Vent’anni fa la grande famiglia oceaniana si riuniva per la prima volta a Tahiti in occasione del Festival dedicato ai documentari, che oggi ha un ruolo centrale in Oceania: come spiega Jean Philippe Lemée, direttore regionale del canale televisivo Polynésie la 1ère, “nel Pacifico siamo sparpagliati un po’ dappertutto, ma veniamo riuniti grazie al fifo”.
Per una decina di giorni, dal 4 al 12 febbraio, il Te Fare Tauhiti Nui – la Casa della Cultura dell’isola di Tahiti – ha ospitato il Festival Internazionale del Film Oceaniano, fifo, grazie al quale abbiamo potuto viaggiare nelle isole polinesiane e nei territori più remoti di questo continente, scoprendone storie, particolarità e problematiche.
Oltre ai 13 film in competizione, sono passati sugli schermi 12 opere non in gara ma non per questo meno interessanti: 8 cortometraggi e 9 film di fiction. A proposito di fiction, questo genere di pellicola è in forte sviluppo qui in Polinesia francese, grazie alla sua intelligente gestione: per esempio, Marie Eve Tefaatau scova i talenti autoctoni, lanciando appelli dal profilo FB della sua società di produzione, Pacific ProdTahiti. Non solo attori, ma anche sceneggiatori, registi, attrezzisti e tecnici, tutte le figure necessarie per realizzare un film con personale locale.
Alcuni di loro sono stati iniziati ai mestieri dell’audio visuale proprio negli atelier del fifo, dove hanno potuto prendere in mano, per la prima volta, una telecamera o cimentarsi nello scrivere una sceneggiatura.

Marie Eve Tefaatau (foto di M.E.Tefaatau).

“I nostri antenati viaggiavano più spesso con le piroghe, rispetto a noi che abbiamo mezzi moderni”.  “Ci siamo resi conto di essere più al corrente di quanto avviene a Parigi, New York, Tokyo, Pechino piuttosto che a Fiji, Nuova Caledonia, Papua Nuova Guinea”. Così commenta Heremoana Maamaatuaiahutapu, attuale ministro della Cultura in Polinesia francese, padre fondatore del fifo insieme al melanesiano Walles Kotra, originario di Tiga, piccola isola situata tra Lifou e Maré, in Nuova Caledonia.
Negli anni 2000 a Tahiti fioriscono vari canali televisivi, le immagini provenienti dal mondo intero innondano le case. “Abbiamo immediatamente compreso che, paradossalmente, il fiume di immagini faceva sparire l’Oceania”, spiega Walles Kotra.
Dalla sua prima edizione che ha riscosso un immediato successo, il fifo é diventato un appuntamento di dialogo tra isole e territori oceaniani, generando ricchi momenti di riflessione sulle problematiche del Pacifico.

festival cinema oceaniano fifo
Wallès Kotra e Heremoana Maamaatuaihutapu.

Le opere premiate

Grande premio della giuria – France Télévisions:

No Māori allowed, regia di Corinna Hunziker.
Quando i ricordi dolorosi vengono nascosti perché legati alla segregazione, ad atti razzisti uniti a gesti di violenza, bisogna forse tacere? La testimonianza di un professore in questo film neozelandese ambientato nella piccola città di Pukekohe.

1° premio speciale della giuria e premio giuria dei giovani:

Dame Valerie Adams: More than gold, regia di Briar March.
Ritratto di una donna fuori dal comune: quattro volte campionessa olimpica di getto del peso, questa sportiva originaria di Tonga dal fisico e dalla resistenza eccezionali è diventata un simbolo per la Nuova Zelanda.
“Perché ci vado? Perché posso”, diceva riferendosi alle Olimpiadi. Madre, moglie, sorella, davanti alla prova della malattia mostra ancora una volta di essere capace di battersi per vincere.

