Nella terza serata, molto ricca, abbiamo tre gruppi per il ballo: l’appena fondato O Puna’auia in categoria hura ava tau, amatori, composto da giovani ballerini di questo comune; lo storico Heikura Nui e Teva i Tai in categoria hura tau, professionisti. Per il canto O Faa’a, dall’omonimo comune dal sindaco indipendentista, in categoria tārava Raromata’i e Tamari’i Mataiea in categoria tārava Tahiti.

O’ Puna’auia

Hina e te tumu ‘ōrā mātāmua
Hina e la scoperta del primo baniano

Gruppo composto da giovani provenienti dai quartieri del comune di Puna’auia, affinché, invece di gironzolare a vuoto per strada, possano essere iniziati alla ricchezza culturale della danza e del canto polifonico. La stessa iniziativa era stata fatta, sempre a Puna’auia, da Pierrot Faraire, quest’anno giurato per il canto della Heiva I Tahiti.
Hina passava le sue giornate a battere la corteccia per realizzare la tapa; lo faceva con tanto vigore che il dio Ta’aroa, creatore del mondo polinesiano, non sopportando il martellio, le invia un messaggero per pregarla di fare silenzio. Hina rifiuta furiosa, allora il dio Ta’aroa ordina al suo messaggero di colpirla con il suo ‘ōmore, rompitesta. Il colpo è così violento che Hina viene proiettata sulla luna. Da lassù osserva la terra e protegge i viaggiatori in cammino durante la notte, da qui il suo nome: Hina-Nui-Te-Ara’ara, la grande Hina che veglia.
Sulla luna trova un albero sconosciuto, ‘orā o baniano: sono i suoi rami e le sue radici a formare i disegni scuri che si percepiscono sull’astro notturno. I folti rami le forniscono la corteccia con la quale realizza la candida tapa per gli dèi. Un giorno mentre Hina sale sul ‘orā, inavvertitamente rompe un ramo con il piede; ancora oggi si può vedere una macchia chiara sulla luna. Il ramo cade attraverso lo spazio fino a Opoa, nell’isola di Ra’iatea, dove si radica dando vita al primo baniano sulla terra. Per questo motivo il grande albero non dà frutti e si può riprodurre solo trapiantandone un ramo.
Spettacolo semplice e carino, con belle trovate, come quella di far ballare l’ombra di Hina come se fosse proiettata sulla luna. Belli e semplici i costumi, il pareo bicolore nero e bianco annodato corto dei ragazzi è d’impatto, come il gran costume con la luna piena ben in vista sul copricapo.

‘O Faa’a

Te fanora’a a Tupaia
Il viaggio di Tupaia

Il comune di Faa’a, dove sorge l’aeroporto di Tahiti a cinque minuti di macchina da Pape’ete, ha come sindaco da più di trent’anni l’indipendentista Oscar Temaru, che sostiene caldamente le attività culturali legate alla tradizione.
La corale, con presidente il simpatico Pascal Mauahiti, ci presenta una parte della storia di Tupaia, il polinesiano imbarcato sulla nave del capitano Cook. Quest’anno si celebrano i 250 anni del viaggio leggendario, sempre visto con occhio europeo, mentre il gruppo ‘O Faa’a ci canta la straordinaria vita dell’eroe polinesiano.
Nato a Ra’iatea, da giovane aveva già visitato le varie isole Sottovento (da ovest a est: la bellissima Maupiti, Tupai, oggi inaccessibile zona militare, la perla del Pacifico Bora Bora, la sacra Ra’iatea che condivide la laguna con la selvaggia Taha’a, l’indipendentista Huahine), conosceva i venti, le correnti, le onde, aveva imparato i diversi nomi di uccelli marini e la posizione delle stelle. Taura Nui Faupapa, Ana mua, Ana muri erano le sue amiche non appena apparivano nell’avanzare dell’oscurità notturna. Aveva frequentato il Fare aira’a-upu di Opoa, la Casa della Sapienza della principale città dell’isola di Ra’iatea; membro della confraternita degli ‘Arioi, saltimbanchi sapienti, conosceva la storia del suo paese e la navigazione, fondamentale per il popolo Ma’ohi. Durante le guerre nelle isole Sottovento si rifugiò a Tahiti portando con se il To’o, immagine di dio, e il Maro  Ura, cintura regale, per posarli sul marae della famiglia di Amo, ari’i di Papara. In questo periodo arriva alla punta Te Fauroa l’Endeavour del capitano Cook. Tupaia, che li riceve a fianco della sua amante, la regina Purea, simpatizza con Banks, finanziatore della spedizione, che lo imbarca nel lungo viaggio di ritorno in Europa, dove non arriverà mai, perdendo la vita nell’insalubre Batavia, indebolito dalla cattiva nutrizione di bordo.
Se Cook avesse prestato attenzione agli usi dei polinesiani, avrebbe scoperto che il frutto dell’albero del pane, cotto e schiacciato, si conserva anche fino a trent’anni senza perdere le vitamine delle quali è ricco, e parecchie morti per malnutrizione o scorbuto si sarebbero evitate.
È successo uno strano fatto durante la prestazione di questo gruppo: appena hanno terminato di eseguire il loro primo canto, il tārava Raromata’i, mettendoci tutta l’energia possibile, si è sentita la voce di mama Iopa, presidente della giuria, chiedere di ripetere il canto perché non era stato sentito in cuffia da tutti i giurati, per un problema tecnico. Naturalmente la seconda prestazione è stata di livello inferiore, con voci e morale stanchi. Saranno loro attribuiti punti supplementari per supplire a questo inconveniente? 

