Quando Nanny Loy parlava in casteddaiu

Il teatro etnico sconta da sempre la penalizzazione di strutture precarie e finanziamenti inadeguati. Nonostante queste difficoltà, l’associazione ARTE di Cagliari porta avanti con tenacia il suo Circuito Regionale Teatro Etnico dalla fine degli anni ’80, proponendo anche quest’anno un denso cartellone di spettacoli nei comuni dell’isola, mettendo in scena vicende legate a filo doppio alla faticosa maturazione civile e culturale dei sardi, esaltando il ricordo di persone che hanno rappresentato l’ansia di cambiamento e di innovazione del tessuto culturale isolano.

Un esempio è l’intreccio tra teatro, oralità e memoria nell’allestimento dal titolo Dietro lo specchio segreto, della compagnia Humus Teatro a cura di Giuseppe Podda, che esordisce nella stagione 2021 del circuito per proseguire nel 2022 con il sostegno delle associazioni locali e dell’Assessorato Cultura della Regione Sardegna.
Dietro lo specchio segreto nasce da pensieri, parole, scritti e progetti del regista sardo Nanni Loy, come la sua storia d’amore, di impegno e di lotta politica per il cinema, per il teatro e la televisione. Il titolo allude a una tecnica usata per la realizzazione di una sua celebre trasmissione televisiva –  Specchio segreto, appunto – in onda nel 1964 sulla RAI, con telecamere e microfoni nascosti, e soprattutto lo specchio finto che illude una persona di essere sola e di guardarsi riflessa mentre lo spettatore la vede.

dietro lo specchio segretoLa trama del lavoro teatrale è collocata alla fine degli anni ’60, quando Nanni Loy ritorna a Cagliari per una “rimpatriata” malinconica e struggente, per visitare i parenti e girare per la TV un breve servizio sulla squadra di calcio di Scopigno e di Riva. Un viaggio alla “ricerca del tempo perduto”, di quando era ragazzo e giocava dietro le mura di Castello, con coetanei usciti dalla stessa matrice sociale, giovani che trovarono la loro maturazione umana e ideologica discutendo in casteddaiu – la lingua sarda campidanese parlata a Cagliari – di letteratura americana, di jazz, di Ford e Renoir, di new deal, di rigore morale e politico, del rispetto per la personalità e le opinioni altrui, cioè di una serie di valori che schematicamente si potrebbero riassumere nella parola democrazia: una democrazia effettiva, alquanto diversa dalla democrazia formale.
Nella messinscena a parlare è direttamente Giovanni Loy Donà, nato a Cagliari il 23 ottobre 1925, laureato in giurisprudenza, con moglie e quattro ragazzi. Un padre di famiglia come tanti, vissuto fino a diciotto anni nel quartiere Castello, sotto la tutela del padre avvocato, la madre nobile e religiosissima (una Sanjust), i parenti devoti che si muovevano seguendo rigidi schemi e antiquati cerimoniali. Giovanni non è tuttavia diventato – come era nel programma del casato – un “uomo d’ordine”. Spinto dalle insistenze paterne e dalle pressioni dell’ambiente “per bene”, dopo la laurea diventa assistente nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma. Qui conosce alcuni giovani colleghi che si stanno muovendo in tutt’altra direzione: verso il teatro, il cinema, lo spettacolo in genere. E così anche Giovanni Loy Donà, conclusa un’esperienza esaltante come aiuto di Luigi Zampa e autore di documentari, finisce per seguire la sua autentica vocazione, quella di regista.

a cura di Francesca Moro