È passato un mese dall’invasione dell’Ucraina, e ancora nessuno è riuscito a capire cosa stia cercando di ottenere Vladimir Putin. Le teorie al proposito si sprecano: secondo alcuni egli vorrebbe ricostruire l’impero russo, per altri vorrebbe riportare l’Ucraina nella sfera d’influenza russa, o impossessarsi delle sue risorse energetiche sottomarine, oppure semplicemente mantenere saldo il proprio potere interno.
Proviamo a esporre le principali posizioni degli esperti.

La ricostruzione dell’impero

La spiegazione più diffusa dell’invasione è che Putin, risentito per la caduta dell’Unione Sovietica, intenda riportare la Russia, attualmente considerata una potenza regionale, al ruolo di protagonista su scala mondiale.
In base a questa teoria, Putin mira a riprendere il controllo degli altri 14 Stati post-sovietici – definiti dai russi come “estero vicino” – divenuti indipendenti dopo il collasso del 1991. È parte di un piano più ampio per ricostruire l’impero russo, che territorialmente era più vasto di quello sovietico.
La teoria imperiale considera l’invasione della Georgia nel 2008 e della Crimea nel 2014, così come la decisione nel 2015 di intervenire in Siria, parti integranti della strategia volta a ricostruire la posizione geopolitica della Russia ed erodere l’ordine internazionale manovrato dagli Stati Uniti.
Chi parteggia per questa teoria è convinto che dopo l’Ucraina il dittatore rivolgerà la sua attenzione ad altri Paesi già del Patto di Varsavia, come Estonia, Lettonia e Lituania, ed eventualmente la Bulgaria, la Romania e persino la Polonia.
L’obiettivo finale, in definitiva, sarebbe estromettere gli USA dall’Europa e rimpiazzarli con la sfera d’influenza di Mosca.
La letteratura russa tende a supportare questa visione: nel 1997, per esempio, l’esperto di strategia Aleksandr Dugin, grande amico di Putin, pubblicava un libro assai influente, Foundations of Geopolitics: The Geopolitical Future of Russia, in cui sosteneva che l’obiettivo a lungo termine non sarebbe tanto un impero russo quanto un impero eurasiatico.
Il testo di Dugin, obbligatorio nelle accademie militari del Paese, stabilisce che per riportare la Russia alla prisca grandezza si dovrà smembrare la Georgia, annettere la Finlandia e cancellare l’Ucraina; quest’ultima, “come Stato indipendente con certe ambizioni territoriali, rappresenta un gravissimo pericolo per l’intera Eurasia”. Dugin, descritto come il “Rasputin di Putin”, aggiunge:

L’Impero Eurasiano verrà costruito sul principio fondamentale del nemico comune: l’opposizione all’atlantismo, al controllo strategico americano e il rifiuto di lasciarci dominare dai valori liberali.

Nell’aprile 2005, Putin riprese tale posizione allorché, nel discorso annuale alla nazione, descrisse il crollo dell’URSS come la “peggior catastrofe geopolitica del XX secolo”. Da allora, Putin ha ripetutamente criticato l’ordine mondiale a trazione americana, nel quale la Russia occupa una posizione subalterna.
Nel febbraio 2007, durante un intervento alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza, Putin attaccò la visione di un mondo “unipolare” nel quale gli Stati Uniti, come unica superpotenza, potessero inculcare i propri valori liberal in altre parti del mondo, Russia compresa.
Nell’ottobre 2014, in una conferenza al Valdai Discussion Club, un think tank russo di alto profilo vicino al Cremlino, Putin criticò l’ordine liberale internazionale successivo alla seconda guerra mondiale le cui regole e i cui princìpi (tra cui il rispetto delle norme di legge e dei diritti umani, la promozione della democrazia, l’intangibilità della sovranità territoriale e dei confini esistenti) hanno improntato le relazioni internazionali per quasi 80 anni. Putin si espresse per la costituzione di un nuovo ordine mondiale multipolare, più aperto agli interessi di una Russia autocratica.
Zbigniew Brzezinski, lo scomparso consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter, nel suo libro del 1997 La grande scacchiera scriveva che l’Ucraina è essenziale per le ambizioni imperiali della Russia:

Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. Ma se Mosca riottiene il controllo dell’Ucraina, con i suoi 52 milioni di abitanti […] e l’accesso al Mar Nero, riconquisterà automaticamente i mezzi per diventare un potente Stato imperiale esteso tra Asia ed Europa.

