La cricca di Roma sta assaporando l’ennesima infornata di clandestini, stavolta da scaricare nelle nostre terre con una vaga scusa umanitaria. Ma, come ci spiega un esperto “sul campo”, è tutta una montatura.

Se il post pubblicato sul sito telegra.ph non è fasullo (per ora non sembra tale, soprattutto perché testimonia cose che già in parte si sapevano), il tenente colonnello Mauro Scorzato, veterano dell’Afghanistan, vede una grave minaccia nell’arrivo di quei profughi che il governo romano considera “amici” e che in larghissima maggioranza non sono affatto tali.
Scorzato è uno di quegli ufficiali tutti d’un pezzo che i suoi sottoposti ricordano con un misto di timore e di rispetto (ora è in quiescenza dal 2015). Severissimo ma mai meschino, era solito avvicinarsi di soppiatto – rischiando anche qualche pallottola, sostengono i commilitoni – ai posti di guardia per controllare la prontezza delle sentinelle. Il militare fu inviato in Afghanistan nel 2007 con la Brigata Sassari, fondata in Sardegna nel 1915… la stessa regione che diede i natali a quella scrittrice progressista che di fronte alla divisa del colonnello tenterebbe di farsi piccola piccola per il terrore: lei (lui? esso?), che nella sua cameretta di adolescente rivoluzionaria teneva, ne siamo certi, il poster del Che Guevara in bermuda con la pistola ad acqua.
Il comunicato di Mauro Scorzato inizia con un riconoscimento doveroso alla stampa italiana, al suo coraggio e al rispetto di quella deontologia cui l’Ordine dei Giornalisti ci sferza ogni anno con la sua “formazione continua”:

Ho impiegato molto a scrivere questo articolo travolto dalle idiozie che si trovano nella stampa e che, non solo non riescono a dare una idea della realtà, ma sviano decisamente l’attenzione del pubblico dai problemi reali.
Quando al PRT di Herat si presentava Pino Scaccia (TG2 allora), scendeva dal blindato, andava in mensa dove girava un filmato, dopodiché chiedeva di avere una connessione a internet, si leggeva tutte le agenzie iraniane e faceva infuocati rapporti dall’Afghanistan senza mai essere uscito dalla mensa. 1)

Non manca un plauso all’abnegazione del personale diplomatico, che come è noto fa capo al ministro degli Esteri:

Il tutto faceva sorridere: oggi vedere un presunto diplomatico italiano che salva il bambino all’aeroporto di Kabul mentre l’intera ambasciata italiana, tenendo all’oscuro l’opinione pubblica, si è schierata alla Farnesina il giorno 17 sa molto non di farsa ma di truffa.

Scorzato si riferisce probabilmente al console Tommaso Claudi il quale, diversamente da quanto affermato dal comunicato ministeriale del 17 agosto, 2) si sarebbe trattenuto a Kabul fino a qualche giorno fa, evacuando bambini e personale locale.

Ma ancora più sorprendente è l’evacuazione del personale che avrebbe servito “lealmente” le nostre truppe. Quando ho letto il requisito ho pensato che un volo di C-130 sarebbe stato più che sufficiente: per la maggior parte, sapevamo benissimo che quelli che lavoravano con noi, appena chiuso bottega nelle nostre basi andavano a vendere al miglior offerente le informazioni raccolte nelle otto ore precedenti. Anche gli interpreti, che pur venivano con noi condividendo i rischi delle uscite nei nostri veicoli, fornivano a diversi attori, sia favorevoli che contrari, le informazioni principali sul nostro operato sia sul campo sia sulle nostre persone.

Tanto che, una volta appurato come il militare conoscesse uno degli idiomi locali, il dari, gli interpreti smisero di frequentarlo.

