Domenica scorsa, a un bambino che si recava accompagnato dalla propria madre a vedere la partita di calcio del Padova è stato impartito il divieto di introdurre all’interno dello stadio la bandiera del Veneto raffigurante il leone di San Marco, simbolo della Repubblica di Venezia; questo episodio ci induce a fare alcune riflessioni sulle disposizioni vigenti in materia e sul forte valore simbolico ed evocativo della bandiera. Il caso occorso a Padova, peraltro, non è l’unico: vi sono stati numerosi divieti per le bandiere del Regno delle Due Sicilie all’interno dello stadio San Paolo di Napoli, per quella del Friuli con la sua caratteristica aquila d’oro nello stadio di Udine per la partita della nazionale dello scorso marzo, tutte non ammesse perché prive dell’autorizzazione.
Stando a quanto disposto, il ministero dell’Interno, attraverso il suo organo denominato Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, con apposita determinazione del 2007, ha stabilito che le bandiere che non sono quelle riportanti i colori delle squadre e delle nazioni in campo devono essere preventivamente autorizzate dalla società sportiva ospitante. Si tratta di una misura di ordine pubblico finalizzata a non introdurre all’interno degli stadi striscioni, vessilli, bandiere che possano suscitare sdegno nel pubblico perché rappresentanti atti di intolleranza o di discriminazione razziale.
Affinché una bandiera diversa da quelle delle squadre in campo possa trovare ingresso negli stadi, va seguita una dettagliata procedura qui sintetizzata: occorre inoltrare alla società sportiva ospitante, almeno 7 giorni prima dell’evento sportivo, via fax o email, una specifica istanza contenente le generalità del richiedente, i dati circa le dimensioni e il materiale utilizzato, le fotografie della bandiera e il settore in cui verrà esposta. Solamente in caso di risposta positiva da parte del club sportivo, la bandiera potrà trovare ingresso all’interno dello stadio.
Se la procedura appare giustificata per evitare striscioni o bandiere che veicolano messaggi di odio, intolleranza o dal contenuto razzista, in presenza di bandiere innocue, cioè prive di connotati di pericolosità sociale e capacità lesiva, essa appare del tutto inappropriata e irragionevole; per di più, in questo caso, la misura inibitoria applicata dai rappresentanti della società sportiva non sembra neanche fondata per le seguenti ragioni giuridiche. La bandiera è un emblema foriero di messaggi informativi tant’è che nel nostro ordinamento è previsto il reato di vilipendio al tricolore. Inoltre, la bandiera viene percepita e riconosciuta come un segno distintivo della propria individualità politico-sociale, dei valori e degli ideali che essa rappresenta e costituisce così un tratto della personalità umana.
Anche per queste ragioni, il suo utilizzo, come ha ben colto la giurisprudenza statunitense, è da annoverare nell’alveo della libertà di espressione, garantita dal Primo Emendamento della Costituzione americana, che ne tutela e salvaguarda la sua applicazione in ogni forma e modo, senza grandi limitazioni.
Per una vicenda non troppo distante da quella attuale, la nostra Corte Costituzionale, con la sentenza n. 189 del 1987, si è pronunciata dichiarando la illegittimità costituzionale di una legge del 1929 che prevedeva il divieto di esporre in pubblico bandiere estere senza la preventiva autorizzazione delle autorità politiche locali e ciò sul presupposto della necessaria coesistenza di altri valori e ideologie di cui le bandiere sono portatrici e della irrazionalità della sanzione.
Sulla scorta di queste riflessioni, l’utilizzo della bandiera, grazie alla sua carica evocativa e semantica, rientra tra i diritti fondamentali dell’individuo quale è l’identità personale e la libertà di espressione; e qualora tale emblema non contenga simboli dotati di carica offensiva o di allarme sociale, la sua esibizione va ricondotta negli artt. 2 e 21 della Costituzione, che nessuna determinazione ministeriale potrà mai mortificare.

Pieremilio Sammarco (docente di Diritto), “Libero”.