Lo storico tedesco Jan Behrends ha twittato:

Nessun dubbio: per Putin non si tratta di UE o NATO, ma della sua missione per rifondare l’impero russo. Tutto qui. L’Ucraina è soltanto un passo, la NATO è soltanto una seccatura. Il punto d’arrivo finale è l’egemonia russa in Europa.

L’esperto di Ucraina Peter Dickinson in una nota per atlanticcouncil.org osserva:

L’estrema animosità di Putin nei confronti dell’Ucraina è nutrita dal suo istinto imperialista. Si afferma spesso che egli abbia intenzione di ricreare l’Unione Sovietica, ma non c’è niente di più sbagliato: in realtà si tratta di un imperialista russo che sogna di far rinascere l’impero zarista e biasima le ultime autorità sovietiche per aver ceduto le terre ancestrali russe all’Ucraina e alle altre repubbliche dell’URSS.

Lo studioso bulgaro Ivan Krastev, sul “New York Times”, è d’accordo:

L’Europa e l’America non sono divise riguardo alle mire di Putin. Per quante analisi sulle sue motivazioni esistano, almeno una cosa è chiara a tutti: il Cremlino vuole una rottura simbolica con gli anni ’90 che seppellisca l’ordine successivo alla guerra fredda. Si creerebbe così una nuova architettura della sicurezza europea, con il riconoscimento della sfera d’influenza russa sullo spazio post sovietico e il rifiuto di accettare come universali i valori occidentali. Piuttosto che la restaurazione dell’Unione Sovietica, l’obiettivo è il recupero di quella che Putin considera la Russia storica.

Andrew Michta, analista esperto di sicurezza atlantica, aggiunge che l’invasione dell’Ucraina rappresenta

il culmine di quasi vent’anni di politiche volte a ricostruire l’impero russo e riportare la Russia all’interno della politica europea quale protagonista del futuro rimodellamento del continente.

In un articolo per 1945, blog americano sulla sicurezza, Michta approfondisce:

Dal punto di vista di Mosca, la Guerra ucraina è di fatto la battaglia finale della guerra fredda: per la Russia il momento di reclamare il proprio ruolo, nella scacchiera europea, di potente impero in grado di plasmare i futuri destini del continente. L’occidente deve comprendere e accettare il fatto che soltanto dopo un’inequivocabile sconfitta russa in Ucraina sarà possibile un accordo definitivo post guerra fredda”.

La zona cuscinetto

Molti analisti attribuiscono all’invasione russa motivazioni geopoliche. La geopolitica è una disciplina che tenta di spiegare il comportamento degli Stati attraverso la lente della geografia. Ora, la maggior parte della Russia occidentale è costituita dal bassopiano sarmatico, un vasto territorio privo di rilievi che si estende per 4 milioni di chilometri quadrati. Questa immensa pianura rappresenta un grosso problema per la sicurezza russa: un esercito invasore proveniente dall’Europa centrale o orientale incontrerebbe scarsi ostacoli geografici nella sua avanzata verso il cuore dello Stato. In altre parole, la situazione geografica della Russia la rende assai difficile da difendere.
L’autorevole esperto di geopolitica Robert Kaplan ha dichiarato che la geografia è il punto da cui partire per comprendere tutti gli altri aspetti della Russia, la quale

continua a essere illiberale e autocratica poiché, a differenza di Gran Bretagna e America, non è una nazione insulare ma un vasto continente con pochi elementi geografici a proteggerla dalle invasioni. L’aggressione di Putin nasce da questa fondamentale insicurezza geografica.

