Locandina

 

Non molti sanno che nell’arcipelago più settentrionale della Polinesia francese, le Isole Marchesi, ogni quattro anni si tiene un festival che raggruppa canti e danze dell’intero arcipelago.
L’ultimo, svoltosi nel dicembre scorso a Hiva Oa, è stato grandioso. L’inaugurazione nella maestosa e ampia Baia dei Traditori, con la sua vigile Sentinella, lo scoglio che accoglie chi arriva via mare, ha lasciato tutti senza fiato.
Il tema di quest’anno era Haahua i te tumu, il ritorno alle radici, all’essenziale.
La popolazione di ogni isola ha sviluppato il tema liberamente, ricercando nei racconti degli anziani per trovare antiche leggende, creando nuove coreografie dai vecchi ricordi.
Un impegno enorme per l’isola ospitante, Hiva Oa, non solo organizzativo, ma anche di ricerca e di esecuzione. Si è puntato molto sui bambini, che si sono graziosamente esibiti e hanno accolto al porto e in aeroporto i visitatori del festival delle Isole Marchesi. Un ottimo modo per scolpire nelle giovani menti le antiche tradizioni.
Nuku Hiva, l’isola principale dell’arcipelago, si è presentata come sempre con il più alto numero di danzatori: coreografie e danze, realizzate da questa moltitudine, hanno lasciato gli spettatori a bocca aperta.

L’isola di Tahuata ha riproposto la cerimonia dell’imbalsamazione, riservata ai soli capi: il corpo del defunto veniva cosparso di oli profumati per favorire il distaccamento della carne dalle ossa; queste venivano poi riposte in una caverna difficilmente accessibile, custodite dentro una piroga che avrebbe aiutato l’anima nel suo viaggio.
Ua Huka ha svolto una scrupolosa ricerca nel settore dei canti, proponendo melodie che non si sentivano da almeno cinquant’anni, oltre a ricordare la catena umana resasi necessaria per costruire un fortino in montagna, dove ognuno ha passato le pietre dalla riva del mare fino al luogo prescelto per difendersi dagli attacchi nemici.
All’isola di Ua Pou si deve la nascita di questi festival, nella persona di Toti, che ha fortemente voluto questa riappropriazione delle antiche usanze, coadiuvato nientemeno che dal vescovo delle Marchesi. La Chiesa ha messo il tapu, il tabù, e la Chiesa lo ha tolto.

Gran Tiki
Gran Tiki

Fatuiva, forte della sua autenticità conservativa – priva com’è di un aeroporto – ha esibito magnifici costumi in tapa, il tessuto vegetale realizzato battendo la corteccia di quattro particolari specie di alberi; e, oltre alla danza dell’uccello raro, eseguita con maestria da Vahane Tametona, nome che significa orchidea selvaggia, ha regalato una magnifica danza di gruppo.
Fra i tre gruppi dei marchisiani che vivono a Tahiti, spiccava per energia quello dei Taki Toa, che ha scelto di raccontare l’origine del tatuaggio; certo avvantaggiati dal numero di abili tatuatori che fanno parte di questa associazione, come i fratelli Salmon e Varii, il loro presidente.
Il gruppo ospite, che arrivava dalle lontane Gambier, l’unico arcipelago a essere contenuto in una laguna, ha ballato la transizione dalla fede animistica a quella cattolica. Uno stile completamente differente dalle danze marchesiane, come lo e’ lo ’ori Tahiti, la danza dell’isola principale.
Il festival si è svolto in tre vallate: Atuona, Taaoa et Puamau, ridando vita agli antichi siti, ma anche popolando la cittadina di Atuona di artigiani e ballerini.
Quando il Grande Tiki della valle piu remota dell’isola si è animato, ho provato un brivido, e non credo di essere stata l’unica…
La parola chiave, filo conduttore di tutti questi festival (l’ultima edizione è stata la decima), è matavaa, ascolta con attenzione, apri il tuo cuore, lascia che parole e musica possano entrarvi.
Il prossimo si terrà a Ua Pou nel 2019, fra due anni, mentre nel 2017 avrà luogo un minifestival a Tahuata, isola raggiungibile dalla vicina Hiva Oa con quaranta minuti di agitata navigazione. Si sa, le cose belle vanno meritate.

