Un ’agghiacciante testimonianza delle brutalità nei confronti di Miskito, Sumo e Rama. I veri retroscena della crisi di un regime che ha individuato nell’intolleranza etnica, nelle deportazioni in massa e nella distruzione culturale indigena i propri obiettivi. “Gli indios? Sono sub-umani”, sostengono i seguaci di Sandino.


mappa-miskito

Informazioni contraddittorie e strumentalizzazioni filoamericane, hanno portato sino a noi un’eco confusa di quanto sta accadendo agli indios del Nicaragua. Per meglio comprendere la situazione attuale di quel paese è necessario sottolineare la differenza fondamentale tra la costa sul Pacifico del Nicaragua e quella sull’Atlantico. La prima, che comprende le città un tempo rivali di Leon (tradizionale centro dei “liberali”) e Grenada (roccaforte conservatrice), la capitale Managua e il grande lago con le isole, fu invasa e conquistata dagli spagnoli, estremamente violenti contro gli indios, con l’obiettivo di asservire gli indigeni per poi assimilarli. 1
Sulla costa atlantica, il dominio invece fu britannico. Intorno al 1630, si ebbe il primo insediamento di inglesi, i quali tentarono la colonizzazione senza riuscirci del tutto. Questa regione è chiamata Moskitia, perché popolata dagli idios Miskito che la caratterizzano tuttora. Politicamente la Moskitia è divisa dal rio Coco in due zone triangolari appartenenti a due Stati: l’Honduras e il Nicaragua. Amministrativamente, la regione corrisponde approssimativamente al dipartimento di Gracias a Dios (Honduras), ed a quelli di Zelaya e della Comarca del Cabo (Nicaragua). La superfìcie totale è di circa 90.000 kmq. Gli amerindi che l’abitano sono i Miskito, i Sumu e i Rama, oltre ad altre etnie residuali come i Paya, nella Moskitia honduregna 2, che si incuneano nel territorio, ma che sono in via di assimilazione dai Miskito.

I Miskito

La loro regione naturale è la fascia costiera della Moskitia, in tutta la sua lunghezza, dalla punta di Capo Camaròn, in Honduras, sino alla Pearl Lagoon, nel Nicaragua. Si sono spinti però nell’interno lungo i fiumi così da incontrarsi a Nord con i Paya del rio Paulaya, coi quali si mescolano a ovest i Sumu, a sud i Rama e i Negri di lingua inglese di Bluefields. Mentre la costa pacifica del Nicaragua fu invasa da Amerindi provenienti dal Messico (di lingua Nahua ecc.), quella atlantica fu dominata da popolazioni del sistema linguistico Chibcha, giunti pare dalla Columbia, e comunque dall’America meridionale. I Miskito costituiscono una popolazione eminentemente marinara, dedita alla pesca e a scorrerie che la portarono sino a Belize nell’Honduras, a Cartipo in Costa Rica, a Nombre de Dios nel Panarà e alla Giamaica; tanto da farne il terrore del mare Caraibico. La pesca tradizionale è ancora praticata con l’arpione (recente l’uso dell’amo e delle reti); abbandonato l’arco e le frecce, la caccia si fa con vecchi fucili, persino archibugi dell’epoca della filibusta. L’agricoltura è seminomade; i suoi principali prodotti sono la manioca, la patata dolce, avocados, papaia, cocco, banana, mais, mentre la coltivazione del riso è relativamente recente.
Le principali tribù sono (in Nicaragua, da Nord a Sud): Vanki, Bamban, Cabo, Tawira, Baldam. Attualmente i Miskito ritengono di essere circa 100.000 3: certo è che l’incremento demografico è una loro caratteristica, dovuta in parte ad una totale assenza di razzismo; largamente esogami, hanno assimilato molte genti di altro ceppo, al punto che la percentuale di questa esterna affluenza sembra raggiungere il 25% della loro consistenza. Il maggior apporto proviene dai Negri africani, ma i Miskito hanno assorbito pure gruppi di Sumu, di Paya, di Rama, di Ladinos e perfino di Europei. Solamente i Miskito Tawira, situati tra il rio Prinzapolca e il Rio Cucalaya, sono rimasti estranei alle mescolanze che pur costituiscono la vitalità dei Miskito.4
Miskito e Sumu, come provano anche le leggende dei due popoli, procedono da un’origine comune. Se questa origine sia recente o antica, è questione controversa: gli studiosi stabiliscono comunque un’unità linguistica, e la fanno appartenere alla famiglia Chibcha. Tra gli indios del Nicaragua, i Sumo sono quelli che hanno potuto mantenere quasi incorrotta la loro immagine originale di purezza etnica, anche se proprio ai nostri giorni essi rischiano di venire travolti dall’avanzata della civiltà moderna. I “nuovi” Miskito del XVII secolo si differenziano sempre più dai Sumu e nella loro espansione spinsero questi ultimi nelle località più remote e inaccessibili della selva.
Eduard Konzemius (Notes on the Miskito and Sumu Languages of Eastern Nicaragua and Honduras, «International Jour. American Linguistic», vol. 5; 57- 115, Kraus Reprint Corp. New York 1965; Les Trìbus indiennes de la Còte des Mosquitos, Anthropos, vol. 33, 910- 943) nel corso delle sue ricerche effettuate dal 1917 al 1922, rilevò tra i Sumu queste tribù: Twaka, Panamaka, Ulwa, Bawihka, Kukra; già estinte, quelle dei Yusku, Prinsu, Boa, Silam e Ku. La popolazione è stimata dagli indios, attualmente, a 15.000, e occupò nell’insieme un’area tanto vasta quanto nessun altro gruppo indigeno aveva occupato in Nicaragua, e precisamente la regione situata all’ovest della fascia costiera dell’Atlantico sino a buona parte degli attuali dipartimenti di Chontales, Matagalpa, Jinotega, e Nuova Segovia e dal Rio Punta Gorda al Sud sino al Rio Patiuca in Honduras. I Kukra arrivarono ad occupare le isole del Maiz. A differenza dei Miskito, i Sumo sono endogami e quindi più conservatori anche nei costumi (uso di armi primitive come arco e freccia, tessitura, lavorazione della ceramica, case tradizionali, ecc.).
I maggiori centri dei Sumo sono Musawas e Umbra. Talora i Sumo sono definiti impropriamente Ulva, mentre gli Ulwa ne sono una tribù. Meno socievoli dei Miskito, i Sumo rimangono isolati a piccoli gruppi nei recessi difficilmente raggiungibili delle alte e medie valli dei fiumi; pur rilevandosi nei due popoli i caratteri della razza istmide, i Sumu sono in genere più bassi dei Miskito (i più alti di tutti i popoli amerindi del Centro America), e molto più chiari, anche a prescindere dall’apporto di sangue negro che ha caratterizzato i secondi. 5
Quanto ai Rama, la loro etnia è ormai ridotta allo stato residuale: poche centinaia di indios localizzati nel sud della fascia atlantica del Nicaragua, fra i corsi inferiori dei fiumi Bluefields e Escondido (di cui un affluente è appunto il rio Rama) e San Juan; sulle piccole isole prossime alla costa presentano caratteri somatici che sembrano discostarsi dai tipici istmidi, con stature
medio-superiori e toni scuri della pelle. Taluni elementi culturali e il linguaggio fanno supporre anche per i Rama un’antica influenza dei Chibcha colombiani.