Storicamente, i governanti russi hanno cercato di ottenere un isolamento strategico allargandosi verso l’esterno per creare zone cuscinetto, ossia barriere territoriali atte ad aumentare i tempi e le distanze che gli invasori avrebbero dovuto affrontare per raggiungere Mosca.
L’impero russo comprendeva i Paesi baltici, la Finlandia e la Polonia, ciascuno in funzione di cuscinetto. L’Unione Sovietica creò a sua volta il Patto di Varsavia (comprendente Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania Orientale, Ungheria, Polonia e Romania) a mo’ di gigantesca difesa esterna da potenziali invasori.

i motivi della guerra in ucraina
Gli Stati cuscinetto “prediletti” dalla Russia.

La maggior parte di questi Paesi un tempo al di là della “cortina di ferro” ora sono membri della NATO. Ciò rende Bielorussia, Moldavia e Ucraina, strategicamente collocati tra la Russia e l’occidente, gli unici Paesi dell’Europa orientale rimasti a fare da cuscinetto. Sicché, secondo alcuni analisti, sarebbe proprio la necessità di mantenere intatta questa forma di difesa a innescare l’invasione dell’Ucraina.
Mark Galeotti, eminente cremlinologo britannico, ritiene che la coscienza di essere una grande potenza passi inevitabilmente, per la Russia, dal possesso di una zona cuscinetto:

Putin ha costruito gran parte della sua identità politica sull’intenzione di fare della Russia una grande potenza, e di far sì che essa venga anche riconosciuta come tale. Quando pensa a una grande potenza, egli ragiona sostanzialmente come un geopolitico ottocentesco. Non si tratta della potenza basata sui rapporti economici o sull’innovazione tecnologica, per non parlare di soft power… No, la grande potenza, nel buon vecchio significato di una volta, contempla una sfera d’influenza, regioni la cui sovranità è subordinata a lui.

Altri obiettano che il concetto di Stato cuscinetto è obsoleto. Per esempio, l’esperto di sicurezza internazionale Benjamin Denison ritiene che la Russia non possa legittimamente giustificare la necessità di una buffer zone:

Una volta inventate le armi nucleari gli Stati cuscinetto non vennero più considerati necessari, indipendentemente dalla geografia, bastando la deterrenza nucleare ad assicurare l’integrità dei confini delle superpotenze.
Legare strettamente gli interessi nazionali alla geografia e stabilire che la geografia spinga gli Stati a ripetere le stesse azioni della storia passata, porta solo a conclusioni sbagliate e giustifica le appropriazioni territoriali dei russi come fatti naturali.

L’indipendenza ucraina

L’astio di Putin contro la sovranità ucraina è strettamente legata alle teorie imperiale e geopolitica. Egli proclama che quel Paese ha fatto parte della Russia per secoli e la sua indipendenza dall’agosto 1991 è stato un errore storico. L’Ucraina, secondo lui, non ha diritto di esistere. E lo ha detto e ripetuto in un sacco di occasioni.
Come nel 2008, parlando con William Burns, l’allora ambasciatore americano a Mosca e attuale direttore della CIA: “Lo sa che l’Ucraina non è neppure un vero Paese? Una parte è Europa orientale e l’altra è Russia”.
Nel luglio 2021 Putin ha scritto un saggio di 7000 parole, Sulla storica unità di russi e ucraini, in cui spregia la sovranità dell’Ucraina, nega la legittimità dei suoi confini e sostiene che nella sua forma attuale occupi “le terre della Russia storica”. E conclude: “Confido che la vera sovranità dell’Ucraina sarà possibile solo in collaborazione con la Russia”.
Febbraio 2022: appena tre giorni dopo avere scatenato l’invasione, Putin dichiara che l’Ucraina è uno Stato fasullo messo in piedi da Vladimir Lenin, il fondatore dell’URSS:

La moderna Ucraina è stata interamente creata dalla Russia o, per essere più precisi, dalla Russia bolscevica, comunista. Un processo messo in atto dopo la rivoluzione del 1917, che Lenin e colleghi portarono a termine in un modo assai doloroso per la Russia: separando, tagliando via un pezzo del territorio storico russo.

