Parlando in termini di autolesionismo, di tafazzianesimo, qual è il Paese europeo più stupido di fronte all’islamizzazione?
Vien subito da dire l’Italia, quella che importa maree migratorie per conto di tutto il continente, istituendo linee di navigazione Africa-Sicilia; che non fa un controllo a Fiumicino neanche a morire; che non interromperebbe mai il flusso di “risorse”, neppure di fronte al rischio di epidemie o alla certezza dell’introduzione di terroristi (e qualche “liberista” metterebbe ancora in mano a Roma le centrali nucleari…).

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Gesto di protesta di profughi siriani e medio-orientali per essere stati accolti nella città svedese di Grytan: troppo fredda!

Poi pensi alla Francia, che è riuscita a circondare la propria capitale con una cintura esplosiva di tagliagole giunti alla terza generazione, ormai capaci di spazzare via le forze dell’ordine (per ammissione di queste ultime) quando lo decideranno. Pronta a riapplaudire e, chissà, a rieleggere uno smorto presidente che ha avuto l’immenso coraggio civile di sfilare contro lo stesso terrorismo che ha contribuito ad alimentare.
Certo, mica da meno la Gran Bretagna con le sue corti islamiche, i vigilantes maomettani che pattugliano le strade delle loro innumerevoli no-go zones, i processi e gli esili a chi si è permesso di citare frasi di Winston Churchill, 1) gli occhi bendati delle autorità di fronte a 1400 bambini stuprati per non offendere i violentatori islamici (i nuovi dèi delle sinistre, ora che il proletariato non le vota più). Succede a Rotheraham, mentre Birmingham con il suo 22% di maomettani è ormai una città irriconoscibile.
D’altra parte, che dire di una Germania dove la premier attacca i propri concittadini perché sfilano contro i tagliagole; dove fa più scalpore la foto di un fesso con i baffetti alla Hitler che quella dei turchi che aggrediscono la polizia.
Cosa pensare del Belgio, dove le scuole chiudono non più per le vacanze “pasquali” ma per quelle “primaverili”? O dell’Olanda, dove un dipartimento di polizia ha affidato il pattugliamento di due quartieri a volontari di una moschea salafita? (Sì, salafita.)
Non scherza nemmeno la Danimarca, dove la libertà di stampa e di espressione ha cominciato a essere seriamente minacciata una decina d’anni fa quando, come racconta lo storico danese Lars Hedegaard, “i giornali, i politici, gli accademici, gli esperti, i tribunali e i pastori della chiesa luterana han preso a martellare la gente con il messaggio che l’islam è un arricchimento della nostra società, e che chiunque la pensi diversamente è un fascista e un razzista a cui va impedito di esprimere le proprie opinioni”.
E tuttavia il Testicolo d’Oro non spetta probabilmente a nessuno di questi Paesi, ma alla Svezia.