Heikuranui

Te fauf’a tupuna
L’eredità degli antenati

Gruppo storico che ha come capogruppo, autore e compositore Iriti Hoto, sempre presente sulla sua sedia a rotelle, nonostante l’età; come direttore d’orchestra Léonard At Choun, premio migliore orchestra nel 2018, attualmente infortunato a una mano.
Nel loro ‘pā’ō’ā, danza guerriera, si rivolgono al pubblico nelle 5 diverse lingue polinesiane, una per arcipelago: ma’ohi per le isole della Società, pakumotu per le Tuamotu, enata per le isole Marchesi, tuha’a pae per le isole Australi, ma’areva per le Gambier. Parlano dei vari cibi, rispettivamente il fafaru, pesce lasciato nell’acqua di mare attivata da un gamberetto; l’ipo pane impastato con acqua e latte di cocco; keukeu, capra al latte di cocco; rori, oloturie. Salutano nelle lingue dei cinque arcipelaghi: ‘ia ora na, kura ora, kaoha, aronga, quest’ultimo nell’idioma di Rapa che, grazie all’isolamento, è rimasto quasi intatto.
Anche i costumi sono differenziati in base prodotti della natura, a seconda di quale arcipelago si voglia rappresentare: sono di pārau, madreperla per le Tuamotu; nī’au, foglie della palma di cocco, e poepoe, lacrime di Giobbe (Coix lacryma-jobi) per le isole della Società; piume rosse e pipitio, i semini rossi del Abrus precatorius, per le Marchesi; more, gonnellino di fibre di ibisco selvatico, bianco per le Australi;  piu’u, Cardium fragum, per le Gambier.
La loro rappresentazione vuole essere di insegnamento per il mondo polinesiano:

Questo è un messaggio della notte,
Ai quattro angoli del mondo
Svegliati! Alzati!
Sono Ta’urua Fau Papa
La stella zenitale dell’emisfero sud
La stella più brillante
Che scintilla nel firmamento
Per guidarti sulla buona strada
Per te che vivi radicato nella roccia delle tue tradizioni
Ricordati, sono Ta’urua Fau Papa la tua guida
quando vedrai le molte calamità crescere
Fa’ attenzione bambino mio
Il tempo scorre veloce
Sta’ attento al ciclone
Sta’ attento alla pioggia torrenziale
Sta’ attento alle correnti pericolose
Sono delle trappole per farti vacillare
Lega di nuovo la tua piroga perché noi siamo uniti
Figlio del paese, non sono che dei simboli per te attraverso la tua vita
Sono Ta’urua Fau Papa
L’occhio benevolo di dio che veglia su di te
Ai quattro angoli del mondo
Svegliati! Alzati!
Grazie

Lo spettacolo è stato sostenuto dall’energia del’ōrero Pascal Mauahiti, anche presidente della corale O Faa’a, sempre presente con la sua possente voce dall’inizio alla fine. Appena trentacinque persone in scena, tre soli ballerini, numerosi rere, travestiti, fra le fila femminili… Nonostante questo l’energia del gruppo è indiscutibile, tanto che il suo capogruppo Iriti Hoto si è alzato dalla sedia a rotelle, sulla quale è da svariati anni, per cantarci un simpatico ‘ūtē arearea nel quale impersona papa tīoioi, il vecchio agitato (letteralmente: che va da tutte le parti), calmato a colpi di purūmu nī’au, scopa realizzata con le nervature delle foglie di palma da cocco, da un māhū, uomo effemminato; questo metodo montessoriano veniva usato anche con i bambini per punirli!