Lo studioso russo Mark Katz, nel suo saggio Blame It on Lenin: What Putin Gets Wrong About Ukraine, sostiene che Putin dovrebbe imparare dalla lungimiranza di Lenin nel capire che un approccio più accomodante al nazionalismo ucraino avrebbe, nel lungo periodo, servito meglio gli interessi russi.

Putin non può sfuggire al problema che Lenin stesso dovette affrontare: come convincere i non russi a lasciarsi governare dalla Russia. L’imposizione forzata del potere russo su una parte dell’Ucraina (figuriamoci su tutta) non porterà ad alcuna riconciliazione. Anche se l’Ucraina verrà interamente o parzialmente assoggettata, i sentimenti dei nazionalisti sconfitti si intensificheranno e riesploderanno alla prima occasione.

L’indipendenza politica di Kiev è stata accompagnata da una lunga contesa con la Russia riguardo alla fede religiosa. Nel gennaio 2019, con quella che è stata definita “la peggior spaccatura di tutti i tempi nella cristianità”, la Chiesa ortodossa ucraina si è resa indipendente, autocefala, da quella russa. La Chiesa ucraina era stata sotto la giurisdizione del patriarcato moscovita sin dal 1686. La sua autonomia ha inferto un grave colpo alla Chiesa russa, che ha perso circa un quinto dei 150 milioni di cristiani ortodossi sotto la sua autorità.

i motivi della guerra in ucraina
Secondo il governo di Kiev, le chiese ucraine gestite da Mosca venivano usate dal Cremlino per diffondere la propaganda e appoggiare i separatisti russi nel Donbass orientale. Putin vuole il rientro della Chiesa ucraina nell’orbita di Mosca, minacciando “un’aspra contesa, se non uno spargimento di sangue” di fronte a qualsiasi tentativo di impadronirsi dei suoi beni.  
Il capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca di Mosca Kirill, ha sostenuto che Kiev – luogo dove la religione ortodossa è nata – sarebbe paragonabile a Gerusalemme per la sua importanza storica:

L’Ucraina non costituisce la periferia della nostra Chiesa. Noi chiamiamo Kiev “la madre di tutte le città russe”. Per noi Kiev è ciò che Gerusalemme rappresenta per tanti altri. L’ortodossia russa è iniziata lì, quindi per nessun motivo potremmo troncare questo legame storico e spirituale. L’unità stessa della nostra Chiesa è fondata su tali vincoli spirituali.

Il 6 marzo scorso, Kirill (ex agente del KGB noto come il “chierichetto di Putin” per la sua obbedienza al leader) ha pubblicamente appoggiato l’invasione dell’Ucraina. In un’omelia ha ripetuto la tesi di Putin accusando il governo ucraino di “genocidio” nei confronti della minoranza russa: “Per otto anni abbiamo assistito all’oppressione e allo sterminio della popolazione nel Donbass. Otto anni di sofferenze, e il mondo intero tace”.
Ulrich Speck, esperto tedesco di geopolitica ha scritto:

Distruggere l’indipendenza ucraina è diventata un’ossessione per Putin. Putin ha spesso detto e anche scritto che l’Ucraina non è una nazione a sé e non dovrebbe esistere come Stato sovrano. È stata questa fondamentale negazione a spingerlo verso una guerra totalmente priva di senso e che non riuscirà a vincere. E questo ci rende problematico immaginare la pace: o l’Ucraina ha il diritto di esistere come nazione e Stato sovrano, o non ce l’ha. La sovranità è indivisibile. Putin la nega, gli ucraini la difendono. Come puoi fare un compromesso sull’esistenza dell’Ucraina come Stato sovrano? Impossibile. Ecco perché entrambe le parti possono solo continuare a combattere fino alla vittoria.
Di norma le guerre di uno Stato contro l’altro nascono da conflitti tra le due parti. Qui invece abbiamo una guerra per l’esistenza di uno Stato che viene negata dall’aggressore. Ciò spiega perché l’usuale concetto di peacemaking – cioè trovare un compromesso – non è applicabile. Se l’Ucraina continuerà a esistere come entità sovrana, Putin avrà perso. Egli non è interessato alla conquista fine a sé stessa di un territorio: sarebbe soltanto un peso. È interessato al controllo dell’intero territorio. Ogni altra eventualità sarebbe una sconfitta, per lui.

