Lo spreco di cibo è uno dei principali problemi a cui il mondo contemporaneo deve far fronte. Secondo la FAO, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di cibo e agricoltura, un terzo della produzione di derrate alimentari per il consumo umano viene persa o buttata. Tradotto in cifre si parla di circa 1,3 miliardi di tonnellate all’anno. I motivi sono molteplici: dimensioni o forme non accettate nei mercati internazionali, impossibilità di conservazione nei luoghi di produzione, scarti casalinghi, di ristoranti, supermercati.
Eppure con una tale quantità di cibo perso durante le varie fasi di vita del prodotto, si potrebbe nutrire il doppio delle persone che oggi soffrono la fame, stimate in 800 milioni.
In questo contesto si inserisce l’associazione Solafrika, con sede a Tolosa e ad Ariège, che ha provato a porre rimedio a uno di questi problemi: la perdita di derrate alimentari a causa dell’impossibilità di conservazione del prodotto.

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L’effetto ventola dell’essiccatore solare: l’aria riscaldata passa attraverso i ripiani, asciugando i prodotti senza “cuocerli”.

Durante un viaggio in Mali e Mauritania nel 2007, i membri dell’associazione hanno riscontrato che solo il 20% dei manghi prodotti veniva consumato, mentre la restante parte marciva perché non si poteva conservarla adeguatamente. Come se non bastasse i bambini della zona, e di tutta l’Africa Sub Sahariana in generale, soffrono di carenze vitaminiche e, ironia della sorte, il mango ne è particolarmente ricco, principalmente di vitamina A e C.
La soluzione individuata da Solafrika è piuttosto semplice: essiccatori solari. Il principio è molto semplice, l’aria entra dalla parte bassa, una cassa in legno, viene riscaldata grazie ai raggi solari che colpiscono una lastra di vetro (o di plexiglass) e vengono assorbiti da una lamiera nera posta sotto di esso, che ne impedisce l’uscita avendone modificato la lunghezza d’onda. L’aria, come sappiamo, scaldandosi tende a salire ed è per questo che è indispensabile un foro d’uscita nella parte superiore dell’essiccatore (dopo aver attraversato la camera con l’alimento che si vuole disidratare) che si trasformerebbe altrimenti in una sorta di forno.
Questo semplice ma pratico strumento permette l’essiccazione del cibo in modo decisamente più sicuro dal punto di vista igienico rispetto all’esposizione all’aria aperta, evitando che esso venga a contatto con insetti che ne favorirebbero la putrefazione.

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Vista anteriore e posteriore dell’essiccatore.

Nel 2009 il progetto è stato esportato anche in Senegal, insieme all’associazione Via Brachy, a Keur Samba Yacine, nel sud del Paese, e nel villaggio di Yayeme, nei pressi del Parco Naturale del delta del fiume Saloum. “Quasi il 75% dei manghi andava perso”, dice Nicolas Delrieu, da anni una delle colonne portanti di Solafrika. Delrieu, già responsabile del progetto Toilettes sèches (per trasformare le deiezioni umane in concime attraverso un processo di digestione aerobica), ora si occupa principalmente di progetti internazionali e nazionali per far avvicinare i giovani al mondo dell’agricoltura biologica.
“Alcuni miei colleghi”, prosegue, “hanno appoggiato una cooperativa per avviare un’attività economica in loco basata sulla frutta essiccata. Ma, secondo me, c’è un grosso limite alla base di questa attività: per quanto venga valorizzata la frutta essiccata con questo metodo, i locali non la comprano come la frutta fresca. Devono quindi inviarci una parte della produzione in modo da venderla in Francia. Almeno questo dà un’alternativa (piccola dato che si parla di qualche quintale) ai manghi provenienti dal Burkina Faso, essiccati con il gas. A proposito del Burkina Faso, alcuni membri della cooperativa operante in Mali si sono recati nel Paese per condividere e insegnare a costruire degli essiccatori solari come quelli che essi stessi utilizzano”.
Sono state fatte sperimentazioni anche con noci di cocco e cipolle, e i risultati sembrano incoraggianti.

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Ma quali sono i benefici di questi essiccatori solari sviluppati da Solafrika? Come dicevamo, in primis per una questione igienica, l’eliminazione del contatto diretto con gli insetti come avviene inevitabilmente con l’essiccazione all’aperto; inoltre “uno dei vantaggi”, secondo Delrieu, “è quello di preservare vitamine ed elementi nutritivi, di cui questi frutti sono ricchi, molto meglio e in maniera molto più sostenibile rispetto a quanto avviene con l’esposizione diretta ai raggi del sole e, soprattutto, rispetto al metodo dell’essiccazione con il gas”.
In una situazione che vede la popolazione mondiale crescere in maniera esponenziale (secondo le ultime stime dell’ONU raccolte nel report World Population Propects: the 2015 Revision saremo 9,7 miliardi nel 2050), appare sempre più indispensabile affrontare il tema dello spreco del cibo, soprattutto alla luce dell’enorme divario che divide non solo i Paesi del cosiddetto Nord del mondo da quelli del Sud, ma anche all’interno degli stessi Stati più industrializzati, dove la forbice tra ricchi e poveri (o nei pressi della cosiddetta soglia di povertà) si allarga sempre più, togliendo spesso l’accesso anche a beni e servizi considerati primari.
L’esempio di Solafrika è solo uno dei tanti che cercano di rendere migliore la vita di popolazioni che sono state depredate del proprio territorio. Bisogna partire dal basso, dalla popolazione locale, prestando attenzione alle necessità e ai suggerimenti di chi il territorio lo vive, perché solo così si può sperare di aiutare davvero la gente; quindi, per dirla con le parole di Ernesto Sirolli, cooperante e facilitatore d’impresa di fama mondiale: “Volete aiutare qualcuno? State zitti e ascoltate!”.