Per il momento sono tre. Ma, continuando con il clima che avviluppa la tragica vicenda (sono ormai migliaia i curdi in sciopero della fame), esiste il fondato timore che la lista sia destinata ad allungarsi.
La notizia è del 23 marzo. Ayten Becet (24 anni, in prigione da sei) si è data volontariamente la morte nel carcere di Gezbe per protestare contro l’isolamento imposto a Ocalan.
Le autorità turche hanno già provveduto a portar fuori dalla prigione il corpo della prigioniera politica verso una località sconosciuta dove, presumibilmente, verrà sepolta di nascosto. Il regime infatti vuole assolutamente evitare che ai funerali possano presenziare centinaia, migliaia di curdi per esprimere solidarietà ai prigionieri e severa condanna per lo Stato turco che assiste impassibile al mortale stillicidio.
Del resto è quanto accaduto anche dopo la recente morte di un altro prigioniero (per lo stesso motivo: fine dell’isolamento e liberazione dei prigionieri politici), Zulkuf Gezen. Anche i suoi funerali (già si preannunciavano ampie mobilitazioni) si sono svolti privatamente e vi hanno potuto partecipare solo pochi familiari.
Come dicevo, al momento sono già tre i militanti curdi che hanno messo in pratica il suicidio di protesta dall’inizio dello sciopero della fame. Infatti il 22 marzo è deceduto anche Ugur Sakar che si era immolato con il fuoco il 20 febbraio davanti al tribunale di Krefeld, in Germania.
Ugur, attivista curdo di 43 anni, è deceduto in una clinica di Duisburg dopo un mese di agonia per le gravi ustioni riportate.
Oltre che per l’isolamento imposto al fondatore del PKK, intendeva protestare per la repressione subita dal movimento curdo anche in Germania e per l’indifferenza – sorda e cieca – sinora dimostrata dall’opinione pubblica.

curdi scioper della fame morti

AGGIORNAMENTO

Come temevo, tre non sono bastati. Un’altra prigioniera politica curda in sciopero della fame si è tolta la vita. Rinchiusa nella prigione di tipo T a Oltu (provincia di Erzurum) Zehra Saglam (amareggiata – ipotizzo – per la scarsa, quasi nulla visibilità che a questa lotta, e alle ragioni di tale lotta, viene data dai media) ha inteso così levare la sua estrema protesta. Come il giorno prima aveva deciso un’altra prigioniera, Ayten Becet.
Un inciso personale, lungo. Questo non è un commento, tantomeno un articolo, ci mancherebbe. Nemmeno un necrologio. Vorrebbe essere – questo sì – un’invettiva contro tutti coloro che, potendo darne notizia, fingono di ignorare l’orrore di quanto sta accadendo e di cui i suicidi di protesta, tre in una settimana, rappresentano appena la punta dell’iceberg.
Poi non dite che non lo sapevate. Ho un elenco, piuttosto lungo, di testate (sia cartacee sia in rete) e gestori di blog che – di solito almeno – mi pubblicano di tutto e di più (anche cazzate talvolta, lo ammetto), dalle questioni ambientali alla memorialistica, dal “come eravamo” ai necrologi. Anche sui curdi, almeno quando si parla dell’eroismo di coloro che combattono lo Stato islamico salvando il culo alla vecchia Europa. Ma stavolta, sulla faccenda del lungo sciopero della fame che coinvolge ormai migliaia di persone, devo amaramente constatare che preferiscono stendere un impietoso silenzio.
Anche alcuni che sullo sciopero del 1981 dei Repubblicani irlandesi hanno costruito gran parte della loro carriera e reputazione.
Ma i curdi non sono cattolici, peccato!
Comprensibile, a questo punto, l’appello di Leyla Guven affinché altri prigionieri non seguano la medesima strada, quella di autosacrificarsi per protestare sia contro l’isolamento per Ocalan, sia contro le condizioni carcerarie, sia contro il regime fascista turco. Nel suo invito a non cedere all’amarezza e alla disperazione Leyla aveva spiegato che

per la prima volta nella nostra storia, migliaia di persone resistono indefinitamente per spezzare l’isolamento. Nessuno può affermare che queste azioni non produrranno alcun risultato. Noi otterremo certamente dei risultati e vinceremo, di sicuro.

Me lo auguro anch’io, pur con qualche riserva. Il cinismo, l’indifferenza di cui finora han dato prova l’opinione pubblica e le istituzioni internazionali non mi inducono all’ottimismo.