L’esperto di Ucraina Taras Kuzio aggiunge:

La vera causa della crisi in atto è la pretesa di riportare l’Ucraina nell’orbita della Russia. Negli ultimi otto anni, Putin ha utilizzato una combinazione di interventi militari diretti, cyber attacchi, campagne di disinformazione, pressioni economiche e minacce diplomatiche per forzare l’Ucraina ad abbandonare le sue ambizioni euroatlantiche…  
L’obiettivo finale di Putin è la capitolazione dell’Ucraina e il suo riassorbimento nella sfera d’influenza russa. Questa ossessione ha già sprofondato il mondo in una nuova guerra fredda.
Soltanto il ritorno dell’Ucraina nell’orbita del Cremlino potrà soddisfare Putin, o placare i suoi timori per un’ulteriore detrimento dell’eredità imperiale russa. Non si fermerà finché non sarà fermato. Per arrivare a ciò, l’Occidente deve diventare ben più deciso nel rispondere all’aggressione dell’imperialismo russo, affrettando nel contempo l’integrazione euro-atlantica dell’Ucraina.

Il pericolo NATO

Questa teoria sostiene che Putin abbia invaso l’Ucraina per impedirle di aderire al Patto Atlantico. Il presidente russo ha ripetutamente chiesto che l’Occidente garantisca “immediatamente” che l’Ucraina non entrerà né nella NATO né nell’Unione Europea.
Una voce a favore di questa tesi è quella di John Mearsheimer, esperto americano di relazioni internazionali. Nel suo controverso saggio Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault, egli afferma che a provocare l’attacco russo è stata l’espansione a oriente della NATO:

Gli Stati Uniti e i loro alleati europei condividono la maggior parte della responsabilità per questa crisi. Alla radice c’è l’allargamento della NATO, l’elemento centrale di una strategia più ampia volta a sottrarre l’Ucraina all’orbita della Russia per assorbirla nell’Occidente.
È dalla metà degli anni ’90 che i dirigenti russi si oppongono fermamente all’allargamento della NATO, e negli ultimi anni hanno fatto chiaramente capire che non staranno tranquilli ad aspettare che i loro vicini strategicamente più importanti diventino bastioni occidentali.

In una recente intervista a “The New Yorker”, Mearsheimer incolpa USA e alleati europei per il conflitto in corso:

Io ritengo che questo disastro abbia avuto inizio nell’aprile del 2008, al summit NATO di Bucarest, cui seguì una dichiarazione secondo la quale l’Ucraina e la Georgia sarebbero entrate a far parte dell’alleanza.

In effetti Putin non si è sempre opposto all’espansione della NATO. Più volte ha detto addirittura che un suo allargamento a est non avrebbe costituito un problema per la Russia.
Nel marzo 2000, per esempio, durante un’intervista televisiva alla BBC, il presentatore David Frost gli chiese se considerasse la NATO un partner potenziale, un rivale o un nemico. Putin rispose:

La Russia appartiene alla cultura europea. Non riesco a immaginare il mio Paese isolato dall’Europa e da quello che spesso definiamo il mondo civile. Quindi mi è difficile vedere la NATO come un nemico.

Nel novembre 2001, in un’intervista per la National Public Radio, gli chiesero se si sarebbe opposto all’ammissione nella NATO delle tre repubbliche baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania. Putin rispose:

Ovviamente non siamo nella posizione di dire alla gente cosa deve fare. Non possiamo impedire loro di fare certe scelte se desiderano aumentare la sicurezza delle loro nazioni in un determinato modo.

Maggio 2002: Putin, interrogato sulle future relazioni tra NATO e Ucraina, rispose senza mezzi termini che non gli interessavano i relativi sviluppi:

Sono assolutamente convinto che l’Ucraina non si sottrarrà alle crescenti interazioni con la NATO e gli alleati occidentali. L’Ucraina intrattiene relazioni proprie con la NATO: esiste un Ukraine-NATO Council. Alla fin fine, la decisione riguarda soltanto la NATO e l’Ucraina.