La Moskitia nei secoli

Nel 1641, una nave portoghese o spagnola, proveniente dalla Guinea carica di negri, naufragò nei pressi del Capo Gracias a Dios (luogo oggi chiamato Cayos Miskitos); altri africani si insediarono poco dopo sulla Costa, mischiandosi con gli indigeni, quando agli schiavi fuggiti dalle navi negriere si aggiunsero negri liberi di San Vincente i quali, sbarcati dagli inglesi sulle isole della Bahia di fronte alla costa honduregna, furono catturati dagli spagnoli e dispersi sulle coste della Moskitia.
I nativi, mescolati con gli africani, presto raggiunsero un accordo storico quando si allearono con i bucanieri e i filibustieri dei secoli XVII e XVIII; alcuni di questi avventurieri annotarono diligentemente le loro esperienze con gli indigeni tramandandoci preziosi diari sui loro usi e costumi (i primi dati sui Sumu e Miskito sono infatti dovuti a Esquemelin, William Dampier e Raveneau de Lussan). I “fratelli della costa’’ usarono i Miskito come guerrieri contro gli spagnoli. Le scorrerie dei pirati, la cui maggioranza era inglese, offrirono alla Gran Bretagna l’occasione per impadronirsi della Moskitia, dove avevano stabilito un protettorato di fatto sin dal 1655.
Fino ad allora, i Miskito erano organizzati in società democratiche regolate dalle assemblee degli anziani che eleggevano un capo soltanto in caso di pericolo; gli inglesi incoraggiarono invece lo stabilirsi di una monarchia ereditaria, con capitale a Bluefields; il re miskito, con poteri anche sui Sumu e sui Paya, era coadiuvato dai kwatmas (evidente corruzione di quartemasters) che formavano un consiglio della corona. Nel 1783, con la pace di Versailles, gli inglesi sgombrarono la Costa, ma gli spagnoli non riuscirono ad occuparla, e i Miskito conservarono il loro re, riconosciuto dagli inglesi, i quali mantenevano un’influenza indiretta grazie ai missionari della Chiesa dei Fratelli Moravi (di origine hussita) che già nel XVIII secolo iniziarono una fortunata penetrazione tra gli autoctoni. Ancora oggi è questa la confessione religiosa più forte tra gli indigeni (i cattolici sono penetrati più tardi, mano a mano che prendeva importanza l’elemento “latino”).
Nel 1840 muore il re, e gli inglesi assumono la tutela della figlia minorenne riprendendo il controllo diretto della regione. Nel 1848, approfittando del conflitto tra il Nicaragua e la Costa Rica per la conquista della foce del rio San Juan, i Miskito con l’aiuto degli inglesi occupano San Juan del Norte. Intervengono però gli USA – preoccupati che gli inglesi prendano piede in una zona di interesse americano –  e impongono il trattato detto di “Clayson-Bulwer”, del 10 aprile 1850, in cui le due parti (USA e GB) si impegnano a non occupare alcuna parte della costa del Nicaragua e del Costa Rica. Tuttavia, soltanto dieci anni dopo, il 28 gennaio 1860 (trattato di Managua), gli inglesi riconoscono la piena sovranità del Nicaragua nella costa dei Miskito, a patto che questa popolazione godesse di piena autonomia. I diritti dei Miskito non furono però rispettati dal Nicaragua, cosicché nel 1880 dovette intervenire in loro favore un lodo dell’imperatore d’Austria. Nel 1893, nel Nicaragua i conservatori dovettero cedere il potere al “liberale” generale Santos J. Zelaja il quale, l’anno dopo, proclamò la completa annessione della Moskitia alla Repubblica, cacciò il giovane rey mosco che morirà esule tra gli amici inglesi della Giamaica, e diede allo Stato una nuova Costituzione (11 luglio 1894).

Integrazione

Mentre gli inglesi erano, se così si può dire, rimasti ai margini della società miskito, gli spagnoli provenienti dalla costa pacifica operarono massicciamente per l’assimilazione. Occorre rilevare che
i Miskito reagirono abbastanza bene all’impatto con la civiltà europea, sapendo selezionare e integrare gli elementi che a loro interessavano. Così, anche se le statistiche affermano che i Miskito sono in maggioranza cristiani, le credenze ancestrali sono fortissime e a volte coesistono con gli insegnamenti dei missionari. La figura dominante della spiritualità miskito rimane il Sukya, il mago stregone, che unisce in sé poteri metanaturali e soprannaturali: medicone e vero sciamano, cura le malattie del corpo e dell’anima, e si tiene in contatto con il mondo degli spiriti, come accade in genere per le società animiste. Una buona parte dei Sukya è cristiana o sedicente tale, ma non pochi mantengono un atteggiamento di ostilità nei confronti dei missionari. L’influenza della Chiesa morava, durata più di duecento anni, è stata comunque rilevante: essa controllava i villaggi, e il capo della chiesa nella comunità aveva l’ultima parola su tutto; tutti dovevano seguire le disposizioni del capo-chiesa o del pastore che, sovente, era un indios succube, però, delle disposizioni provenienti da Puerto Cabezas, dove risiede la direzione della Chiesa, formata per lo più da cittadini USA.
