Stefano Bruno Galli, docente di Storia delle dottrine e delle istituzioni politiche all’Università Statale, è l’uomo che ha ideato il referendum sull’autonomia lombarda del prossimo 22 ottobre. Viene considerata la mente “autonomista” del governatore Roberto Maroni.

Manca una settimana al referendum sull’autonomia della Lombardia e il centrodestra pare meno unito che mai. Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, a quanto pare ha deciso di non prendere posizione, mentre Giorgia Meloni lo ha criticato.
Questo referendum è più difficile da spiegare rispetto al referendum costituzionale dell’anno scorso. Ma c’è attenzione e fermento in tutti gli incontri pubblici, mi creda. Sul territorio Forza Italia si sta impegnando a fondo, così come eli esponenti dì Fratelli d’Italia. Bisogna separare il piano nazionale rispetto al piano locale.

Questa confusione politica, dicono i sondaggi come quello di Swg, sta influenzando il voto. Aumentano gli indecisi e chi sostiene che il referendum alla fine serva a poco.
Il referendum non è inutile, è necessario. Esiste un principio, quello del regionalismo differenziato, che è stato costituzionalizzato nell’ormai lontano 2001. Da allora nessuna regione è mai riuscita a percorrere con successo la strada della trattativa con il governo per ottenere maggiori margini di autonomia.
Si tratta dunque, e alludo all’articolo 116, di una parte inattuata della Costituzione repubblicana. Con il referendum, cerchiamo di farla funzionare. Il nostro è un atteggiamento di grande responsabilità istituzionale e di grande lealtà costituzionale. Fanno ridere quegli esponenti del Pd che si oppongono al referendum. In fondo serve per far funzionare una parte della Costituzione che ha scritto proprio il centrosinistra.

Non avete il timore di una bassa affluenza? In questo modo potrebbe rivelarsi un boomerang. A Roma direbbero: non importa a nessuno il referendum sull’autonomia.
L’affluenza non sarà bassa e i Sì vinceranno in modo convincente. Perché l’autonomia è da sempre lotta di popolo. È una comunità territoriale che invoca e chiede a gran voce la propria autonomia politica e amministrativa, alla quale ha diritto ai sensi della Costituzione repubblicana.

Il centrosinistra milanese, in particolare il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, dice che voterà Sì anche se è sbagliato. Maurizio Martina sostiene invece che sia inutile. Anche dall’altra parte non c’è una linea comune.
Lei è troppo generoso con il Pd. Le posizioni sul referendum, all’interno del partito, sono molte più di due. Ormai Pd è diventato l’acronimo di Partito diviso. È un’insalata russa.

Però criticano i costi.
Sì, non sanno fare altro che criticare i costi, argomento un po’ debole. Non entrano nel merito dell’autonomia. Si allineano alla posizione di Bonaccini, il governatore emiliano che ha appena aperto la trattativa con il governo, ovviamente per depotenziare il referendum lombardo-veneto. Da qui al 22 ottobre otterrà almeno una competenza. Se Bonaccini avrà successo dovrà solo ringraziare Maroni e Zaia. Senza il nostro referendum, il tavolo emiliano sarebbe rimasto accatastato tra quelli pieghevoli delle feste dell’Unità.

L’avvocato amministrativista e socialista Felice Besostri, autore di storiche vittorie alla Corte costituzionale contro le leggi elettorali, sostiene che il quesito sia un inganno. Anzi che il referendum sia una truffa. Dice che non c’è nessun automatismo tra l’attribuzione di maggiore autonomia e maggiori relative risorse.
Non è vero. La consultazione fa leva sulla legittimazione politica e consensuale della trattativa. Per la prima volta, dì fianco al governatore, al tavolo delle trattative con il governo, siederà anche il grande popolo lombardo, che ha espresso il suo consenso. Le trattative sin qui fallite si sono consumate in un ambito tutto istituzionale e tutto politico, senza il minimo coinvolgimento dell’opinione pubblica. Che sarà la risorsa decisiva.

Nel quesito referendario non sono indicate le materie.
Questa del voto al “buio” è un’osservazione che ci viene rivolta spesso, soprattutto da sinistra. Ma è giusto che non siano indicate le materie, che sono scritte negli articoli 116 e 117 di quella che proprio loro definiscono “la più bella Costituzione del mondo”. Che se la studiassero.
Dicono anche che ci si potrebbe limitare a trattare due o quattro materie. Ma con 56 miliardi di residuo fiscale non ci si può limitare a poche briciole. Il residuo fiscale della Lombardia rappresenta una forma di vessazione fiscale che non ha pari in Europa e nel mondo e definisce un rapporto centro-periferia profondamente iniquo, che deve essere rinegoziato e reimpostato su nuove basi.

Gianfranco Miglio sarebbe stato contento secondo lei di questo referendum? Negli anni Novanta, insieme con Bossi, rivendicava la secessione da Roma.
Miglio ha sempre ragionato sul necessario e ineludibile passaggio da uno Stato accentrato e unitario a un ordine politico fondato sul pluralismo territoriale e sulla valorizzazione delle diversità. Il regionalismo differenziato si configura allora come lo strumento privilegiato per ottenere una riorganizzazione complessiva dell’articolazione amministrativa decentrata del Paese. In tanti, sin dall’Ottocento, hanno sottolineato la ricchezza connessa alla diversità dei territori della penisola, ma non si è mai fatto davvero nulla per valorizzarla adeguatamente, utilizzandola come leva per lo sviluppo. E questo Paese è passato da un federalismo mancato, quello di Cattaneo e Ferrari, al regionalismo tradito, dal 1970 in qua.

 

Alessandro Da Rold, “La Verità”.