La posizione di Putin sull’allargamento dell’Alleanza Atlantica cambiò radicalmente dopo la Rivoluzione Arancione del 2004, innescata dal tentativo russo di truccare le elezioni presidenziali in Ucraina. Una massiccia sollevazione popolare portò alla sconfitta del candidato caro a Putin, Viktor Yanukovych (che diventerà presidente nel 2010 per essere poi deposto da Euromaidan).
L’ex segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, in una recente intervista a Radio Free Europe ha così commentato i ripensamenti del premier russo:

Putin è cambiato negli anni. Il mio primo incontro risale al 2002, quando lo trovai molto positivo riguardo alla cooperazione tra Russia e Occidente. Poi gradualmente cambiò idea. A partire dal 2005-2006, divenne sempre più ostile nei confronti dell’Occidente. E nel 2008 attaccò la Georgia. Nel 2014 si prese la Crimea, e adesso assistiamo all’invasione in piena regola dell’Ucraina. Insomma, si è davvero trasformato con gli anni.
Penso che le rivoluzioni in Georgia e Ucraina del 2004 e 2005 abbiano contribuito a fargli cambiare idea. Non dobbiamo dimenticare che Vladimir Putin è cresciuto nel KGB. Per cui il suo modo di pensare è molto influenzato da quei trascorsi. Credo che soffra di paranoia. E che dopo le rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina, si sia convinto che tra le mire occidentali ci fosse anche un cambiamento di regime al Cremlino. Ecco perché è diventato ostile all’Occidente.
Io do interamente la colpa a Putin e alla Russia. La Russia non è una vittima. Le abbiamo teso la mano più volte nella storia. Dapprima abbiamo approvato il NATO Russia Founding Act del 1997. Poi, nel 2002, siamo tornati alla carica con qualcosa di molto speciale: il NATO-Russia Council. E nel 2010, durante un vertice NATO-Russia, abbiamo deciso di sviluppare una partnership strategica tra le due parti.
Ritengo che avremmo dovuto fare di più per frenare Putin. Nel 2008 attaccava la Georgia e si prendeva de facto l’Abcasia e il sud dell’Ossezia.
Già allora avremmo dovuto reagire in modo assai più determinato.

i motivi della guerra in ucraina
Negli anni recenti, Vladimir Putin ha ripetutamente avvertito che l’allargamento della NATO successivo alla guerra fredda rappresenta una minaccia per la Russia, alla quale non resta altra alternativa che difendersi. Ha anche accusato l’Occidente di portare avanti un accerchiamento della Russia. In realtà, dei 14 Paesi confinanti soltanto 5 appartengono alla NATO – Estonia, Lettonia, Lituania, Norvegia e Polonia – e i loro confini sono contigui soltanto al 5% del totale dei confini russi.
Putin lamenta che la NATO ha infranto le promesse solenni di non espandersi verso oriente. “Ci avevate assicurato negli anni ’90 che la NATO non si sarebbe spostata di un centimetro a est. Ci avete bellamente presi in giro”, dichiarò in una conferenza stampa nel dicembre 2021. Michail Gorbaciov, l’allora presidente dell’Unione Sovietica, sostiene che una simile promessa non è mai stata fatta.
Putin ha posto di recente tre condizioni del tutto inaccettabili: la NATO deve arretrare le sue forze ai confini del 1997; non deve offrire l’adesione ad altri Paesi come Finlandia, Svezia, Moldavia o Georgia; deve fornire garanzie ufficiali che l’Ucraina non entrerà mai nell’alleanza.
Nell’articolo What Putin Really Wants in Ukraine, lo storico russo Dmitri Trenin sostiene che lo zar vuole fermare l’espansione della NATO, non annettersi altri territori:

Le azioni di Putin indicano che il suo vero obiettivo non sia conquistare l’Ucraina per annetterla alla Russia, bensì cambiare l’assetto post guerra fredda nell’Europa orientale. Quell’assetto ha lasciato la Russia nella posizione di rule-taker con scarsa voce in capitolo sulla sicurezza europea, centrata sulla NATO. Se riesce a tenere la NATO fuori da Ucraina, Georgia e Moldavia, e i missili a medio raggio americani fuori dall’Europa, è convinto di riparare in parte i danni inferti alla sicurezza russa dopo la fine della guerra fredda.
Tra l’altro, questa sarebbe una carta a suo favore da giocare nel 2024, quando tenterà di farsi rieleggere.