La politica culturale dei missionari fu differente, a seconda se si trattava di cattolici (di lingua spagnola) o di fratelli moravi (di lingua inglese); questi ultimi furono molto più rispettosi della cultura originaria e, secondo le tradizioni evangeliche, adottarono subito la lingua locale come lingua di culto e di istruzione. Nella Moskitia nicaraguense, oltre alle scuole governative (insegnamento in castigliano), ci sono una decina di scuole cattoliche, altrettante dei Fratelli moravi e quattro anglicane; i Fratelli moravi tengono anche quattro scuole secondarie (Bluefields, Pearl Lagoon, Puerto Cabezas e Bilwaskarma) e due cattoliche, frequentate soprattutto dai ladinos (Bluefields e Puerto Cabezas). La Chiesa morava opera anche tra i Sumo; Karawala, che è la comunità Sumo più acculturata attualmente, fu fondata da un pastore moravo nella prima parte del secolo scorso; così pure in Musawas, che è il centro maggiore dei Sumo nei giorni nostri, la Chiesa morava vi è almeno dal 1926.
I Fratelli Moravi hanno anche operato in campo sanitario: a Bilwaskarma ed a Puerto Cabezas funzionano due loro ottimi ospedali. La condizione sanitaria rimane però insoddisfacente: l’esistenza di numerose lagune e paludi, in una zona di clima caldo umido, provoca diverse malattie: alcune di origine locale, altre portate dai bianchi (commercianti, avventurieri, missionari); a essi si aggiungono quelle che i Miskito si prendono lavorando nelle cave e nelle miniere, come la silicosi.
Dopo la perdita dell’autonomia, all’inizio del secolo, sono penetrate nella Moskitia le imprese moderne, come quelle che esercitano l’attività mineraria (estrazione dell’oro nelle miniere di Rosita, Bonanza ecc.). Altre industrie si occupano dell’insaccamento dei crostacei e dei pesci (stabilimento a Bluefields), e dell’estrazione della resina dagli alberi (attività praticamente cessata nel 1913 con la produzione della gomma sintetica); i Miskito lavorano soprattutto nel taglio del legname (cedro, legno rosa, mogano). Tali imprese sono di puro e semplice sfruttamento; l’acculturazione ha operato trasformando i Miskito in sottoproletari di aree depresse: e proprio qui sta la chiave per comprendere la crisi che travaglia i rapporti tra la giovane rivoluzione sandinista e gli autoctoni della Moskitia. La tradizione politico-culturale ladina progressista considera appunto gli indios come dei “proletari” eguali agli altri, magari anche più sfortunati, ma nega loro ogni riconoscimento “nazionale” incoraggiato, invece, a suo tempo, dagli inglesi (sia pure in funzione antispagnola e antistatunitense). Lo stesso Augusto César Sandino, figlio naturale di un proprietario e di una povera lavorante, entrambi ladini, vedeva il riscatto degli indios nel contesto della rivoluzione proletaria, e non aveva evidenziato nella presenza ladina un fattore primario di colonizzazione nei confronti delle società autoctone.
Intervistato, disse infatti: “Fino a poco tempo fa guardavo con un senso di protesta all’opera colonizzatrice della Spagna: oggi la vedo con profonda ammirazione. (…) La Spagna ci ha dato la lingua, la civiltà, il sangue. Noi ci consideriamo spagnoli indios dell’America. L ’opera della Spagna non è finita. Coninuerà”. 6
E a proposito degli indios: “Qui gli spagnoli si sono mescolati poco con gli indios. L’indio è fuggito in montagna [dopo la conquista]. Qualcuno ce n’è, tanto che un proverbio dice: ‘Dio parlerà per bocca dell’indio di Las Segovias’. E come se ha parlato! Tutto ciò che è accaduto è in gran parte opera loro. L’indio di qui è timido, ma cordiale, sentimentale, intelligente. Lo vedrà lei stesso con i propri occhi.” (Manda a chiamare un soldato e lo invita a parlare con il suo capo che è seduto a fare la guardia e che è della stessa razza degli indios zambos dell’Atlantico. Nel loro dialetto si nota una mescolanza di vari idiomi, dall’inglese, al francese allo spagnolo.) “Ora parlategli in Inglese”, mi dice. (Vedo che tutti e due lo parlano perfettamente). “Ora in Spagnolo”, aggiunge Sandino. (Perfettamente anche questo). “Vede che intelligenza! Ma sono stati completamente abbandonati. Sono circa centomila, senza comunicazioni, senza scuole, senza aiuti dal governo. La nostra colonizzazione li solleverà per farne dei veri uomini”.
Dunque, come se tali non fossero e se, per esserlo, dovessero essere colonizzati. È esattamente il pensiero dei giovani eredi di Sandino!
Le lotte interne tra i vari partiti ladini non coinvolsero mai, se non individualmente, gli indios. Per la verità, prima di Sandino vi fu un eroe nazionale indio: Benjamin Zelodòn, un generale che insorse nel 1912 contro lo sbarco dei marines USA; non si arrese agli invasori e, perseguitato e assassinato, fu esposto al pubblico sul dorso di un cavallo come un brigante. Ma non si trattò certo di una ribellione alla “Tupamaro”. La letteratura nicaraguense si è di frequente ispirata all’esempio dei Miskito che, ricchi solo della loro miniera, lasciano i villaggi per lavorare come minatori e ritornano con la tbc o la silicosi: ma quando i poeti Saritos Rivera, o Ernesto Cardenal (ora membro della Giunta sandinista), o Mario Cajina Vega tracciano questo desolante quadro, i problemi diventano più sociologici che etnici: gli indios perdono la loro identità in una miriade di contadini ladini, criollos misti, che vivono la medesima situazione; ed è quasi soltanto sotto questo aspetto che la letteratura del Nicaragua li ha visti e lamentati 7. Vi è qualche eccezione, come quella di Antenor Sandino Hernandez, il quale in una sua raccolta del 1960 (Collar del istmo y poemas de la tarde, ed. Antorcha, Managua) rivendica l’antica gloria e dichiara:

Yo me siento orguillos de ser indio… e continua:
Mi tatuaje
es un quetzal con plumas de rojo tornasol…
en su lengua los idolos hablan de mi linaje…
Yo soy hijo de América y de mi padre el sol.
(Il quetzal è un uccello simbolo della libertà perché muore piuttosto che vivere in prigionia.)
Esiste anche una piccola letteratura miskito, opera però di autori non indios.
Ricordiamo Juan Jacob Espinosa, José Santos Rivera (El rio y su ombra, Rio Coco 1959); è  probabile che nell’ultimo ventennio, con la presa di coscienza nazionale, altri poeti anche miskito si siano aggiunti.

Somoza e gli indios

Durante i 44 anni della dittatura dei Somoza si continuò, peggiorandola, la politica dei precedenti governi. La Moskitia fu emarginata, ignorata e sfruttata. Il governo ha aiutato ed incoraggiato i ladinos, perché “più civili”, e li ha favoriti in ogni modo nell’acquistare la proprietà delle terre da sempre delle comunità indie. I ladinos diventarono così i capi della regione, con la pretesa di rappresentare gli indios al Congresso nazionale; chiedevano a Managua contributi per favorire lo “sviluppo della civiltà”, ma i finanziamenti rimanevano nelle loro tasche. I pretoriani somozisti diventarono latifondisti: così, agli indios toccò sopportare il peggio del peggio, ed essi furono considerati esseri inferiori, dei “subumani” sulla cui pelle scura tutto era lecito fare, degli idioti da sfruttare e ingannare. Le uniche buone iniziative in questo periodo furono quelle dei missionari, specie dei Fratelli Moravi, nel campo dell’istruzione e della sanità; ma viene loro imputata, oggi, la mancata disponibilità a lottare per la riappropiazione della terra e della cultura indie.
Si arrivò ai primi anni ‘70, determinanti per il risveglio della coscienza nazionale miskito. Nel 1972, Somoza fonda l’INFONAC, Istituto nazionale per lo sviluppo, con il programma di piantare pini da sfruttare industrialmente. Dalla costa pacifica arrivarono i pretoriani e società multinazionali diretta da capitalisti USA, come il NIPCO, Compagnia del Legno e dei Pini del Nicaragua: non piantarono alberi, ma distrussero il patrimonio forestale depauperando ancora di più gli indios; il profitto andava nelle tasche dei “missi dominici” di Somoza. Fino ad allora, gli indios non avevano ricevuto alcuna preparazione a riconoscere i propri diritti, e tanto meno a battersi; l’educazione religiosa missionaria li aveva portati alla rassegnazione pensando che Dio li amava e avrebbe comunque avuto cura di loro. I continui espropri, il depauperamento forestale, i divieti a provvedere direttamente all’abbattimento degli alberi per la costruzione delle capanne e persino per ricavare le canoe funerarie (i cadaveri infatti vengono inumati in tombe formate da canoe capovolte), causarono le prime proteste fra i Miskito. Contemporaneamente, i somozisti promossero una campagna culturale per lo sviluppo del castigliano: nei programmi si diceva chiaramente che la lingua miskito doveva sparire perché causa di ritardo culturale. Ciò provocò una crescita della coscienza nazionale; anche i predicatori moravi allora si unirono al movimento di resistenza che stava nascendo. Dalla consapevolezza che l’identità india correva gravi pericoli di estinzione – essendole riservato in breve tempo il destino che dissolse le nazioni indiane del Nicaragua centrale e occidentale – scaturì spontaneamente la volontà di organizzarsi: si giunse così nel 1972 alla fondazione dell’ALPROMISU (alleanza per il progresso dei popoli miskito e sumo) avvenuta in un villaggio e non in una città. Temi fondamentali dell’azione, il diritto indio alla terra, l’identità minacciata, l’educazione religiosa che addormenta, l’atteggiamento da tenersi nei confronti di Somoza e dei suoi miliziani.
Il governo di Managua non voleva davvero quest’aggregazione indiana, che diveniva un’agenzia alternativa di socializzazione, e scatenò subito la repressione. Dal Pacifico iniziò una campagna di propaganda tendente a ribadire il concetto dell’indio incapace, e infido perché avrebbe tramato per il ritorno degli inglesi sulla Costa atlantica; ma si trattava di argomenti pretestuosi, senza nessun reale fondamento. L’ALPROMISU si organizzò capillarmente; ogni villaggio aveva una sezione coordinata da un ufficio centrale con sede a Puerto Cabezas, ma le decisioni erano sempre prese dalla base.
Ci si dovette confrontare con due opposizioni diverse, ma altrettanto dure: quella “interna”, proveniente dai capi della Chiesa morava, e quella “esterna”, con le autorità di Somoza, poiché l’organismo indio non era riconosciuto da Managua. Si organizzò un Consiglio degli Anziani e si iniziò a tutti i livelli una lotta continua e profonda. Somoza fu combattuto con tutti i mezzi possibili, ma senza coinvolgere l’organizzazione; in effetti, se Somoza fosse stato attaccato direttamente in campo aperto, la repressione si sarebbe scatenata sugli indifesi villaggi indiani, facili bersagli per il bombardamento e il mitragliamento aereo, così come era avvenuto nel 1928 quando, dopo che le truppe di Sandino avevano occupato le miniere dei nordamericani a La Luz e a Los Angeles (proprietà della famiglia Buchanan), gli aerei yankee, a caccia di sandinisti, avevano distrutto una quantità di piccoli villaggi: Murra, Ojoache, Naranjo, Quiboto, scatenando un vero terrore aereo; duri bombardamenti si ebbero ancora nel 1931 sul rio Wawa, dove Sandino aveva raso al suolo gli accampamenti della United Fruit e dove vivono i Sumo Twahka. Il ricordo di quelle stragi era ben vivo, e consigliò alla prudenza l’organizzazione in quanto tale; tuttavia molti indios parteciparono alla seconda rivoluzione sandinista, individualmente. Inoltre, non si voleva aumentare la presenza armata nella regione come conseguenza di una guerriglia estesa nella zona atlantica: fu per questo che la Moskitia non fu che marginalmente coinvolta nella guerra di liberazione degli anni ’70, e la sua popolazione – non solo quella indigena, ma anche i negri e i ladinos – rimase isolata dalla lotta armata. Infine, la diffidenza nei confronti deiladinos del Pacifico era aumentata dopo l’assassinio di Sandino e le massicce migrazioni degli ultimi trent’anni. La lotta di ALPROMISU non appartenne dunque alla rivoluzione sandinista, ma le fu parallela e comunque distinta.
Gli abitanti della Moskitia, più che identificarsi con la rivoluzione o con i somozisti, si sentivano parte di un territorio specifico, la Costa o – per gli indios – la Moskitia, appunto. La storia aveva insegnato a non vedere negli spagnoli che invasori e colonizzatori, comunque i nemici di ogni progetto di autodeterminazione.
Due anni prima della caduta di Somoza, il delegato della nazione miskito alla Conferenza di Ginevra (1977), Amstrong Wiggins, denunciò pubblicamente la sotto-alimentazione, la perdita delle terre, gli arresti e gli abusi del governo somozista, la conflittualità per la caccia e la pesca e soprattutto il progetto di costruzione dell’autostrada attraverso il territorio dei Miskito minacciati, così, non solo dall’arrivo di nuove malattie, ma anche da altri flagelli sociali, come un aumento del tasso di alcolismo, della prostituzione, della perdita delle terre: pertanto ci si oppose radicalmente all’autostrada di Somoza. Fu in quell’epoca che l’organizzazione si chiamò MISURATA, perché ai Miskito ed ai Sumo si unirono anche i Rama, evidenziando l’idea di voler marciare uniti sempre nel rispetto dell’identità separata delle tre nazioni indie.