Inaugurazione Festival
L’inaugurazione del X Festival delle Isole Marchesi.

Le Isole Marchesi e la loro mitologia

La creazione

Al tempo dei tempi vivevano Atea e Atanua, giovane coppia. Un giorno Atanua, la donna, disse ad Atea di essere stanca di dormire qua e là, e di volere una casa. Il povero Atea, non sapendo cosa fosse una casa, chiese aiuto al dio Paieeo che di invenzioni ne aveva fatte già parecchie; questi promise di aiutarlo a costruire insieme la casa, lavorando un’intera notte.
Appena tramontato il sole si misero all’opera: cominciarono con Ua Pou il buco dei pilastri, poi Hiva Oa la lunga trave principale che posarono sopra le colonne, che si innalzavano belle, forti, dritte verso il cielo, continuarono con Nuku Hiva, le putrelle della capriata, per coprirle con Fatuiva, il rivestimento vegetale del tetto.
Quando Tahuata, la luce scintillante del giorno, iniziò a farsi largo nella notte e l’uccello Molopu iniziò a cantare con la sua voce melodiosa, mancava solo Ua Huka, il buco dove gettare i detriti vegetali.
A questo punto i due chiamarono Atanua, la donna, che vedendo il frutto del loro lavoro, ammirata, lanciò un grido: “Eiao, Eiao!”
Così nacque l’arcipelago Enua Enana, la terra degli uomini, oggi conosciuta con il nome di Isole Marchesi: il navigatore spagnolo Alvaro de Mendaña che accidentalmente le scoprì nel 1595 cercando le isole Salomone, darà loro questo nome in onore del finanziatore della sua spedizione, il viceré del Perù, Garcia Hurtado de Mendoza, marchese de Cañete.
Le sue isole: Nuku Hiva, la più grande, Hiva Oa, dove sono sepolti Gauguin e Breil, Tahuata, con la sua strada reale, Fatuiva, la selvaggia, con la magnifica baia delle verghe, Ua Pou dai 12 picchi, creati dall’implosione del vulcano, Ua Huka, la più arida, la disabitata Eiao, e la piccola Molopu.

Il fuoco arriva a Fatuiva

La dea Pele era troppo stanca, aveva tanto lottato negli ultimi tempi, così decise di trovare un posto remoto dove potersi riposare. Arrivò in un’isola lontana, urtandone la sommità della roccia, sulla quale lasciò un’indelebile macchia rossa; si posò a terra assumendo le sembianze di una giovane fanciulla di rara bellezza, il corpo sinuoso da danzatrice e i lunghi capelli rossi. Giunta sulla spiaggia si mescolò, prendendone la forma, agli altri granchi, i piccoli granchi neri dalle lunghe chele, mantenendo il suo colore rosso che rendeva facile distinguerla in mezzo agli altri. Volò sulla montagna con l’aspetto del piccolo uccello dalle piume rosse, il vini ura, l’uccello sacro, fino ad arrivare in mezzo alla vallata, luogo che ritenne giusto per fermarsi. Qui si manifestò sotto le sembianze di donna adulta, sempre con i lunghi capelli color del fuoco. Fu facile per Mauike, il toa (il guerriero dell’isola), innamorarsi perdutamente di lei, ammaliato al primo sguardo.
La dea si riposò per giorni e giorni fra le braccia del nuovo amante, alternando schermaglie amorose al sonno profondo. Quando sentì di aver ben riacquistato le forze, prima di andarsene volando via come sempre, volle lasciare un regalo al bel guerriero, qualcosa che non l’avrebbe fatta mai più dimenticare, un importante regalo per lui e gli altri abitanti dell’isola.
Fu così che il fuoco arrivò a Fatuiva. E ancora oggi il culto di Pele, la divinità del fuoco originaria del cratere di Kilauea sull’isola di Hawaii, è vivo in questa isola remota. Resta quindi uno stretto legame con l’isola hawaiana, dove la dea passa il suo tempo a litigare con la dea del mare, sua sorella, sputando fuoco e lava incandescente dal centro della terra nei vorticosi flutti che la contrastano.
Abbiamo visitato il marae della dea accompagnati da un giovane ballerino dai capelli rossi: “È uno della famiglia”, ci hanno detto all’ufficio del turismo (riferendosi alla famiglia di Pele). Ci siamo arrampicati con lui, seguendolo fra le erbe alte che invadono il sacro luogo, con la riverenza di chi sa di trovarsi in un posto fuori dal comune. È un’isola priva di aeroporto, difficile da raggiungere: 5 lunghe ore in mare su una piccola imbarcazione in balia delle onde, che in questo tratto di oceano sono sempre in agitazione.