La democrazia come minaccia

È possibile che la fiorente democrazia ucraina rappresenti una minaccia esistenziale al modello putiniano di governo autocratico: l’esistenza stessa di una Ucraina sovrana, filoccidentale, libera e democratica potrebbe indurre la popolazione russa a pretendere altrettanto.
Michael McFaul, ex ambasciatore americano in Russia, e Robert Person, docente alla United States Military Academy, asseriscono che Putin è atterrito dalla democrazia ucraina:

Negli ultimi trent’anni, l’importanza della questione [l’allargamento della NATO] è aumentata e diminuita non tanto per l’andamento dell’espansione NATO, quanto per l’andamento dell’espansione democratica in Eurasia. Secondo uno schema assai evidente, le proteste di Mosca contro l’alleanza si infiammano dopo ogni vittoria della democrazia.
Considerato che la peggior minaccia per Putin e il suo regime dittatoriale è la democrazia, non la NATO, i suoi timori non si volatizzerebbero come per magia di fronte a una moratoria dell’espansione atlantica. Putin non smetterebbe di minare la libertà e l’autodeterminazione dell’Ucraina, della Georgia, o dell’intera regione, se la NATO arrestasse la propria avanzata. Finché i cittadini di Paesi liberi eserciteranno il loro diritto democratico di eleggere i propri dirigenti e di decidere le proprie politiche interne ed estere, Putin continuerà a tenerli nel mirino
La peggior fonte di tensione è stata una serie di svolte democratiche e manifestazioni popolari per la libertà esplose nel terzo millennio, quelle da molti definite “rivoluzioni colorate”. Putin è convinto che gli interessi della Russia siano stati minacciati da quelli che, a suo dire, sarebbero colpi di stato pilotati dagli americani.
Dopo ciascun evento (Serbia nel 2000, Georgia nel 2003, Ucraina nel 2004, primavere arabe nel 2011, Russia nel 2011-12, Ucraina nel 2013-14), Putin ha adottato politiche sempre più ostili nei confronti degli Stati Uniti, invocando la minaccia della NATO come giustificazione.
Gli ucraini che si sono levati in difesa della propria libertà erano, per Putin, fratelli slavi con stretti legami con la Russia a livello storico, religioso e culturale. Se è potuto succedere a Kiev, perché non a Mosca?

L’esperto di Ucraina Taras Kuzio è della stessa idea:

Putin è tormentato dalla serie di movimenti a favore della democrazia verificatisi alla fine degli anni ’80 in Europa orientale, che hanno contribuito al successivo crollo dell’Unione Sovietica. Egli considera i primi passi della democrazia ucraina come una sfida diretta al suo regime autoritario, e avere coscienza dei legami storici di quel Paese con la Russia gli rende la minaccia ancora più indigesta.

Le risorse energetiche

L’Ucraina possiede la seconda riserva nota di gas naturale per dimensioni (oltre 3 bilioni di metri cubi) dopo la Russia. Questi giacimenti si trovano sotto il Mar Nero, concentrati attorno alla penisola di Crimea. Sono stati anche scoperti vasti depositi di shale gas nell’est del Paese, intorno a Kharkiv e Donetsk.
Nel gennaio 2013, l’Ucraina ha firmato un contratto cinquantennale da 10 miliardi di dollari con la Royal Dutch Shell per l’esplorazione e l’estrazione di gas naturale nell’est. Poi, nello stesso anno, Kiev ha stretto un analogo accordo, come entità e scadenze, con la compagnia americana Chevron per la coproduzione di shale gas. La Shell e la Chevron si sono poi sfilate dagli accordi dopo l’annessione della Crimea da parte dei russi.

i motivi della guerra in ucraina
I preziosi giacimenti sotto i fondali del Mar Nero.

