C’è un dettaglio, nella fotografia che mi è giunta, impubblicabile e insopportabile. La foto è quella della donna decapitata nella cattedrale di Nizza, ieri.  Giace riversa addosso a una colonna, accanto all’acquasantiera. Veste una camicia scura e un maglioncino blu, i jeans e delle scarpe basse e nere. Sulla colonna un avviso ricorda: “Maschera obbligatoria”. Non sappiamo come questa donna sia stata scelta, come sia stata presa o inseguita, come sia finita ai piedi di quella colonna. Possiamo solo immaginare una cosa, e notare un dettaglio. Quello che possiamo e non vogliamo immaginare è la forza e la ferocia che occorrono per sgozzare una persona fino a decapitarla. Ci vuole l’esperienza dello sgozzamento di ovini, per ragioni di sacrificio o alimentari. L’odio, da sé, non basta, è sufficiente per attivare una bomba, per decapitare ci vuole molto impegno. Il dettaglio è stretto nella mano sinistra della donna: la mascherina. La mascherina nera che si dev’essere tolta per urlare, per respirare, e che le è rimasta in mano. Il colore nero nasconde il sangue, e quella mascherina sembra l’ultimo appiglio di normalità, della nostra normale quotidianità, il dettaglio che racconta di due mondi distanti.
Noi siamo alle prese con qualcosa che sta cambiando le nostre vite, e qualche volta ci porta via le nostre vite, e di questo abbiamo paura o in qualche caso mostriamo di non aver paura, con la jattanza di chi sfida un nemico che non esisterebbe. Ma, che abbiamo paura o no, che ce la prendiamo con il destino o con il governo, che temiamo il virus o la fame o entrambi, che preferiamo blocchi totali o parziali, questo è il nostro mondo: i governi, le elezioni regionali o presidenziali USA, le baruffe tra gli esperti: il nostro mondo, appunto. E invece c’è qualcuno che vive in un altro mondo, che si sente minacciato, insidiato e offeso e appassionato da altro. Facciamo così fatica a comprenderlo e anche solo a immaginarlo che ci mettiamo al riparo delle parole: gesto folle, problemi psichici, disturbi. Facciamo così fatica ad accettarlo che ci scappa detto che chi è causa del suo male pianga se stesso, e Charlie Hebdo se l’è cercata, e quel professore che si ostinava a insegnare la libertà se l’è cercata, e i fedeli di Nizza sono gli innocenti finiti in mezzo. Noi, un Paese in cui la satira è corrosiva, ma nelle vignette dove non si rischia nulla. O ci gettiamo a capofitto sulle polemiche dello sbarco a Lampedusa, del soggiorno a Bari, delle ingiunzioni ridicole di espulsione, nelle quali siamo i primi a non credere. 
Non voglio ripetere ciò che ho detto fino allo sfinimento, nelle mie battaglie perse, e cioè che sui barconi non c’è chi scappa dalla guerra, perché so che così ci piace e ci conviene credere, perché coincide con una visione del mondo, consente un po’ di ipocrisia e ci illude di essere i buoni samaritani del pianeta, raccolta dei pomodori inclusa. Voglio piuttosto ragionare su una cosa: è ovvio che la percentuale di fondamentalisti è infima parte di chi arriva in Europa, per fortuna. Ma c’è un meccanismo più diffuso e meno evidente: che cos’è che ti porta in Europa e ti autorizza a decidere cosa l’Europa debba essere, nella sua libertà di stampa, o di insegnamento, o di fede?  Cos’è questo suprematismo culturale, che ti autorizza a dispensare giudizi e sentenze morali?  Siamo solo un salario, un reddito, un’opportunità, un’assistenza, la promessa di un diritto e nessun valore?

Toni Capuozzo