Momento
Un momento della manifestazione, giunta al decimo appuntamento.

La leggenda della hakamanu, la danza dell’uccello

Nella vallata di Hatihe’u sull’isola di Nuku Hiva, Tahiatemata, la bella sorella dello hakaiki nui, il grande capo dei taipi, è appena spirata. Tutta la tribù si riunisce per celebrarne solennemente i funerali. Tutti sanno che lo spirito di un defunto dispone di tre giorni per lasciare definitivamente il suo corpo, intervallo che gli serve per ricordarsi di tutti i piaceri della vita. Nell’ultimo giorno della sua esistenza, la giovane aveva eseguito la hakamanu, la danza dell’uccello. La melodia in accompagnamento ai suoi movimenti sgorga diretta dal cuore delle donne, le genti della vallata sono pietrificate: non hanno mai visto nessun’altra della tribù danzare con la grazia e la maestà di Tahiatemata.
Solo quando l’ultima nota della hakamanu si spegne, lo spirito della principessa si alza in cielo, appoggiandosi su un raggio di sole, lasciando il corpo che bisognerà far seccare, spalmare di pani, olio di cocco, e di altri oli profumati per imbalsamarlo. Come tutte le anime degli abitanti della Enua Enana, la Terra degli Uomini (così si chiama l’arcipelago delle Marchesi), l’anima della bella danzatrice prende la direzione di capo Kiukiu, a levante dell’isola di Hiva Oa.
Nello stesso momento, nella baia di Puama’u, sempre a Hiva Oa, un giovane pescatore seduto su una roccia vicino alla riva lancia la sua lenza in acqua e la ritira. Le onde si infrangono sulle rocce e, quando defluiscono, sulla sabbia si disegna un’immagine sempre più netta agli occhi del pescatore: ha forma umana! Come un uccello che raccoglie le sue ali per volare via, Hi’imoana il pescatore prende nelle sue braccia l’immagine di sabbia deposta dal mare. Eccola tutta intera… è una donna bellissima… La porta alla sua ha’e (casa), la lava, le offre i fiori più rari; capisce immediatamente di amarla… Presto verrà al mondo loro figlio, che crescerà a fianco di Hi’imoana e della bella forestiera. Lo chiameranno Poena’iki. Di tanto in tanto, la madre racconta al bambino la storia della sua famiglia che regna a Nuku Hiva nella vallata di Hatihe’u, sul popolo dei taipi.

Danza uccello
La danza dell’uccello.