Alcuni analisti ritengono che Putin si sia preso la Crimea per impedire all’Ucraina di diventare uno dei principali fornitori di petrolio e gas all’Europa, sfidando così la supremazia energetica russa. Secondo loro, la Russia temeva che, una volta diventata il secondo fornitore del continente, l’Ucraina avrebbe trovato le porte spalancate per entrare nell’Unione Europea e nella NATO.
In base a questa teoria, l’invasione servirebbe a forzare Kiev al riconoscimento ufficiale della Crimea come appartenente alla Russia, nonché al riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk come Stati indipendenti, cosicché Mosca possa esercitare un controllo legittimo sulle risorse naturali di quei territori.

La crisi dell’acqua

Il 24 febbraio scorso, primo giorno dell’invasione, le truppe russe hanno ripristinato il flusso dell’acqua nel canale della Crimea settentrionale, un passaggio di costruzione sovietica strategicamente importante, che collega il fiume Dniepr alla Crimea occupata fornendole l’85% dei suoi bisogni idrici. L’Ucraina lo aveva interrotto dopo l’annessione russa nel 2014, determinando un crollo nella produzione agricola e obbligando i nuovi occupanti a spendere ogni anno miliardi di rubli per portare dalla terraferma acqua ai crimeani.
La crisi idrica è stata uno degli elementi di maggior tensione tra i due Paesi. Il presidente Volodymyr Zelensky avvertiva che la fornitura non sarebbe stata ripristinata finché i russi non avessero restituito la penisola. Secondo l’esperta di sicurezza Polina Vynogradova, ogni riapertura del flusso idrico sarebbe equivalsa a un riconoscimento de facto della potestà russa sulla Crimea, sminuendo le rivendicazioni ucraine. Ne sarebbero uscite indebolite anche le pressioni ucraine nei negoziati per il Donbass.
Anche qualora le truppe di Mosca si ritirassero dall’Ucraina, i russi manterrebbero di certo un controllo permanente su tutti i 400 chilometri del canale crimeano per evitare ulteriori interruzioni del flusso idrico.

La sopravvivenza del regime

Esiste la convinzione che il sessantanovenne Putin, al potere dal 2000, persegua continui conflitti militari per rimanere protagonista della vita pubblica russa. Alcuni esperti suppongono che dopo le sollevazioni in Bielorussia e Kazakistan, egli abbia deciso di invadere l’Ucraina nel timore di perdere potere.
In un’intervista a “Politico”, Bill Browder, il finanziere anglo-americano che ha diretto la Global Magnitsky Justice Campaign, ha detto che Putin sente perennemente il bisogno di apparire forte:

Dubito che in questa guerra c’entri la NATO; dubito che in questa guerra c’entri il popolo ucraino, o la UE, o l’Ucraina stessa: questa è una guerra scatenata per mantenere il potere. Putin è un dittatore, un dittatore che ha tutte le intenzioni di restare al potere fino alla scadenza naturale della sua vita.
Si è detto che le cose si sarebbero messe male per lui se non avesse combinato qualcosa di eclatante. Putin ragiona a breve termine: “Come faccio a rimanere al potere fino alla prossima settimana? E poi fino a quell’altra ancora?

Anders Åslund, apprezzato specialista di politica economica russa e ucraina, concorda:

Ecco come comprendere la guerra di Putin in Ucraina. Non riguarda NATO, UE, URSS, neppure l’Ucraina. A Putin serve una guerra per giustificare il suo potere e la crescente repressione interna. È tutto legato all’uomo Putin, non al neoimperialismo, al nazionalismo russo o al KGB.

La studiosa di politiche russe Anna Borshchevskaya ritiene che l’invasione dell’Ucraina potrebbe essere l’inizio della fine per Putin:

Sebbene non eletto democraticamente, egli si preoccupa dell’opinione pubblica e delle proteste in patria, considerandole una minaccia al suo potere. Se Putin può essersi augurato, invadendo l’Ucraina, di espandere il territorio russo e di restaurare l’antica grandezza imperiale, c’è il caso che stia ottenendo l’esatto contrario.

 

Gatestone Institute, traduzione e adattamento di Etnie