Di Patxi Ruiz, ex militante di ETA condannato a trent’anni di detenzione per aver ucciso nel 1998 un consigliere comunale dell’UPN a Pamplona, si era parlato alla fine di giugno 2018. Allora alcuni militanti pro-amnistia erano stati denunciati per una conferenza stampa organizzata per protestare contro il trattamento inflitto a questo prigioniero basco, sottoposto a condizioni detentive particolarmente dure e a cui veniva impedito di visitare il padre gravemente malato. Come ritorsione, la Corte nazionale spagnola aveva incriminato i militanti solidali per “apologia di terrorismo”.
Il 30 dicembre 2019 Patxi Ruiz, rinchiuso nella prigione di Murcia, si è inferto profonde ferite alle braccia utilizzando un’arma rudimentale per protestare contro il comportamento di una guardia (definita “fascista”) che – sistematicamente – tormenta, minaccia e picchia alcuni prigionieri politici, in particolare quelli baschi. L’ex etarra ha precisato che il suo gesto rappresenta un “atto politico di protesta” e che non è dettato né dalla depressione né dalla disperazione. Si tratta di una forma di lotta per rivendicare la dignità dei prigionieri. Ricoverato in infermeria, Ruiz è stato curato con una quindicina di punti di sutura.