Figuratevi quindi la mia sorpresa quando ho saputo che ci stavamo importando quasi duemila persone. Poi mi sono ricordato che anche in Afghanistan ci sono persone che sanno monetizzare alla grande tutti questi eventi, e non sono necessariamente afghani. Sicuramente sono state già formate cooperative con mezza dozzina di mediatori culturali a 800 € al mese supportati da una decina di dirigenti con imponibile a sei cifre pronti ad accogliere e sistemare questi “profughi”. E magari scopriremo pure che non hanno mai avuto a che fare con noi, con truppe o agenzie italiane, se non per collaborare con gli insorti a localizzarle.

importiamo delinquenti afghani
Forse non si deve esportare la democrazia, di sicuro non si deve importare chi non sa cosa sia.

La verità – e lo diciamo da praticanti di etnismo e quindi anche di psicologia dei popoli – è che gli afghani, o meglio le tribù che li compongono, non sono in maggioranza nemici dei talebani: primo perché questi scimmioni sdentati non vengono da chissà dove, secondo perché la loro “filosofia di vita” non nasce solo da una religione hitleriana ma anche dalle brutali consuetudini dei loro villaggi (soprattutto contro le donne). Spontanea quindi la domanda: perché scappare? Mauro Scorzato non ha dubbi:

Ma cari signori, proprio perché abituati a fiutare l’aria sanno che un domani anche per i talebani potrà arrivare un tramonto e magari bisognerà accumulare crediti con i futuri vincitori, cosa forse difficile; e d’altra parte perché scegliere un lavoro incerto quando si ha a disposizione una rendita sicura? Forse uno tra gli evacuati sarà l’autista dell’ambasciata Italiana a Kabul, a cui chiesi nel 2005 dove avesse imparato l’italiano così bene e mi rispose che si era laureato in medicina a Bologna, specializzato in pediatria. Era il momento in cui ISAF cercava di ricostruire un sistema sanitario in Afghanistan e la carenza di pediatri era particolarmente sentita in un’area dove le famiglie fanno mediamente dieci figli. La risposta fu illuminante: “Perché dovrei lavorare 10 ore al giorno per 350 dollari quando ne guadagno 500 per poche ore di guida?”.
Omise, il nostro, di denunciare le entrate extra per altri tipi di “servizietti” al di fuori del consentito. Il tutto venne a galla alcuni anni dopo quando un capitano dei CC, in servizio all’ambasciata, venne ucciso nella valle del Panjsher, essendo stato portato dall’autista pediatra ad acquistare smeraldi di contrabbando: la pessima idea di farsi accompagnare da una diplomatica lo costrinse ad aprire il fuoco freddando uno dei “commercianti” che voleva la signora in cambio degli smeraldi. Ma la fesseria più grande fu di recarsi dalla polizia locale per denunciare l’accaduto e farsi proteggere dalla vendetta dei parenti del morto. Ovviamente la polizia mise immediatamente l’ufficiale nelle mani dei parenti del morto che lo giustiziarono immediatamente.

La testimonianza dimostra una volta di più che sono le etnie a fare la realtà, e che la geopolitica dovrebbe tenerne conto quando ipotizza di gestire Stati artificiali, antropologicamente e linguisticamente inesistenti.
Ma dimostra anche che per i criminali di Roma ogni occasione sarà buona per importare materia prima a favore di cooperative, parrocchie, ONG, partiti in deficit di votanti e compagnia bella (e vedrete che pacchia sarà per le donne di quaggiù, che amino o meno l’uniforme).

N O T E

1) Il PRT (Provincial Reconstruction Team) era l’unità incaricata della ricostruzione delle strutture sociali (scuole, sanità) e politiche (sedi del governo inclusa la polizia e sedi periferiche) del territorio.  
2) “La Farnesina rende noto che l’Ambasciata d’Italia a Kabul, guidata dall’Ambasciatore Vittorio Sandalli, dopo il rientro ieri in Italia dall’Afghanistan, si è immediatamente ricostituita presso il ministero degli Affari Esteri, al pari delle altre rappresentanza diplomatiche europee ridislocate in Patria, ed è già operativa”.