testo e foto di Giuseppe Russo

Siamo nelle alte valli del Pakistan, nell’angolo nord-occidentale che confina con l’Afghanistan: qui, a 1170 m di altitudine, sulla sponda occidentale del fiume Kunar, la cittadina di Chitral con i suoi 20.000 abitanti è la capitale dell’omonimo distretto nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa.
Tre belle cupole rosse e due alti minareti sovrastano la grande moschea Shahi Masjid, costruita nel 1924 da Shujaul Mulk, il mehtar (principe) di Chitral durante il suo regno dal 1895 al 1936. Sulla riva del Kunar, il Shahi Qila, palazzo-fortezza dei mehtar, domina la città con la sua possanza. Accanto al palazzo il vivace bazar, coloratissimo e pieno d’atmosfera, offre numerosi punti panoramici per ammirare comodamente lo splendore del Tirich Mir (7708 m), il più alto picco dell’Hindu Kush, vetta mitica per gli alpinisti che si dice abitata dalle dakini, la versione locale delle nostre fate.
La maestosa mole del Tirich Mir, che giganteggia sulla regione e appare coperta dalle nevi per quasi tutto l’anno, contrasta con i campi terrazzati più a valle, con colture di grano, orzo e soprattutto frutteti rigogliosi e policromi di fiori e di frutti.
La città serve da base per trekking e spedizioni, ma la sua aria pura di montagna attrae anche molti visitatori che desiderano semplicemente godersi la natura del territorio circostante. Storicamente, Chitral deve la sua importanza al commercio che transitava in questa zona diretto in Afghanistan, per ricongiungersi oltre lo Shardur Pass (3800 m) con uno dei numerosi rami della Via della Seta, che collegava l’Asia centrale con l’India attraverso il Khunjerab Pass.
Quando, per le cattive condizioni atmosferiche, l’aereo da Islamabad non riesce ad atterrare, l’unico modo per raggiungere Chitral è un lento percorso in fuoristrada che attraversa il Lowari Pass, a 3118 metri sul livello del mare.
Circa 30 km a sud di Chitral, a un’altitudine compresa tra 1670 e 2310 metri, si stende la Kalash Bumburet Valley, un comprensorio composto da tre gruppi di valli minori – Bumburet, Rambur e Birir – situate all’interno del sistema montuoso dell’Hindū-Kūsh nella Provincia della Frontiera del Nord Ovest. Questo è il cosiddetto territorio Kalasha Desh, più noto come Kafiristan, dove esistono alcuni villaggi di etnia kalash (Anish, Krakal e Brun) e di etnia nuristani (Shaidkondai). La valle, riparata dalle montagne e chiusa a sud dal Lowari Pass, appare molto arida e secca, essendo la zona fuori dalla portata dei monsoni e ricevendo pochissima pioggia. Qui vive la popolazione dei kafir (infedeli) kalash, circa 3000 persone che costituiscono la più esigua minoranza religiosa del Pakistan.


I kalash hanno una loro peculiare religione sciamanica e politeista, una cultura unica al mondo e un atteggiamento gioioso verso la vita, ciò che li classifica inequivocabilmente come infedeli agli occhi dei musulmani. Non piangono nemmeno dinanzi ai propri morti, che inumano in casse di legno sopra la terra invece che sotto. Restano persistenti tracce del culto degli antenati e del fuoco, nonché un pantheon affollato di dèi e spiriti minori, tutti quanti subordinati a Khozai,  il Creatore. I kafiri considerano la dea Jestak protettrice dei loro figli e delle loro case, e a lei, come ad altre divinità, sacrificano le capre nelle occasioni importanti.
Kafir è un termine arabo usato in tutto il mondo islamico per significare pagano, infedele, idolatra, e ha un inequivocabile intento spregiativo. Non a caso, mentre gli uomini vestono sostanzialmente alla stessa maniera dei loro vicini monoteisti (salvo per un piccolo particolare distintivo: un ornamento – fiore o nastrino – che essi appongono sul pacol, il berretto di panno), le donne portano un costume tipico, quasi un’uniforme, che è diversissimo da quello delle musulmane. Si tratta di abiti neri stretti in vita da una fascia colorata, con ampie file di collane soprattutto di corallo attorno al collo e, sul capo, un cerchio di tessuto con cipree e monete. Le donne non sono segregate né tenute nascoste, ma integrate in ogni espressione della vita sociale nel villaggio. In ciascun abitato si trova la bashelini, una sorta di gineceo in cui le donne mestruate devono restare fino a quando non riacquistano la “purezza”, sottoponendosi poi a precisi rituali prima di poter tornare a casa dal marito.
Nella società kalash, la fuga d’amore è consentita e – curiosamente – coinvolge spesso le donne sposate, a conferma della libertà sessuale femminile.  Esiste anche la poligamia, ma a differenza del mondo musulmano la donna è libera di muoversi e non si nasconde.
Questa etnia vive in piccoli villaggi costruiti sulle colline vicino alle rive dei corsi d’acqua, le case erette su fondamenta di solida pietra, accatastate le une alle altre, con tronchi di legno grezzamente tagliati e soppalchi a doppio piano per aderire ai pendii vertiginosi del territorio. Molte hanno alveari “incorporati” per dare agli abitanti del villaggio la possibilità di raccogliere il miele.
Parecchi kalash presentano tratti somatici europei con capelli biondi e occhi blu, a costituire una vera anomalia rispetto al resto del Pakistan. La loro origine, infatti, è controversa. La leggenda dice che alcuni soldati del conquistatore macedone Alessandro Magno si fermarono a Chitral e, mescolandosi con la gente del luogo, diventarono progenitori degli attuali kalash. Ma le recenti ricerche antropo-genetiche fanno risalire parecchio indietro la loro parentela genetica con gli europei.     