La Repubblica sandinista

Il 18 luglio 1979 le avanguardie del Fronte sandinista liberarono Managua; sulla Costa atlantica i Sandinisti non apparvero prima di due settimane. I Miskito erano disponibili, nell’illusione che finalmente fosse giunto il momento per avviare una giusta politica a favore degli indigeni. Il primo anno fu quello delle “belle speranze”, anche se non erano scomparse le diffidenze nei confronti di un governo lontano e ladino; nei villaggi si sviluppò un ampio dibattito sul ruolo indio all’interno della ricostruzione rivouzionaria del Nicaragua. Coloro che avevano preso parte individualmente alla lotta armata erano dichiaratamente filo-sandinisti. Gli anziani invitavano però alla prudenza, memori delle amare esperienze passate; Steadman Fagoth, Brooklin Rivera e Hazel Lou erano tra i giovani “fratelli moravi” più radicalmente schierati con la rivoluzione sandinista; Amstrong Wiggins, invece, era moderato e consigliava prudentemente di collaborare con la rivoluzione, ma senza aderirvi al punto di perdere le proprie facoltà di critica.
Una causa di incomprensione tra Managua e la Moskitia fu l’atteggiamento di certi opportunisti: alcuni individui che erano stati con la destra somozista diventarono i sandinisti dell’ultima ora, i più rivoluzionari di tutti. Essi proposero di ristrutturare l’organizzazione india, mettendola sotto la bandiera sandinista. Fagoth era tra quelli che volevano una direzione completamente rinnovata; altri giungevano a proporne lo scioglimento, in quanto in una società di liberi e di eguali non c’era più bisogno di un’organizzazione nata per combattere le ingiutizie e le discriminazioni.
Si indisse, nel novembre 1979, un’assemblea generale con la partecipazione di più di 700 capi in rappresentanza di 112 comunità indie. Il comandante Daniel Ortega Saavedra, uno dei cinque membri della Giunta di ricostruzione nazionale, era presente e sostenne la tesi dello scioglimento dell’organizzazione, per confluire nelle organizzazioni di massa. Costatata l’opposizione pressoché unanime, propose allora la qualifica di “sandinista”, da aggiungersi alla denominazione che divenne, non senza aver vinto alcune resistenze, MISURASATA.
Furono nominati i nuovi capi: Fagoth, alla presenza di Ortega e del padre trappista Ernesto Cardenal, poeta e ministro nicaraguense della cultura, fu eletto coordinatore generale; Ortega raccomandò a Fagoth di non essere troppo focoso e aggressivo. Ricominciò così il lavoro dell’organizzazione, che si strutturava in cinque sezioni corrispondenti alle cinque regioni della Costa: Bluefields, Puerto Cabezas, Lower Rio Coco, Upper Rio Coco, Tre Miniere; la sede centrale fu fissata a Puerto Cabezas. Quando, ai primi del 1980, a Managua si progettò la costituzione di un Consiglio di Stato quale massimo organo legislativo pluralista della rivoluzione, gli indios vollero farne parte con membri da loro eletti, invece di essere rappresentati da chi avrebbe preteso di parlare per loro, come ai famigerati tempi di Somoza.
I ladinos della Costa, invece, volevano  andarci loro; sarebbe stato così un “cambiare tutto perché non cambiasse nulla”, alla maniera del “Gattopardo”: perché, in effetti, i ladinos importanti sotto il regime somozista rimanevano ancora gli stessi che, approfittando della mancata guerriglia nella regione, restarono a galla, cambiarono divisa, diventando rapidamente sandinisti e conservando il loro disprezzo per i “subumani” indios. Tuttavia i sandinisti veri, quelli di Managua, riconobbero le giuste ragioni dei MISURASATA cui chiesero anche la designazione di un rappresentante nella Commissione di Governo, al quale affidare il coordinamento delle iniziative per la Costa atlantica e per assistere gli indios quando avessero dovuto recarsi a Managua. Fino ad allora, quindi, gli indios venivano regolarmente consultati per tutto ciò che riguardava la Moskitia.
Nella primavera del 1980, si indisse una nuova Assemblea per eleggere i due rappresentanti negli organi costituzionali rivoluzionari: Steadman Fagoth, il 4 maggio 1980, divenne uno dei 44 membri del Consiglio di Stato insediatosi a Managua, mentre Amstrong Wiggins fu designato nella Commissione governativa, e Brooklin Rivera sostituì Fagoth, neo consigliere di Stato, al vertice del MISURASATA, dove si trova tuttora. Poco dopo iniziarono i contrasti tra il governo sandinista e gli indios, a causa della campagna di alfabetizzazione che la rivoluzione pretese fosse, come già ai tristi tempi di Somoza, interamente in castigliano, lingua che gli indios sostengono di non conoscere se non per un’élite del 5%, essendo invece tuttora molto vitali quelle indigene – specie la Miskito, nota come lingua franca anche alle altre nazioni – e, per quanto riguarda le lingue europee, essendo sulla costa più noto l’inglese.
I neo-sandinisti ladinos locali sostenevano, invece, che il castigliano era parlato dal 90% degli indios. Fagoth reagì furiosamente, com’è nel suo carattere, attaccando gli ex-somozisti infiltrati nella rivoluzione (come quel professore, ex magistrato, grande supporter di Samoza nella Costa atlantica, diventato direttore dell’ANDEN, Associazione degli Insegnanti del Nicaragua per i quali, ovviamente, le lingue aborigene, da loro ignorate, hanno solo una rilevanza negativa).
Nell’ottobre del 1980, il Governo mandò sulla Costa i volontari per l’istruzione, giovani insegnanti e studenti, i quali “procedevano” massicciamente in castigliano, ignorando tutto quanto avesse attinenza con la cultura india. I “maestri” furono scacciati dai villaggi; in questa totale incomprensione, si può dire, ha le radici il conflitto con la rivoluzione sandinista.
La Direzione Sandinista fece proprie le “regole” dell’Accademia Reale di Spagna (!) secondo la quale, affinché una lingua esista come tale, è necessario:
– che il gruppo parlante tale idioma sia composto da almeno 50.000 persone;
– che il gruppo dimostri di possedere una cultura e un modo di vita a lui propri;
– che esista una grammatica scritta.
Malgrado l’evidente arbitrarietà e la stupidità di tali “regole”, gli indios sono convinti giustamente che la loro lingua assolva le tre condizioni (i Missionari della Chiesa morava, infatti, si preoccuparono di redigere grammatiche, dizionari e bibbie in Miskito, lingua del resto già da tempo insegnata nelle loro scuole).
Nel febbraio del 1980, già c’era stato un grave motivo di dissenso di carattere ecologico: l’impresa addetta all’escavazione dell’oro scaricava infatti i propri rifiuti di lavorazione (molti dei quali tossici, come l’arsenico) nelle acque del rio Bambana; ciò causò un gravissimo inquinamento, con conseguente morte di diverse persone, soprattutto bambini, anche a causa della stagione secca. Le proteste a Managua non sortirono alcun effetto; fu risposto che il risanamento dell’industria mineraria (delle tre miniere d’oro, due erano state rilevate in stato fallimentare, e soltanto quella di Bonanza era attiva) era prioritario, e che l’oro era troppo importante per l’economia del paese per interromperne, sia pure temporaneamente, l’estrazione.
Nel frattempo, si aggravava sempre più la tensione tra i villaggi e gli ex capoccia somozisti, diventati ferventi sandinisti. Emblematico fu il drammatico caso di un vecchio capo indio, Lester Athers, il quale fu sempre un acerrimo nemico di Somoza, perseguitato dai suoi miliziani. Tra questi era una donna ladina, prima magistrato e poi sindaco. Quando cadde il regime, la donna fuggì in Honduras e Athers venne nominato capo del villaggio. Ma la famiglia di lei si convertì al Sandinismo, e il figlio divenne un graduato del nuovo esercito. Il vecchio indio sapeva troppe cose su quella famiglia… Così, il giovane neosandinista, forte della sua “ladinità” e della non credibilità degli indios, rovesciò la situazione e, nella confusione del cambio dei poteri, denunciò il vecchio come ex somozista! I Sandinisti appena arrivati non sentivano ragioni, lo arrestarono, lo condussero a Puerto Cabezas e lo fucilarono. Quando l’equivoco fu chiarito, era ormai troppo tardi. Lo scandalo fu sepolto alla bell’e meglio: il comandante sandinista Manuel Calderon fece sparire ogni traccia, e ai parenti che continuavano a chiedere notizie del loro congiunto disse che il vecchio era stato condotto a Managua per essere interrogato. Gli indios chiesero allora che il figlio della pretoriana fosse quantomeno radiato dall’esercito rivoluzionario e rimosso da ogni potere, ma costui se la cavò minacciando col fucile i suoi accusatori… Il comandante Calderon per qualche tempo venne mandato in missione a Cuba; successivamente, tuttavia, è ritornato sulla costa atlantica come responsabile militare di tutta la Regione!