Poena’iki arriva all’età di dieci anni. Curioso di conoscere la culla dei suoi antenati, decide di unirsi ai giovani guerrieri di Puama’u e di partecipare alla caccia all’uomo, lungo le rive della lontana isola rivale. I navigatori mancano di esperienza, girano intorno a Nuku Hiva, abbordano nel punto sbagliato, vengono catturati e mangiati dagli uomini di Hatihe’u. Solo il giovane ragazzo viene risparmiato, ma è gettato nella fossa del ma, dove veniva conservato il frutto dell’albero del pane fermentato. Gli viene lasciata solo una piccola apertura, fra le pietre che formavano il pozzo, larga appena per la bocca e il naso. Il povero ragazzo si dispera, urlando incessantemente il nome di sua madre.
Un giorno, un grande to’a, guerriero, presta attenzione ai lamenti del ragazzo e crede di udire il nome della sorella del suo capo, morta da parecchi anni. Corre verso l’hakaiki:
“Uhutete, hai forse autorizzato qualcuno a portare il nome della tua sorella defunta?”
“Certamente no, perché?”
“L’ho udito pronunciare dal ragazzo prigioniero, pretende che sia sua madre”.
“È impossibile! Andate a prenderlo!”
Il guerriero esegue immediatamente l’ordine e porta Poena’iki al cospetto del capo. “Se tu sei il figlio di questa donna, devi riconoscerne il corpo”.
Due uomini robusti vanno a prendere la vaka tupapa’u, la piroga sarcofago che accompagnava le anime nel loro ultimo viaggio, nella quale giaceva il cadavere disseccato, e lo mostrano al ragazzo. Questi, smarrito, riconosce la madre.
“Allora”, dice il capo Uhutete, “se mia sorella, che per quanto ne so io non ha mai procreato, è tua madre, ti deve aver insegnato un rito particolare che solamente lei era in grado di eseguire”. Poena’iki non lo sa, sua madre non gli aveva rivelato nulla. Lo rimettono nella fossa.
Nel frattempo a Hiva Oa, nella vallata di Puama’u, i genitori sono inquieti per la sorte del proprio figlio e il padre decide di partire in sua ricerca. Tahiatemata sente che è giunto il momento di rivelare la sua vera natura: “Sono un’anima errante. A suo tempo non ho accettato di raggiungere gli altri kuhane nell’havaiki dei morti, amavo troppo la vita! Per questo mi hai trovata sulla spiaggia. Prima che tu parta alla ricerca di nostro figlio, voglio insegnarti la hakamanu, solo io ne conosco i gesti e so eseguirli con tale grazia da riempire di meraviglia gli uomini e le donne che vi assistano”.
Così Hi’imoana, più innamorato che mai, parte per l’isola di Nuku Hiva, ignorando che non vedrà mai più Tahiatemata viva. Grande è l’oceano per l’uomo solitario… La vela e la piroga uniscono a lungo i loro sforzi per portare il pescatore fino alla baia di Hatie’u. Con una foglia di banano in mano in segno di pace, arriva davanti all’hakaiki. Uhutete gli presenta il corpo seccato nella vaka tupapa’u e gli dice: “Sostieni che la mia defunta sorella sia la tua compagna, dimostramelo!”
Hi’imoana, carico d’emozione ma forte del suo segreto, chiede che venga liberato suo figlio e che vengano convocate le donne per cantare la hakamanu. A Hatie’u, sulla grande tohua, lo spiazzo pubblico di Hikoku’a le voci intonano la melodia, che non era più stata cantata dal giorno della morte della principessa, e il padre, con la grazia e l’esattezza dei movimenti che gli erano stati insegnati, esegue la danza dell’uccello. Tutti restano pietrificati.
“Che si porti del cibo per mio nipote e per suo padre”, balbetta Uhutete, la voce rotta dall’emozione.
La hakamanu, la danza dell’uccello trait d’union tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi, è l’inno all’amore e alla vita nel Enua Enana, la Terra degli Uomini.
Quando il festival si avvicina, tutte le ragazze fremono per essere le protagoniste di questa danza, che ai nostri giorni viene eseguita in tutte le isole, con le dovute differenze: Fatuiva ha la danza dell’uccello raro, Ua Pou quella del corteggiamento, i ballerini di Nuku Hiva la ballano in gruppo…