kalash chilam joshi festival -mappa

La grande festa annuale dei kafiri

Ogni anno per 4 giorni consecutivi, dal 13 al 16 maggio, si festeggia il Kalash Chilam Joshi Festival, uno tra gli eventi più noti e amati nella comunità dei kalash, in cui essi pregano per la salvaguardia dei campi e degli animali prima di andare al lavoro, offrendo a tale scopo il loro latte alle persone care. Con essa si festeggia l’arrivo dell’estate e si celebra l’abbondanza dei prodotti lattiero-caseari durante la stagione. La festa rappresenta un’ottima occasione per le persone lontane di tornare a far visita alle comunità d’origine.
La gente kalash ama la musica e le danze al ritmo dei tamburi. Essa crede che il dio pastorale Sorizan protegga le greggi durante l’autunno e l’inverno, e organizza un festival invernale per ringraziarlo. Un’altra divinità, Goshidai, protegge le greggi durante le stagioni estive e primaverili e pertanto viene onorato in occasione del Chilam Joshi.
Gli esponenti di questa antica comunità – che si ritengono discendenti di Alessandro Magno – il primo giorno della festa si recano nella Rumbur Valley e cominciano a spostarsi visitando i vari villaggi a seconda degli eventi che vengono proposti localmente, senza uno schema predefinito, tra risate, musica, percussioni dei tamburi, balli e canti. Il primo giorno si decorano tutte le case con addobbi floreali; l’indomani si condividono vino e latte con amici e parenti, e si partecipa al rituale del gulparik, ossia il battesimo dei neonati con il latte, mentre tutt’attorno gli abitanti dei villaggi ballano al ritmo del tamburo e le donne cospargono il latte sulla raffigurazione della dea Jestak, protettrice dei figli e della casa.
A Rumbur – dove ha inizio l’evento che poi si sposterà con una catena umana nei villaggi limitrofi – lo sciamano e i capi tribali salgono in processione all’altare di Malosh, su un’altura sopra Grum, per sacrificare le capre agli dèi. Quindi la festa si trasferisce a Bumburet in uno spiazzo chiamato Charsu, mentre i partecipanti portano in mano ramoscelli freschi di albicocca, e si formano le coppie per il ballo al ritmo frenetico dei tamburi. Le donne vestono i loro tradizionali abiti neri, stretti in vita da una fascia colorata, con le collane e i copricapo decorati. Le danze cominciano con la formazione di un cerchio da parte femminile, poi tocca agli uomini unirsi alla catena: tra l’ilarità del pubblico, uomini e donne si prendono a braccetto o si staccano litigando alla ricerca del posto giusto, vicino al compagno o alla compagna desiderata, spesso facendo smorfie di disappunto per la vicinanza di un partner non voluto. Le baruffe scherzose continuano anche quando il ballo è iniziato, la catena si è chiusa e il cerchio gira in tondo ondeggiando al ritmo del canto. Intorno, i capi tribali in abiti coloratissimi narrano storie del passato, molto apprezzate dalla comunità.
Il festival non è solo un’evento per salutare la stagione primaverile, ma è importante anche dal punto di vista religioso ed è ricco di rituali, tra cui la celebrazione di matrimoni.
Il Chilam Joshi è di solito preceduto dallo Spring Festival, che si tiene a Chitral il giorno prima, anch’esso organizzato in modo spontaneo appena pochi giorni prima dell’inizio. Nelle passate edizioni sono stati proposti svariati giochi e gare popolari e apprezzate, come la lotta tradizionale, il lancio delle pietre, il tiro con l’arco, la danza delle spade, il polo freestyle o a dorso d’asino, con gran divertimento di locali e turisti. Il clou è sempre la partita di polo tra le squadre di Chitral e la rivale Gilgit. Di recente si è tenuta una riedizione del buzkashi (letteralmente “acchiappa la capra”), sport nazionale nel vicino Afghanistan: noto anche come kokpar o kupkari, è una disiciplina tipica dell’Asia centrale, in cui due squadre opposte di cavalieri hanno come obiettivo (analogamente ai giocatori di polo che giocano con una palla) un carcassa di capra (boz) o di vitello senza testa: l’“oggetto” va afferrato e portato nella zona punti, al centro di un cerchio all’interno del campo quadrato di gioco.

 

Giuseppe Russo è un viaggiatore, fotografo, blogger e reporter con oltre 20 anni di esperienze e collaborazioni di viaggio per il mondo come tour leader. I suoi reportage sono pubblicati, oltre che su “Etnie”, anche sul suo blog Zoom, Andata & Ritorno.