Dalla depressione al suicidio

La Svezia, illo tempore paradiso delle libertà, della tranquillità filosofica, della contemplazione (già con qualche punta di depressione suicida), si sta trasformando in un Paese canaglia che contribuisce in primissima persona al diffondersi del nazismo islamico. Piace a molti commentatori perpetuare l’antica aura di candore e purezza, attribuendo a ingenuità e dabbenaggine il fatto che la comunità scandinava si stia autosmantellando; ma sembra esserci un calcolo mortale (per quanto sempre collegato a risvolti psichiatrici e oicofobici) alla base della fredda decisione – da parte di tutte le forze politiche nel parlamento, anche quelle che non si possono soffrire – di allearsi per escludere i democratici dello SD, l’unico partito contrario all’immigrazione di massa, l’unico a difendere la cultura svedese. Con il cosiddetto accordo di dicembre, “l’86 per cento del parlamento ha unito le proprie forze per isolare il 14 per cento che non è d’accordo. I due blocchi più importanti hanno stemperato le loro divergenze per escludere il rivoltoso partito populista. Mattias Karlsson, il leader ad interim dell’SD, osserva giustamente che con questo accordo il suo partito è diventato l’unica vera opposizione”. 2)
In superficie, le istituzioni democratiche svedesi sono intatte, ma d’ora in avanti saranno un involucro. “L’accordo di dicembre introduce quello che può essere etichettato come un sistema parlamentare doppio. Il parlamento ufficiale, il Riksdag, rimane operativo, ma nell’ombra si nasconde il vero parlamento, composto da sette leader di partito, dagli ex comunisti (Vänsterpartiet) ai conservatori (Moderaterna). Questa assemblea occulta delibera in gran segreto ed è protetta dal controllo pubblico. Di volta in volta, essa presenta le sue decisioni al Riksdag. Poiché sette partiti controllano 300 dei 349 seggi, il Riksdag, ovviamente, darà il suo assenso”. 3)
Tralasciando gli aspetti umani e sociali, la prosecuzione ottusa e cocciuta di questa politica dell’accoglienza sta portando la Svezia sull’orlo di un disastro economico. In un Paese di 10 milioni di abitanti, i costi dell’immigrazione ammontano ormai a circa 12 miliardi di euro, secondo una delle stime più ottimistiche.
“Con vaste zone del Medio Oriente e del Nord Africa in subbuglio, ci sono tutti le indicazioni che il numero dei richiedenti asilo aumenterà nei prossimi anni. E non c’è alcun segnale che la coalizione dei sette partiti svedesi smantellerà la cosiddetta politica delle porte aperte vigente nel paese. Si può prevedere con sicurezza che l’oca svedese sarà cotta a puntino prima che l’accordo di dicembre scada nel 2022. I suoi giorni da Stato libero e democratico per eccellenza sono contati. Una popolazione di forse 8 milioni di autoctoni non può accogliere e pagare per 4 milioni di immigrati in otto anni. È come se gli Stati Uniti dovessero accogliere 150 milioni di immigrati. Se si stima che a 80.000 richiedenti asilo sarà concesso il permesso di soggiorno permanente ogni anno per i prossimi otto anni, raggiungeremo la cifra di 640.000 immigrati che avranno il permesso di soggiorno. E se si considera che ogni nuovo residente permanente proveniente dai paesi del terzo mondo avrà con sé 2-3 familiari o persone a carico, probabilmente entro il 2022 avremo un afflusso di immigrati di due milioni e un quarto. A quel punto, la Svezia, che si vanta di essere una ‘superpotenza umanitaria’, diventerà uno Stato fallito e non ci sarà nulla che gli insoddisfatti potranno fare tranne che abbandonare il Paese. Questo è esattamente ciò che l’Onu ha previsto, ma poi, ha ritrattato questa previsione”. 4)

Verso il totalitarismo dei “buoni”

Il fatto che in Svezia (ma dove non accade, ormai?) sia proibito anche solo mettere in dubbio queste folli dinamiche rende sempre più pressante la necessità di riappropriarci del vocabolario politico, che ormai ha raggiunto livelli allucinanti di mistificazione. È ora di smettere di definire “buonismo” – con quel prefisso incancellabilmente positivo – l’orgia di accoglienza, e prendersi di “fascisti” e “razzisti nel criticarlo”. Questo è il mondo a rovescio e va raddrizzato. Non c’è alcuna bontà, democrazia, gentilezza d’animo, altruismo nel creare un virtuale stato di polizia per insultare, reprimere, sanzionare chi dissente. Questi sono i fascisti. E lo sono tanto più perché stanno difendendo e fiancheggiando – per motivi reconditi o malattie psichiatriche che ancora non siamo stati in grado di svelare – l’insorgere di un nuovo nazismo tribale.

N O T E

1) “Quali terribili maledizioni stende il culto di Maometto sui suoi seguaci! Oltre al fanatismo, pericoloso nell’uomo quanto l’idrofobia in un cane, vi è questa terribile, fatalistica apatia. Gli effetti si vedono in molti Paesi. Costumi imprevidenti, antiquati sistemi di agricoltura, pigre metodologie di commercio e insicurezza della proprietà esistono ovunque vivano o governino i seguaci del Profeta. Una carnalità degradata priva questa vita di ogni grazia e finezza, e l’aldilà di dignità e santità. Il fatto che per la legge di Maometto ogni donna debba essere proprietà assoluta di un uomo – come figlia, moglie o concubina – rinvia l’estinzione definitiva dello schiavismo al giorno in cui la fede islamica avrà cessato di avere potere tra gli uomini”. (Winston Churchill, The river war, 1899.)
2) Daniel Pipes, qui.
3) Ingrid Carlqvist e Lars Hedegaard, su Gatestone Institute.
4) ibidem.

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