2° premio speciale della giuria:

Waan Yaat, sur une terre de la République française, regia di Emmanuel Desbouiges e Dorothée Tromparent.
Nuova Caledonia. Tragico episodio di sangue: il 5 dicembre 1984 a Waan Yaat, valle della regione di Hienghene, un gruppo di indipendentisti viene ucciso in un’imboscata: 10 morti e 5 feriti. Sono stati i coloni, terrorizzati dalla prospettiva di essere cacciati dalle loro terre. I corpi vengono martoriati senza pietà. Gli assassini ammettono il fatto, ma vengono assolti.

3° premio speciale della giuria:

Franklin, regia di Kasimir Burgess.
Oliver Cassidy percorre da solo, in canoa, il fiume Franklin in Tasmania. Vuole rendere omaggio a suo padre, che aveva seguito lo stesso difficile percorso negli anni ‘80, per unirsi ai manifestanti che volevano impedire la costruzione di una centrale idroelettrica.

Premio del pubblico:

Motu Haka, le combat des îles Marquises, regia di Raynald Mérienne.
Da più di 40 anni alle isole Marchesi i membri dell’associazione Motu Haka riuniscono, salvaguardano, valorizzano la loro cultura. Grazie ai loro sforzi, il popolo marchisiano può onorare le proprie origini e mostrarle con fervore in occasione del Matavaa, il Festival delle Arti Tradizionali. È la lotta per recuperare la propria storia, l’identità, e questo per le generazioni future.
I valori che sostengono sono universali, il loro combattimento è valido per l’intera umanità.
Da quando vivo in Polinesia Francese, non ho perso un Matavaa! Che ha luogo ogni quattro anni, a dicembre, prima di Natale, su una delle isole abitate dell’arcipelago, a turno.

Migliore cortometraggio documentario:

The Dreamlife of Georgie Stone, regia di Maya Newell.
È la storia fuori dal comune di una giovane trans in Australia, che è riuscita a far modificare la legge sul cambiamento di sesso. Ha saputo affermare la propria identità con il sostegno dalla famiglia.

Migliore cortometraggio di fiction:

Find where I belong, regia di Kahu Kaiha.
Nuova Zelanda, due uomini vivono in strada: John, il più anziano, sembra assuefatto a questo tipo di esistenza, mentre Elvis, marchesiano, sogna di tornare nella sua isola d’origine.

Grande premio del pubblico dei 20 anni:

Patutiki, l’art du tatouage des îles Marquises, regia di Christophe Cordier e Heretu Tetahiotupa.
Oltre all’aspetto rituale, ciò che contraddistingue il patutiki è la tecnica utilizzata per applicare i tatuaggi. Le isole Marchesi sono state il territorio più abitato della Polinesia francese, il tatuaggio marchesiano aveva una grandissima importanza e l’intera popolazione era tatuata. Per questo il tatuatore era il vero e proprio specialista, artista che sapeva esattamente cosa disegnare in base alla personalità, alla storia o al rango sociale del soggetto. Poteva invocare le divinità per essere guidato nelle proprie azioni.

In occasione di questo anniversario, è stato realizzato il film Ho 20 anni e mi chiamo fifo, con la regia di Jaques Navarro-Rovira, dove il festival viene impersonato dal poeta caledoniano Paul Wamo che ci accompagna attraverso i suoi 20 anni di film su varie tematiche: ambientali, politiche, storiche, culturali e sul nucleare.
E la serata finale tocca proprio quest’ultimo argomento, spinosissimo in Polinesia francese. La proiezione del film Les Oubliés de l’atome, regia di Suliane Favennec, punta il dito sulle centinaia di esplosioni atomiche condotte da Francia, Stati Uniti e Regno Unito nelle isole del Pacifico, al prezzo del sacrificio della popolazione locale. Le vittime della prima generazione sono oramai quasi tutte scomparse, ma le radiazioni lasciano più tracce del previsto: anomalie genetiche e tumori affliggono ancora oggi queste popolazioni.
È possibile visionare alcuni dei film nel sito di France TV e in quello del festival.