La questione della terra

A questi motivi di attrito se ne è aggiunto un altro di peso determinante: la questione della terra. Malgrado le promesse e le assicurazioni, il governo rivoluzionario prese a promulgare leggi che sottraevano il territorio all’agibilità degli indios (caccia, pesca, agricoltura seminomade, ecc.), unitamente alle risorse naturali. La legislazione di Managua fu disattesa nella Moskitia.
Dopo la creazione del Consiglio di Stato, nell’estate del 1980, fu creato un nuovo ministero chiamato INNICA (Istituto Nicaraguense della Costa Atlantica) che esautorò praticamente i poteri di Amstrong Wiggins quale rappresentante indio nel Governo. A capo dell’INNICA fu posto il ministro William Ramirez, prevenuto e scarsamente informato sulla realtà india. La politica governativa era di esautorare il MISURASATA, facendo passare tutto ciò che riguardava gli indios dal FINNICA. Le nuove direttive sandiniste pretendevano che si giungesse sino all’indio per trasformarlo – proprio come voleva Sandino – in un “uomo nuovo”, un “nuovo indio”; ma questo indio, che in realtà non sarebbe più stato tale, avrebbe dovuto cessare di pensare secondo gli schemi della cultura indigena, sentirsi parte della massa contadina, del “nuovo proletariato”.
Questa ulteriore imposizione ideologica provocò un trauma nelle comunità indiane: l’affermarsi della nuova cultura avrebbe messo la parola fine a una resistenza che dura dallo sbarco di Colombo. Presto, l’essere “indio” divenne incompatibile con l’essere “sandinista”, anche se gli indiani non rifiutano di considerarsi parte del Nicaragua.
Alla fine del 1980 aumentarono le tensioni. Ogni riferimento ai Miskito, ai Sumo ed ai Rama sparì nella letteratura governativa, e persino il termine “indio” sparì dal vocabolario: solo il termine “contadino” era utilizzato. Si tentò da Managua di sciogliere il MISURASATA, incorporandolo nell’INNICA: ciò avrebbe posto tutto il movimento sotto le dipendenze e il controllo del ministro William Ramirez, noto per la sua posizione anti-indiana. Il tentativo fallì, e il MISURASATA condusse uno studio completo sul territorio, indicando consistenza e confini dei villaggi, fonti di sussistenza, eccetera; nel contempo, ci si dedicò ad un’intensa campagna di alfabetizzazione che ebbe uno straordinario successo, essendo condotta in lingua Miskito e da personale locale. I fondi giunsero dalla Cultural Survivence, una fondazione antropologica di Boston. Questo lavoro tendeva a dimostrare che se gli indios erano “proletariato”, le comunità sarebbero stato in grado di gestire autonomamente il proprio sviluppo inserendolo, con confronti e verifiche, nel piano nicaraguense.
La promozione della lingua miskito tendeva anche a porre le premesse per ottenerne il riconoscimento governativo: fu presentata al Consiglio di Stato una proposta di legge per dichiarare il miskito lingua nazionale della Costa atlantica accanto al castigliano. Il Consiglio degli Anziani aveva redatto un rapporto a puntuale critica della politica governativa seguita nella Regione: i progetti infatti erano redatti a Managua ma non si realizzavano sulla Costa dove l’economia andava di male in peggio. Ma il Governo rifiutò il dialogo e gli stessi rappresentanti degli indios negli organismi di Managua si sentirono più che mai isolati.
Il viceministro dell’INNICA giunse a indire una grande riunione di indiani di tutto il Nicaragua, che avrebbe dovuto tenersi a Managua, senza neppure avvisare Amstrong Wiggins il quale aveva l’ufficio al primo piano, laddove al quarto c’era quello dell’INNICA!
Wiggins fu invitato a collaborare soltanto due giorni prima del Congresso. Daniel Ortega e Arturo Cruz (poi divenuto ambasciatore in USA), membri della Giunta, si dissociarono in questo caso dall’INNICA e assicurarono a Wiggins che simili scorrettezze non sarebbero più avvenute. Il “Piano di Sviluppo” presentato dal MISURASATA non fu preso in considerazione; gli ex somozisti della Costa continuavano la loro opera di diffamazione sistematica, cercando di provocare sempre il dissidio con gli indios; il MISURASATA divenne una specie di Solidarnos guardato con molto sospetto ma anche timore.
Manuel Calderon, comandante militare, cercò di nascondere l’assassinio di un giovane pescatore miskito, avvenuto nel gennaio 1981, così come aveva “coperto” il delitto Lester Athers: ormai da tutti era considerato un tiranno e un assassino. Steadman Fagoth come sempre fu il più violento nelle denunce e volle recarsi a Managua per fare rapporto sulle nefandezze perpetrate nella Moskitia; la delegazione era formata anche da Hazel Lau e dal coordinatore generale del MISURASATA, Brooklin Rivera. Contemporaneamente, Amstrong Wiggins chiese di poter parlare con Jaime Wheelock, incaricato dalla Giunta nazionale per la Costa atlantica, ma l’incontro non ebbe luogo perché il giorno fissato per l’appuntamento, 18 febbraio 1981, la polizia sandinista arrestò Fagoth; nella stessa notte arrestarono Hazel Lau, e il giorno seguente toccò ad Amstrong Wiggins unitamente ad alcuni responsabili della campagna di alfabetizzazione in lingua miskito. Sergio Ramirez 8, membro della Giunta, dichiarò: “La finiremo una volta per tutte con il MISURASATA”. Fu allora che iniziò una feroce campagna denigratoria nei confronti del capo più deciso, Steadman Fagoth; il Governo disse che negli archivi sandinisti si era trovata una documentazione che lo rivelava come un collaborazionista del passato regime…
Gli indios ritengono si tratti di calunnia, in quanto ben dopo la liberazione di Managua (luglio 1979) Fagoth era stato nominato coordinatore del MISURASATA (novembre) alla presenza di Ortega e di Cardenal; e, successivamente, addirittura membro del Consiglio di Stato (maggio 1981): la polizia sandinista aveva avuto tutto il tempo di frugare negli archivi di Somoza senza attendere un anno e mezzo, e cioè il momento degli incidenti con gli indios.
Il 22 febbraio, la polizia sandinista, dopo aver effettuato numerosi arresti, si recò ad arrestare l’indio Elmer Prado, incaricato del MISURASATA per le miniere; lo trovò a Prinzapolka mentre stava distribuendo i certificati ad alcuni studenti alfabetizzati; quando i militari irruppero per prelevare Prado, uno di loro sparò un colpo e lo ferì: ne nacque una sparatoria e otto persone morirono, quattro per parte. Il ministro Sergio Ramìrez dichiarò che erano stati uccisi quattro elementi sovversivi… In realtà, si trattava di quattro indios ingaggiati per la campagna di alfabetizzazione. Tutto il piano di sviluppo elaborato dal MISURASATA venne definito “controrivoluzionario”, e i Miskito tacciati di razzismo e di separatismo, nonché di voler dominare le etnie più deboli (Sumu e Rama). Si stavano preparando grandi processi, quando tutta la Moskitia si dimostrò solidale con gli arrestati; nella città di Prinzapolka vi fu un’impressionante manifestazione con scontri sanguinosi con i militari; diversi morti rimasero sul terreno. Molti giovani si impadronirono di fucili automatici e di mitra, e fuggirono nelle montagne, protetti dall’omertà delle comunità; i militari si lanciarono sulle loro tracce, ma caddero in sanguinose imboscate senza ottenere alcun risultato. A Huaspan, circa 20.000 Miskito e Sumo manifestarono giorno e notte contro gli arresti; a Puerto Cabezas le manifestazioni durarono ininterrottamente per una settimana. Per evitare il peggio, il Governo dovette rilasciare tutti gli arrestati. Tornarono alla carica contro Fagoth; ma il risultato fu che i villaggi risposero: “Se Fagoth è somozista, lo siamo anche noi!” Fu destituito dal Consiglio di Stato, e già si prevedeva, sulla Costa pacifica, che sarebbe stato condannato a 30 anni. Ma le proteste furono così massicce e minacciose che il Governo dovette cedere: Fagoth restò libero, a condizione che partisse per l’Unione Sovietica dove sarebbe dovuto rimanere 5 anni per studio. Ma appena liberato, fece perdere le sue tracce, attraversò la frontiera e si rifugiò in Honduras, dove già erano fuggiti alcune migliaia di indiani.
All’origine di tutta la vicenda, è quindi la totale ignoranza della realtà indiana che ha determinato l’occupazione militare della regione con il rischio continuo di conflitto.
L’INNICA è comunque divenuto l’unico organismo ufficiale abilitato a trattare ogni questione relativa alla Costa atlantica, e qundi anche agli indiani, nei confronti dei quali si comporta esattamente come la BIA (Ufficio per gli Affari Indiani) negli USA, servendosi cioè di qualche povero indio venduto, senza alcun rapporto effettivo con le comunità.
È così che l’INNICA scelse ad esempio un Sumo (anche in funzione anti- Miskito), Marcelo Zuniga, per sostenere, a Ginevra, che il MISURASATA non esisteva. Le leggi, come quella sulla riforma agraria (art. 31) sono ricalcate sull’Allotment Actdegli USA che stabilisce la lottizzazione delle terre indiane comunitarie, la perdita di quasi tutto il territorio, in radicale opposizione con la cultura e l’organizzazione sociale delle comunità indigene. Anche il Cile, ultimamente (decreto legge del marzo 1980, n° 2568 a parziale modifica della Legge 17792) ha stabilito che gli indios non esistono più, e che sono tutti “cileni” a ogni effetto, integrandoli di conseguenza nell’economia, cultura e società del Cile, distruggendo il loro legame comunitario con la terra che viene distribuita a titolo di proprietà individuale.

