covid-19 polinesia francese

Nelle prime giornate della pandemia gli abitanti della Polinesia francese, contro ogni previsione, sono brillantemente riusciti a contenere il diffondersi del Covid, con appena 62 persone positive delle quali 6 ricoverate in ospedale. Dal 15 luglio, riaperte le frontiere e ripresi i voli internazionali, si è avuto un primo momento di tranquillità, reso possibile grazie alla griglia dei due test obbligatori per chi arriva: il primo da effettuare 72 ore prima della partenza; poi l’auto test, con kit consegnato all’atterraggio in aeroporto, da eseguire 4 giorni dopo l’arrivo. Una doppia indagine per essere sicuri di identificare le persone positive, evitando che sfuggano durante il “periodo finestra”.
L’alto commissario, rappresentante della Francia in Polinesia francese, e il presidente hanno riaperto le frontiere per far ripartire l’economia del Paese, in particolare il turismo (anche se questo rappresenta la metà di quanto versa annualmente la Francia).
La verità è che non si volevano bloccare i 3000 funzionari, tra gendarmi, insegnanti e impiegati, in arrivo dai vari angoli della Francia e dai suoi territori sparsi nel mondo. “Vengono per lavorare, saranno controllati”, aveva assicurato l’alto commissario, garantendo una certa sicurezza alla popolazione dubbiosa.
Ma qualcosa è andato storto.
Proprio uno di questi funzionari non ha avuto la pazienza di aspettare i risultati del secondo test e ha partecipato alla serata in occasione della Festa di Bayonne nel ristorante Le Piment Rouge, dove 150 persone si sono stipate in uno spazio chiuso, adatto a ricevere forse 30 clienti, bevendo ciascuno nel bicchiere del vicino per sottolineare una fratellanza che in questo difficile periodo sarebbe meglio dimostrare in altro modo.
“Saremo gli unici al mondo a celebrare la Festa di Bayonne”, annullata nella sua città d’origine a causa del coronavirus, annunciava tronfio il proprietario del ristorante pensando già all’ottimo guadagno che avrebbe ricavato, incurante delle norme igieniche. E questo è stato il primo focolaio.
Alla serata partecipava un gendarme appartenente alla brigata mobile, uno di quelli in servizio per qualche mese come rinforzo nei Paesi d’oltremare francesi; il quale l’indomani, alla grigliata di addio, ha accuratamente distribuito il virus in caserma, tanto che dei 72 militari rientrati in patria, 51 erano positivi.
Ora, al 27 agosto, 353 persone risultano positive, 9 in ospedale delle quali 3 in terapia intensiva. Il virus circola liberamente e non è più possibile risalire ai focolai originari: non resta che sperare che l’epidemia non cresca a livello esponenziale e proteggersi applicando i gesti barriera… ma applicandoli bene, non come mostra in televisione l’alto commissario, tenendo la mascherina sul mento.
I giornali americani sconsigliano di venire nelle isole polinesiane, dando un colpo a quel turismo – ripreso per appena il 10% rispetto all’anno precedente – nel nome del quale si sono aperte le frontiere.
Tutto questo era necessario? Per la “ragion di Stato” evidentemente sì.

 

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L’alto commissario francese Dominique Sorain.