Tamari’i Mataiea

Dalla penisola di Tahiti il gruppo Tamari’i Mataiea si presenta per il canto per la categoria tārava Tahiti e per il ballo in categoria Hura Tau con due temi diversi. Danzano raccontando un fatto storico, cantano la gioia di arrivare nella capitale per partecipare alle festività di Tiurai, primo nome della Heiva, da July, mese in cui si svolge la storica competizione, voluta dalla Francia per celebrare la presa della Bastiglia. Ogni anno i vari comuni preparavano la partecipazione di tutto il villaggio alla grande festa, solo i vecchi e gli animali restavano a guardia dei terreni. Frutta e pesci erano già previsti per sfamare il gruppo per l’intero periodo, ognuno partecipava portando le proprie competenze, sia fisiche sia artistiche. Spirito che ancora oggi si ritrova.
La competizione fra i gruppi canori è intensa, quest’anno. I Tamari’i Mataiea, che hanno avuto un premio importante lo scorso anno, aspirano a riguadagnarlo.
Una curiosità: fra i loro antagonisti i Tamari’i Mahina, il cui capogruppo vestito di rosso è il sindaco del comune e ha come braccio destro il presidente del gruppo Natiara. Si parleranno ancora in ufficio?



Teva I Tai

Te hui fetu o te ra’i tuatini
Le costellazioni del firmamento

Gruppo che vanta come autore di tema e canti Steve Chaillou, già professore di reo Ma’ohi, la lingua polinesiana, all’università di Hawai’i. Le sue parole incantano. Maruao è la citazione del titolo della poesia di Baudelaire Il crepuscolo del mattino: la lingua polinesiana ha un ricco  vocabolario per gli eventi naturali, con termini diversi per il sole un attimo prima che sorga, appena sorto, il suo primo raggio di luce e così via.
Le stelle del firmamento sono servite da guida ai navigatori Ma’ohi nei tempi passati e ai giorni nostri, quando naufraghiamo nell’oscuro scintillio di Matari’i i raro, il tramonto delle Pleiadi, periodo durante il quale fame e penuria colpiscono con la loro ira mortifera. Simbolo della nostra èra, durante la quale i Ma’ohi fronteggiano l’asfissia della vita scossa dal disamore per se stessi, modellata da individualismo, in un’epoca nella quale lo sradicamento è visto come un valore. Gli astri possono guidarci anche sulla terra, non soltanto durante la navigazione, per ritrovare la resilienza, che sta resuscitando attraverso il fortificarsi delle radici, con la riconciliazione del popolo Ma’ohi con se stesso. Solo così sarà possibile raccogliere i frutti nel periodo di Matari’i i ni’a, abbondanza.
Sapendo che ho i testi dei vari gruppi della Heiva I Tahiti, Mato, il grande navigatore di Fatu Hiva, la più remota delle isole Marchesi, ha bussato alla mia porta e mi ha chiesto di leggerglieli in reo Ma’ohi, anche perché non erano stati tradotti in francese. Mato è analfabeta, il che non gli impedisce di essere la migliore guida a Tahiti, per invitati speciali e per i gruppi di Avventure nel Mondo, grazie alla nostra amicizia. È lui che tiene i corsi ai giovani, per insegnare loro i nomi delle piante, le leggende, i nomi delle stelle, per farli diventare guide come lui, con il suo stesso amore per il fenua, la terra. Seguendo le stelle è arrivato fino in Cina a bordo di una grande piroga; la sua sagoma dai capelli lunghi spicca nei libri di navigazione; due anni fa su una va’a (piroga) a vela a tre posti, insieme con due amici, ha navigato da Tahiti all’atollo di Rangiroa. Alla mia domanda: “Come facevi a dormire nei quattro giorni di navigazione?” Visto l’esiguo spazio, dove si può solo stare seduti, la risposta è stata semplice: “Non dormivo”.
Abbiamo passato un pomeriggio magico, io leggendo, cercando di dare la giusta intonazione alle parole, con la difficoltà del colpo di glottide tipico del reo Ma’ohi, lui traducendo e spiegandomi, con gesti di tutto il corpo, da vero attore di teatro.