La “Dichiarazione dei princìpi”

Il 12 agosto 1981, viene promulgata a Managua una legge costituente la Dichiarazione dei princìpi della Rivoluzione popolare sandinista sulle Comunità indigene della Costa atlantica.
Questa legge toglie ossigeno agli indios non “lasciandoli neanche più respirare”, come ebbe a dichiarare Amstrong Wiggins: “Non c’è più spazio per noi; dalla lingua ‘ufficiale’ scelta, lo spagnolo, sino alla questione delle terre e delle risorse nazionali, tutto è in totale contraddizione con la nostra sopravvivenza.” 9
Gli otto punti che la compongono, in effetti, costituiscono una legge antiindiana d’assimilazione, essenzialmente analoga allo spirito e alle motivazioni delle legislazioni del Cile fascista e dell’imperialismo USA.
Il punto 1) stabilisce che la “Nazione nicaraguense è una sola, territorialmente e politicamente non può essere divisa, spezzettata o ferita nella sua sovranità e nella sua indipendenza. La lingua ufficiale è lo spagnolo”.
Ciò costituisce una risposta ferma a ogni velleità di reale autonomia richiesta dagli indiani. Conformemente alla tradizione coloniale, il diritto all’autogestione, all’autonomia di un popolo è ridotto a sinonimo di “smembramento” della “Patria”, di separatismo, se non di puro e semplice terrorismo; in effetti i Miskito sono diventati: “controrivoluzionari”, “separatisti”, “servi della CIA”, secondo la pratica di utilizzare i nemici esterni per sbarazzarsi delle opposizioni interne.
Ogni riconoscimento al valore della lingua autoctona, miracolosamente sopravvissuta a più di 400 anni di colonialismo, è negato.
Ancora più emblematico è il 2° punto della “Dichiarazione”:
“In Nicaragua tutti i cittadini hanno gli stessi diritti, senza distinzione di razza, linguistica e culturale sul nostro territorio. Sosteniamo la lotta contro il razzismo in ogni parte del mondo”.
Si tratta di una tutela “passiva”, analogamente a quanto sancito dall’art. 3 della Costituzione italiana, dove però vi è poi l’art. 6, che prevede la tutela “attiva” delle minoranze con apposite norme, lo stesso art. 3 prevedendo di “rimuovere gli ostacoli politici e sociali che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. La tutela di una minoranza linguistica (e, a maggior ragione, nazionale) non può limitarsi a un impegno passivo, ma deve assicurare l’autonomo sviluppo della cultura “diversa” mediante una tutela attiva. Altrimenti non restano che i “valori” culturali della maggioranza: in questo caso, l’essenza della cultura “europea”, “occidentale”, con l’autoincensamento di essere l’unica valida, la sola progressista. Insomma, la “vera”, per formare “veri” uomini!
Coloro invece che credono in un’economia non produttivista, che hanno una concezione diversa della società e dalla natura, coloro per i quali possedere una palestra per la palla a volo non è affatto un dato necessario, sono condannati perché le loro aspirazioni non corrispondono ai “diritti” loro concessi unicamente in quanto “Nicaraguensi”.
Il punto 6 è molto importante: “Le risorse naturali del nostro territorio sono di proprietà del popolo nicaraguense, rappresentato dallo Stato rivoluzionario che è il solo capace di stabilire il loro sfruttamento razionale ed efficiente, riconoscendo il diritto della Comunità indigena a ricevere una percentuale dei benefici provenienti dallo sfruttamento delle risorse forestiere per investirle nelle opere di sviluppo regionale e comunale conformemente alla pianificazione nazionale”.
Le conseguenze di questo “principio” sono troppo evidenti per essere commentate, come la sua ispirazione. Lucidamente i pellerossa Mohawk hanno rilevato a questo proposito: “Principio fondamentale delle lotte indiane è che venga loro riconosciuto il diritto a tutti i loro territori aborigeni. Se la posizione sandinista fosse adottata dagli Stati Uniti, le Black Hills sarebbero automaticamente perdute e le rivendicazioni dei Sioux sarebbero limitate alle superfici determinate dai villaggi conosciuti sotto il nome di Pine Ridge, Wamblee Calicò, ecc.
Il Comandante Ramirez, ministro dell’INNICA, ritiene che i diritti degli indiani si limitino ai diritti riconosciuti a tutti i cittadini del Nicaragua. Su questo punto è rigidamente formalista. Insomma, propone l’assimilazione come obiettivo rivoluzionario. Siffatta posizione del Governo del Nicaragua mette gli indiani progressisti degli altri paesi d’America in una difficile posizione. Gli indiani della Costa atlantica rivendicano il loro diritto alla terra in quanto aborigeni, così come lo rivendicano per le risorse naturali, per la caccia, la pesca e l’autodeterminazione. I popoli indiani che hanno appoggiato i Miskito nelle loro lotte per i loro diritti contro il regime fantoccio del governo somozista, dovrebbero abbandonarli quando quei medesimi diritti sono minacciati dai governi rivoluzionari?
Gli indiani hanno sostenuto, in modo logico e coerente, i principi secondo i quali i popoli indiani hanno diritto di esistere in quanto popoli distinti; così come hanno diritto di possedere i propri territori e di opporsi ai progetti massicci di sviluppo che vengono loro imposti da interessi esterni. Tali principi debbono dunque essere abbandonati nei paesi socialisti? Non c’è dunque alternativa all’estinzione?” 10
La “Dichiarazione” fu distribuita in occasione della Conferenza delle ONG (“Organizzazioni Non Governative”), tenutasi un mese dopo (settembre 1981) al palazzo delle Nazioni di Ginevra, dove si confrontarono la delegata del MISURASATA, l’india miskito Hazel Lau, e il rappresentante ufficiale del governo sandinista, Luriberto Campbell, il quale si trovò in notevole difficoltà quando dovette spiegare la politica indiana del suo governo ai delegati indigeni provenienti dalle tre Americhe.
Dal 14 al 22 dicembre 1981, si tennero a Managua i lavori della Commissione per i Diritti dell’Uomo dell’ONU. In quell’occasione, William Ramirez, il ministro dell’INNICA, dichiarò nella sua relazione scritta: “[Gli indigeni] hanno una coscienza politica relativamente ritardataria, e non hanno partecipato alla lotta rivoluzionaria”.
Nel febbraio 1982, (v. giornale “Liberaciòn”, 8/2) Carlo Carrio, membro dell’assemblea del Fronte Sandinista, scrive: “I Miskito non sono dei rivoluzionari entusiasti, perché ancora non capiscono bene la rivoluzione; però non vogliono abbandonare il paese”.
La questione è dunque chiarita: anche per i Sandinisti esistono tuttora i “civili” e i “primitivi”.
I “civili” sono (oggi) di sinistra, progressisti, socialisti; invece i selvaggi rimangono poveri indiani che “non capiscono la rivoluzione” ma che, tuttavia, non accettano le deportazioni!