La leggenda di Makaia’anui

C’era un tempo a Hakamo’ui un capo dotato di grande mana (potere), che si chiamava Paetini.
Un giorno Akau’i sentì parlare del Mana di Paetini. Akau’i era uno dei capi dell’isola di Hiva Oa, precisamente della valle di Hanapa’aoa. Akau’i domandò alle sue genti se ne sapessero qualcosa.
“Sì, abbiamo sentito dire che Paetini, capo di Ua Pou ha un grande mana”, rispose il popolo.
“Vado a Ua Pou, da Paetini, a verificare questo suo mana di cui tutti parlano”.
Si mette in viaggio; cammina e cammina, arriva da Paetini a Hakamo’ui.
“Dici di avere mana”, gli dice Akau’i. “Sarò io a farti vedere un maiale incredibile”.
“Dove pensi di trovare questo maiale?” chiede Paetini.
“Nella mia isola, a Hanapa’aoa. Ora lo chiamo, così potremo accompagnare la bevuta di kava con la sua carne”, risponde Akau’i.
“Come può arrivare da Hiva Oa, questo maiale? Ci separa un largo braccio del grande oceano…”
“Lascia che lo chiami”, replica Akau’i, “Verrà! Intanto, fa’ scavare un forno lungo sette braccia, perchè il mio maiale é lungo sette braccia e largo tre”.
“Un maiale lungo sette braccia?” Paetini è incredulo.
“Vedrai quando arriverà. Preparate il forno, che lo chiamo”.
Akau’i inizia a chiamare: “Makaia’anui, vieni, vieni qui!”
Makaia’anui aveva già sentito fin dal primo richiamo. Alza il grugno in aria, cercando di capire da dove venga la voce. Al secondo richiamo si alza. Tende l’orecchio verso Fatuiva per vedere se arrivasse da lì: no, niente. Tende l’orecchio verso Tahuata, nessun richiamo nemmeno da quella parte. Si volge verso Ua Huka e verso Nuku Hiva, nulla nemmeno in quella direzione.
Allora Makaia’anui tende l’orecchio verso Ua Pou.
Akau’i continua a chiamare: “Makaia’anui, Makaia’anui, vieni, vieni qui”.
Makaia’anui parte di gran carriera, arriva alla riva di Hanapa’aoa e ascolta ancora la voce che lo chiama. Al quarto richiamo riparte gettandosi nel mare; nuota, nuota fino ad arrivare alla riva di Pa’aumea, dove risale a terra. Qui esisteva una roccia chiamata roccia tapu, proibita. Makaia’anui solleva questa roccia che si fende, formando il passaggio dal quale Makaia’anui può salire verso l’interno. Da questo deriva il nome di questo passaggio fra le sue rocce: il dente di Makaia’anui. Mentre Makaia’anui saliva, i tonni cadevano dal suo dorso, erano rimasti impigliati fra i duri peli del maiale. I tonni continuarono a cadere dal suo dorso fino al colle Teavaihatona. Per questo la gente di una volta fissava dei peli di maiale all’amo per i tonni.
Makaia’anui sale, sale… Gli abitanti di Pa’aumea lo osservano lanciando esclamazioni di meraviglia, dicendo: “Che maiale prodigioso! Quanto é grande il maiale che sta salendo la montagna! Sale, sale, arriva in alto al colle chiamato Teavaite’aki. Quando Makaia’anui arriva al colle non riesce a passare per la sua grande taglia. Makaia’anui fa allora leva sul colle di Teavaite’aki che si apre, il suo grugno appare dal lato di Hakamo’ui. Scende, scende e arriva al luogo di riunione Ki’iki’ipukea. La gente resta pietrificata nel vedere quel maiale prodigioso. A lungo durò la meraviglia della gente davanti a Makaia’anui. Si sente la voce di Akau’i: “Muori Makaia’anui, muori”.
“Hum”, fece Makaia’anui.
Makaia’anui venne legato per il grugno con tessuto di tapa e morì.
Venne cotto nel forno di Ki’iki’ipukea, e tutto il popolo ne mangiò senza arrivare a finirlo. Anni e anni dopo, ne restava ancora il grasso che era colato sopra le pietre. Quando queste bruciano sotto i raggi del sole, il grasso ne trasuda.
Questa è la leggenda che ho udito dalla bocca dei vecchi. È anche grazie a essa che il maiale – selvatico o d’allevamento – ha così importanza nelle Isole Marchesi, tanto da rendergli omaggio con una danza che ripercorre le fasi leggendarie della sua vita.
Durante il festival si trovano ovunque graziosi ornamenti realizzati con le ossa di questo animale da abili artigiani: orecchini, braccialetti, collane…