano state necessarie oltre tre milioni di ore lavorative.
Viene naturale chiederci, a questo punto, il perché si costruissero simili monumentali opere. Il motivo è lo stesso di quello che spinse gli Egiziani a costruire le piramidi, premettendo che i mound sono infinitamente più numerosi di queste ultime e che il più grande mound, il Cahokia Mound dell’Illinois, ha una superficie di base che supera di ben 18.000 metri quadrati quella della più grande piramide egizia, quella di Cheope, che però è molto più alta. Il motivo della loro costruzione è quindi quello di contenere resti umani e di rappresentare un simbolo religioso: difatti vi sono sia mound sepolcrali che mound templi.
Non dobbiamo però ritenere che i mound fossero tutti giganteschi, poiché ve ne sono moltissimi che sono decisamente piccoli, semplici cumuli di terra.
Le differenze più appariscenti fra un mound e una piramide sono molteplici. I primi sono costruiti con terra e pali di legno, le seconde invece con pesanti blocchi di pietra che, senza l’uso di ruote o rulli, non sarebbe stato possibile trasportare. I mound non possono neppure geometricamente essere accostati alle piramidi in quanto hanno strutture fantastiche, anche a forma di animale, come il Great Serpent Mound, sito nell’Ohio, che raffigura un serpente con le fauci aperte e che è lungo ben 405 metri. Particolare inspiegabile è che molti mound abbiano forme animali identificabili esclusivamente dall’alto e quindi, per uomini di quei tempi, praticamente mai. Inoltre, accostando i mound sepolcrali alle piramidi, bisogna dire che, mentre i primi contenevano i resti di tutti, nelle seconde vi si trovavano esclusivamente gli eccelsi fra gli Egiziani. E mentre, com’è noto, gli Egiziani impiegavano gli schiavi, ottenuti sottomettendo popoli vicini, per costruire le piramidi, lo stesso non avveniva in America, poiché erano gli stessi abitanti di un villaggio che costruivano un mound, con incredibile operosità.
Il ritrovamento in alcuni mound di pipe con la forma di testa di elefante, diede ad alcuni fantasiosi studiosi quella che pensavano fosse la spiegazione più logica, cioè che i costruttori dei mound avessero addomesticato i mammut e che con quelli spostassero le gigantesche masse di terra fino a formare i mound. Ipotesi però semplicistica, dato che in America il mammut si era già estinto da 10.000 anni e quindi anche gli stessi mound avrebbero dovuto avere come minimo la stessa età, cosa che assolutamente non hanno.
Un ottimo sistema per la datazione di un mound è dato dalla dendrocronologia, ossia lo studio dell’età degli alberi. Quando su un mound si trova un albero, si procede all’abbattimento e si contano gli anelli al suo interno. Com’è noto, questi anelli, uno per anno, non sono altro che la corteccia dell’albero che crescendo ne aggiunge uno dopo l’altro, e così, contandoli, si sa quanti anni ha l’albero e, quindi, come minimo, il mound. Non solo, ma è possibile capire dallo spessore degli anelli se un determinato anno è stato piovoso o secco. Con questo sistema si possono pure, per mezzo di trivelle cave, estrarre dei nuclei sotto forma di bastoncini da vecchie travi costituenti a volte l’impalcatura interna del mound, per ottenere lo stesso risultato. I popoli che eressero i mound furono diversi. I più antichi furono gli Adena, seguiti dagli Hopewell, dai Mound Builders e infine da altre tribù più conosciute, come i Choctaw, i Chickasaw, i Creek e i Natchez.
Il popolo adena fu il primo nell’America orientale a disporre dei tre fattori basilari che consentirono la nascita di una cultura, cioè la coltivazione del mais, la fabbricazione di ceramiche e il lavoro comunitario organizzato. Non si sa se la cultura adena, databile circa dal 500 al 900 d.C., avesse subito l’influenza di popoli messicani che li indusse a costruire i mound, però bisogna dire che quelli costruiti dagli Adena erano mound sepolcrali, mentre quelli messicani erano mound templi. A differenza della gente di casta inferiore, che veniva cremata, i signori fra gli Adena trovavano posto nei mound secondo costumi che evidenziano una notevole gerarchia sociale. Difatti questi ultimi dopo la morte erano accuratamente scarnificati, oppure lasciati a decomporre in altro luogo per il tempo necessario, e le ossa venivano successivamente spalmate di ocra rossa, dopo di che venivano stese in posizione articolata e coperte dalla terra che formava il mound. Le ossa venivano disposte a strati, sempre coperte dalla terra, e il tumulo via via diveniva sempre più grande. Tutto questo indica sia l’inizio di un culto dei morti, sia la notevole organizzazione tribale adena, poiché il popolo, oltre a costruire mound, spesso giganteschi, fabbricava anche oggetti artistici, coltivava la terra e svolgeva altri lavori.
Dal momento che i villaggi solitamente erano costituiti da cinque o sei case, certamente reperire per i mound più grandi migliaia di indiani e nutrirli non doveva essere un problema da poco. A un certo punto gli Adena, gli “uomini dalle teste rotonde”, abbandonarono la regione, soprattutto la valle dell’Ohio. Ancora oggi non sappiamo l’origine né la fine di questo popolo.
