Nella seconda metà di settembre, dal 18 al 28, ha avuto luogo il Festival Internazionale Ia Marae Te Ao, espressione idiomatica in reo Ma’ohi che sottolinea come diventi sacro il luogo (marae) dove l’arte si esibisce. La manifestazione, oggi alla sua settima edizione, è gestita da dieci anni da Jean-Marie Biret, fondatore e capo del gruppo Manahau, benché purtroppo i finanziamenti non vengano erogati regolarmente per renderla annuale.
Quest’anno gli ospiti erano polinesiani, ma il Festival in passato ha ospitato giapponesi, taiwanesi, e per il prossimo anno si aspettano ucraini e tasmaniani.
Da Aotearoa (Nuova Zelanda), il gruppo Ōpōtiki Mai-Tawhiti Te Whakatōhea (da Ōpōtiki, costa est dell’isola settentrionale), seguito da Whakatane e i Tepaula, gruppo di samoani, una grande famiglia composta da svariati cugini che vivono e lavorano a Auckland.
Trascorrere con i due gruppi ospiti e con i ballerini di Manahau questi dieci giorni, passando insieme giorno e notte, è stato un vero privilegio per me e mi ha permesso di capire meglio il significato delle loro danze. La sera dello spettacolo, mi è stato disegnato il moko, tatuaggio femminile che sottolinea l’appartenenza alla razza māori. Anche se temporaneo, ho avuto il privilegio di essere riconosciuta parte del gruppo.

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Moko, tatuaggio femminile che sottolinea l’appartenenza alla razza Māori,

Il primo incontro si è svolto a Fare Hape, nella valle di Papeno’o, luogo sacro al centro del cratere che ha generato l’isola di Tahiti. Due giorni di reciproca conoscenza e raccoglimento.


Abbiamo fatto un salto nella vicina isola di Mo’orea, ospiti della bella proprietà di Hinano Murphy dove i gruppi si sono prodotti in uno spettacolo circondati dalla natura selvaggia dell’isola. Qui è nata l’idea di realizzare una coreografia in comune, sulle note della famosa canzone del film di Walt Disney Vaiana, ballando tutti insieme. Qui sono iniziate le prove, quasi per gioco, nell’atmosfera allegra e rilassata di sempre, perfezionando man mano i vari dettagli.


I gruppi, oltre a sperimentare attività ludiche come la vela o il surf, hanno ballato e cantato in alcune scuole di Tahiti, per permettere ai più giovani di conoscere la cultura dei vicini Paesi polinesiani in tutta la sua autenticità.
Dopo lo spettacolo di prova dovuto agli sponsor durante la serata di gala, ha avuto luogo la rappresentazione finale nel Gran Teatro del Te Fare Tauhiti Nui, la Casa della Cultura.
Il gruppo ospite, Manahau, ha inaugurato la serata con la sua danza; leggiadra e precisa nei gesti come sempre, Marine Biret, migliore ballerina alla Heiva I Tahiti 2010.

 


Per la prima volta un gruppo di Samoa calca la scena del Gran Teatro di Tahiti.
I Tepaula introducono il recital con la canzone di ringraziamento Mua o:

Mua o
Mua ia ina mua o
Mua ia ma faasāo
Ua maualuga nei leasō
Ua pati taoto nei le fee’po

Tulouna le paia le aofia
Ia muamua pea le viiga
Leora lena tausia ta’ua (ta falanga)
Muamua lava le foafoaga
Mulimuli ane fai le tagata
Le Atua ua fa’a fetai uo mea una
Ia viia, le Atua o Sapacta
Le tamā le alo faapea foi le agaga
La maualuga, lou nofoaga
E lelei, E lelei Atua

Con rispetto per ognuno qui presente,
Innanzitutto gloria e lode
All’unico che che ci protegge e ci guida
L’unico che prima ha creato i cieli e la terra
Signore nostro Dio, ti ringraziamo per ogni cosa.
Possa il nostro Dio essere glorificato
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo,
Ti adoriamo.
Tu sei Dio.
Il bene è con te.

A seguire la cerimonia della kava, bevanda che viene ricavata dalle radici della pianta Piper methysticum. Viene preparata da una ragazza in un apposito recipiente di legno posto al centro del gruppo, e servita prima alle persone più importanti.

 

 

Quando le ragazze ballano con in mano il coltello da guerra, rappresentano Nafanua, la ali’i (regina) e toa (guerriera) di Samoa appartenente al clan Sà Tonumaipe’ā, che ebbe i quattro titoli pāpā, i principali degli ali’i samoani. Dopo la sua morte venne venerata come dea nella religione polinesiana.

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Coltello da guerra della ali’i toa, regina guerriera, Nafanua

Secondo la mitologia samoana, la dea della guerra Nafanua era la figlia di Saveasi’uleo, il dio ali’i di Pulotu, un luogo storico, ma anche dell’aldilà per i guerrieri delle Samoa, qualcosa di simile al Valhalla. Pulotu è sia il luogo dove dimorano gli dèi, esistente prima della creazione, sia il luogo dove riposano le anime; il suo ingresso è nell’estremo ovest dell’isola di Savai’i, nel villaggio di Tufatafoe.
La madre di Nafanua era Tilafaiga, sorella di Taema, le leggendarie gemelle siamesi. A Tilafaiga il merito di aver portato a Samoa l’arte del tatuaggio.
Quando le ballerine alzano la lunga gonna per scoprire il loro particolare malu malu (tatuaggio) è per mostrare, oltre alla loro forza, la resistenza al dolore. Il particolare disegno, simile a quello di una calza ricamata, esalta la femminilità.

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Malu malu, tatuaggio tradizionale femminile di Samoa.

A Samoa sono diffusi i tatuaggi realizzati tradizionalmente, battendo sottopelle l’inchiostro con l’aiuto di un pettinino d’osso o di dente di squalo. Uno dei partecipanti del gruppo ne portava in vita e sulle cosce: per realizzarlo ha dovuto sopportare otto giorni di sofferenza, perdendo molto sangue, ma con notevole risultato.
Molto diverse dal ‘ori Tahiti, le danze samoane sono veloci e ritmate, hanno in sé un qualcosa di orientale. Simpatico quando mostrano come sanno divertirsi nei lavori domestici: i secchi entrano in scena per fare il bucato in diretta, viene mostrata la stuoia abilmente tessuta, le scope tradizionali puliscono il pavimento con allegria.
Al termine dello spettacolo entra in scena una ballerina vestita come Nafanua: stuoia come gonna, cintura di tapa, piume rosse sul copricapo quale segno regale. Non molti samoani vivono a Tahiti, allo spettacolo ne era presente una coppia: la signora non ha resistito e all’ultima danza è balzata sul palco per ballare insieme al gruppo!

 

Dopo l’entrata in scena di tre minacciosi guerrieri, anche il gruppo della Nuova Zelanda comincia lo spettacolo con il canto di ringraziamento, dal titolo Tūrou, che sottolinea quanto sia importante parlare sempre il reo Māori per evitarne l’estinzione.
Ricorda la migrazione dalla Polinesia a Ōpōtiki del loro antenato Tarawa, che ebbe come guida dei giovani pesci, da qui il nome del gruppo: pōtiki significa cucciolo, in questo caso avannotto, Mai-Tawhiti, che viene da lontano (Tahiti).
La canzone Kahuitu, è una waiata a ringa, simile alla ‘aparima, canto mimato con i gesti delle mani; celebra il sovrano Māori, la fede Ringatū del profeta Kooti Arikirangi, una sorta di sincretismo fra il Vecchio Testamento e la mitologia Māori che ricorda quella Mamaia, e la più recente religione chiamata Te Haahi Rātana del profeta Tahupōtiki Wiremu Rātana, il quale ricevette direttamente dallo Spirito Santo la rivelazione divina che lo spinse a unire il popolo Māori nell’adorazione dell’unico vero dio, fondando il 5 luglio 1925 la Rātana Established Church of New Zealand con sede a Rātana Pa, 20 km a sud di Wangatane (costa sud dell’isola settentrionale della Nuova Zelanda).
La canzone Iararararari è animata dai veloci movimenti dei poi, accessori che vengono fatti volteggiare a ritmo di musica, anticamente usati per sviluppare la flessibilità dei polsi necessaria nell’uso di armi da taglio. Possono essere realizzate con materiali vegetali: l’harakeke (Phormium tena) e il raupō (Typha orientalis), largamente presenti in Nuova Zelanda, o con materiali moderni per renderli più leggeri.
La canzone ci parla della navigazione su una barca da pesca, dell’arcobaleno che si forma grazie agli spruzzi del mare, di come la luna determini le maree e indichi il momento buono per la pesca, sottolinea i bei momenti da trascorrere sull’oceano.

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Poi antichi e moderni.

Non poteva mancare la Haka: questa – intitolata Toherauariki – racconta la guerra in seguito alla quale i Whakatōhea, loro tribù d’origine, subirono la confisca di 244.000 acri di terra (pari a 98.743 ettari) con il New Zealand Settlements Acts del 1863. La rinascita di questo popolo è stata lenta ma costante, fino ai nostri giorni e ancora continua. La Whakatōhea Māori Trust Board è il principale datore di lavoro di Ōpōtiki con i suoi 200 dipendenti.
Nei ra te kaupapa celebra la vita e ricorda ai māori quanto sia importante non perdere la propria identità. È una whakawatea, canto di commiato dal palcoscenico.

 

Ospiti della serata il gruppo Tamariki Oparo dell’isola di Rapa, la più a sud dell’arcipelago delle Australi diretta dall’eclettico Pierrot.
Le loro danze mantengono un’originalità oggi difficilmente raggiungibile anche nelle isole più remote.

 

Ha ballato con estrema energia il gruppo Taka Iki dalle isole Marchesi, l’arcipelago più a nord della Polinesia francese, dove quest’anno avrà luogo dal 16 al 19 dicembre il loro Festival quadriennale.