In seguito, altrettanto misteriosamente, apparvero gli Hopewell, gli “uomini dal cranio allungato”. La cultura hopewell è databile pressappoco dal 900 al 1150 d.C. e non sappiamo se questo popolo sopraffece e assorbì gli Adena; comunque la loro cultura è pure imperniata sui mound. Il loro culto dei morti era ancora più complesso di quello della cultura soppiantata e i mound erano il centro dei riti e delle cerimonie sacre. Qui i notabili delle tribù venivano fastosamente sepolti nelle tombe, mentre circa i tre quarti dei morti hopewell, di casta inferiore, venivano cremati.
Prima di costruire un mound, questi Indiani creavano un adeguato spiazzo che livellavano con argilla solida, ricoprendolo poi con uno strato di sabbia o di ghiaia fine. Le pareti e il tetto spesso erano costituiti da filari di pali, che più tardi sarebbero stati coperti di terra. All’interno di questa costruzione si effettuavano, come detto prima, sepolture diverse; gli appartenenti alle classi inferiori, dopo essere stati scarnificati, venivano cremati in una fossa rettangolare scavata nel terreno e rivestita di argilla, e le loro ceneri venivano successivamente raccolte e poste in cripte di legno sopra piattaforme di terra, oppure lasciate dentro le fosse stesse. Gli appartenenti alle classi superiori invece non venivano cremati, ma, dopo essere stati scarnificati, venivano posti in una tomba di tronchi su una bassa piattaforma, in una stanza adiacente a quella delle altre classi, e accanto allo scheletro venivano posati doni funebri spezzati, cioè “uccisi”, in modo che seguissero il defunto nell’altra vita.
Come possiamo vedere, gli usi degli Adena e degli Hopewell, riguardo al culto dei morti, sono molto simili. Una differenza sta nel fatto che gli Hopewell, a quanto risulta, avevano una vera passione per gli ornamenti, tanto che persino agli scheletri mettevano spesso nasi di rame. Si procuravano per mezzo di scambi, ricevendoli anche da molto lontano, conchiglie, denti di alligatore e pescecane, ossidiana, vetro nero vulcanico, denti e artigli di orso grizzly, scaglie di mica e altro materiale raro per i loro ornamenti. Non usavano oro e argento, ma rame che ricevevano dalla zona del Lago Superiore e che, non conoscendo il processo della fusione, battevano a caldo per farne strumenti, dischi ornamentali e piastre di protezione che i guerrieri portavano sul petto. L’ornamento più ricercato erano le perle di fiume, spesso ritrovate a migliaia nei mound.
Fra l’altro, si pensa che gli Hopewell ebbero una monarchia ereditaria, tesi suffragata dal fatto che parecchi scheletri, rinvenuti nei più ricchi mound dell’Ohio, rivelano tracce di exostosi, una rara malattia ossea ereditaria. La cultura hopewell decadde intorno al 1150 d.C. per lasciare il posto ad altri popoli, come i Mound Builders. Questi ultimi avevano l’uso di costruire i loro mound lontano da quelli adena e hopewell e li destinavano ad un uso diverso: infatti i loro erano mound templi, cioè enormi ammassi di terra che avevano lo scopo di fungere da fondamenta su cui costruire templi in legno. In questi templi era usanza mantenere accesa una fiamma sacra.
Questi mound, simili alle ziggurat mesopotamiche più che alle piramidi egizie, denotano chiaramente una forte influenza centro-americana e sorgevano, a strati, lentamente. Solo raramente vi avvenivano sepolture, poiché per queste c’erano cimiteri posti attorno ai mound, i quali, come nel Messico, erano costruiti in folti gruppi. Per raggiungere i templi eretti sulla vetta tronca dei mound si usavano delle ripidissime scalinate simili a quelle azteche e maya, ed è probabile che sulla sommità si svolgessero sacrifici umani. Il culto dei morti era probabilmente ancora più sentito fra i Mound Builders che fra gli Adena e gli Hopewell. Decaduti anch’essi, altre popolazioni di costruttori di tumuli si avvicendarono, ultimi dei quali furono i Natchez. Questo popolo, che si basava su una complessa gerarchia sociale al vertice della quale stava il Grande Sole, un sovrano che aveva assoluto potere di vita o di morte sui suoi sudditi, era già in netto declino demografico al momento del contatto con i Francesi, ma questi ultimi, approfittando di una rivolta, li sterminarono e solo poche famiglie di sopravvissuti riuscirono a rifugiarsi presso altre tribù vicine, dove vennero accolte con reverenziale timore. Con loro, dopo 2.700 anni di storia dall’inizio dell’era dei costruttori di mound sepolcrali, si estinse una stirpe. A loro ricordo rimane, a testimonianza della passata grandezza, l’opera più gigantesca creata dagli Indiani del Nord-America: il mound.

Pubblicato nel 1984 su:

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