Le deportazioni e gli ultimi avvenimenti

Nel dicembre 1981, vengono fucilati a Leimus 15 degli 80 indios catturati; si ignora la sorte dei rimanenti. Nel gennaio 1982, inizia la politica di “nuova sistemazione” di circa 10.000 Miskito residenti sulle sponde del Rio Coco, ai confini settentrionali con l’Honduras, destinati all’interno del paese. All’inizio si diedero giustificazioni di urgenza militare, ma è ormai certo che si trattava di un piano previsto da Managua fin dal 1980.11
Venti villaggi sono evacuati con la forza militare: tutti gli edifici vengono bruciati, il bestiame abbattuto, gli orti e i campi distrutti. Gli abitanti sono “sistemati” lontano dalle loro terre, in campi “provvisori” che hanno però tuttavia l’aria di diventare definitivi, sotto le tende, al centro di una guerra di propaganda tra il governo di Managua e il Dipartimento di Stato USA. La stampa mondiale riporta le notizie del conflitto tra indios e sandinisti; il Governo accetta, ai primi di marzo, che l’Organizzazione Inter-Americana dei Diritti dell’Uomo funga da mediatrice, ma poi Managua ritratta a metà marzo, quando viene sospesa la Costituzione e dichiarata la legge marziale. Gli incidenti diventano sempre più gravi; il 2 maggio a Tungla è trovato ucciso il pastore dei Fratelli Moravi Efrain Wade. In luglio, sono desaparecidos dieci indigeni, tutti della famiglia Francis, di Karata. A Sandy Bay Tara, in luglio, un bombardamento aereo ferisce donne e bambini del villaggio. A Kuamkatla, il 4 agosto, è ucciso il fratello moravo Lat Willis; nello stesso mese, a Walpasiksa, si spara su donne e bambini del villaggio.
Il coordinatore generale del MISURASATA, Brooklin Rivera, si reca a Parigi dal 7 al 17 novembre 1982, e il 16 tiene una conferenza alla Facoltà universitaria di Jussieu; durante il suo soggiorno incontra la segreteria di Mitterrand, esponenti del PS, altre personalità politiche, Amnesty International, la Federazione per i Diritti dell’Uomo, Survival International, e vari gruppi umanitari (Médecins sans frontières, AICF, ecc.), ottenendo un appoggio concreto per Miskito e Sumo rifugiati, e dando ampie informazioni sulla situazione degli indios all’interno della Repubblica sandinista del Nicaragua. 12
È appunto alla sua relazione che dobbiamo le notizie più recenti, secondo le quali sono ormai migliaia gli indigeni rifugiatisi sulle montagne e nelle foreste per evitare la repressione sistematica; quando sono catturati, vengono immediatamente passati per le armi, con il pretesto che si tratta di controrivoluzionari e invasori. Secondo le fonti ufficiali del Governo, tra luglio e settembre 1982 ci sarebbero stati ben cinquecento morti. Centinaia di indigeni (circa 300 solo a Managua) sono in prigione, condannati a pene da 3 a 29 anni per aver violato la “Legge d’emergenza economica e sociale” che essi neppure conoscevano e che fu redatta soltanto in castigliano. Un numero imprecisato di prigionieri è nelle carceri della Costa atlantica a Bluefields, Rosita e Puerto Cabezas, senza aver subito alcun processo con la sola accusa di essere “controrivoluzionari”: non vengono trasferiti per evitar loro il processo, e sono trattenuti finché non si rassegnano a diventare confidenti della polizia. Gli insediamenti indigeni (più di 60) sono stati completamente distrutti; intere comunità sono ridotte in cenere. Di fronte al rifiuto del Governo di riprendere il colloquio, gli indigeni si sono gettati nella guerriglia per difendere le lori vite e i loro diritti, armati di tutto ciò che hanno: frecce, arpioni, machete, vecchi fucili…

Quale alternativa?

Quanto avviene in Guatemala, con il fanatismo genocida del folle dittatore, è indubbiamente ancor più terrificante. Ma l’amarezza per il Nicaragua è ancora più grande: dai Somoza, Rios Montt, Stroessner e soci, non ci si aspetta che la sistematica distruzione del “diverso”. Ma la rivoluzione sandinista ci aveva aperto il cuore alle più belle speranze: finalmente in nome del socialismo gli indios sarebbero stati liberati da una colonizzazione plurisecolare. Accade invece che quando i movimenti rivoluzionari sono all’opposizione, riservano promesse ed elogi al “minoritario”, ma quando sono al potere scatenano l’attacco e l’assimilazione, esattamente come prima. E la delusione è ancora più cocente. Siamo anche noi convinti, con Pedro Portugal, “che sia necessaria una presa di coscienza in Europa. Più profonda. Fors’anche più dolorosa. Oggi c’è un cambiamento di valori, un cambiamento di criteri relativamente alla ‘civiltà’. Molti miti che sopravvivono nel Terzo Mondo sono morti nei paesi industrializzati. I settori più lucidi e più dinamici della società europea sono pienamenti coscienti che, senza un cambiamento profondo, la morte del genere umano è una vicina certezza. Per evitare ciò, non si crede più ai concetti di ‘progresso’, di ‘sviluppo’ (Pasolini fu spregiudicatamente corsaro in questa battaglia-denuncia) i quali hanno, appunto, causato molti dei mali in cui oggi ci dibattiamo. Oggi, la lotta è nel senso di modificare radicalmente il corso di un processo (lo ‘sviluppo’ del sistema) che ci porta al vuoto e all’autodistruzione: in questa lotta si inseriscono i movimenti come l’ecologia, la lotta antinucleare e antimilitarista in genere, per le autonomie regionali, per i diritti delle donne e degli uomini.
È una lotta mondiale, e gli indiani vi hanno un grande ruolo. Sono riusciti, malgrado tutto, a conservare la loro cultura, le loro istituzioni e la loro visione del mondo. Il loro messaggio e il loro progetto di società è legato alle speranze per un mondo migliore: ed è più facile che essi siano compresi da chi si sente impegnato a modificare, a trasformare l’Occidente per sopravvivere”. 13

 

La cultura Miskito

I nostri villaggi non hanno né elettricità né acqua corrente. Nessuno. Non vi sono strade. Non abbiamo grandi superfici: cacciamo, peschiamo e coltiviamo. La vita indiana, ora che la selvaggina non è più abbondante come una volta e che la nostra terra ci è stata ridotta, è ancor più rude, dura. Ma è la nostra vita e a noi piace così. Ci basta. Amiamo i valori di questo genere di vita. Ciò costituisce uno dei problemi che abbiamo nei confronti degli occidentali. Come indiani, abbiamo capito che è per questa vita che ci battiamo. La nostra cultura deve sopravvivere perché noi si possa continuare a esistere. Il MISURASATA cerca di rivitalizzare la nostra religione, la nostra cultura, la maniera di vivere dei nostri antenati, i loro costumi, le vecchie storie e le ragioni delle antiche usanze. Noi, giovani organizzatori, ci siamo impegnati a studiare tutto ciò con cura affinché il nostro lavoro abbia le radici nel nostro passato e si possa recuperare la nostra identità. Siamo andati sin nelle comunità più isolate dove si danzano ancora i vecchi balli tradizionali. Abbiamo parlato con i vecchi cantastorie. Abbiamo fatto tutto ciò coscienziosamente, ben sapendo che era una delle nostre prime responsabilità quali organizzatori del popolo Miskito. Il risultato fu che molti giovani cambiarono religione, lasciando il cristianesimo per tornare alla nostra fede.
Talvolta facciamo delle piantagioni: abbiamo cominciato a lavorare sulle nostre terre durante la stagione asciutta, dissodando il terreno e piantando per aver cibo nel resto dell’anno. Quando abbiamo finito, attendendo che i raccolti germinino, alcuni di noi vanno a lavorare a Puerto Cabezas e negli altri centri di mercato per un breve periodo per guadagnare un po’ di soldi per le “vacanze” o per altre necessità. Ma non amano rimanere in città, potete ben capirlo. Non possono sopportare di lavorare, giorno dopo giorno, per un uomo ricco. Non sono abituati ad obbedire, ad essere schiavi a pagamento come avviene qui per i salariati agricoli. Siamo uomini liberi, cacciamo per mangiare e fino ad ora la comunità ha sempre avuto carne e pesce. Al pomeriggio, la nostra gente ama stare insieme per parlare, scambiarsi delle visite, raccontare delle storie e divertirsi con i giochi tradizionali. Questa è la vita del popolo indiano.
Vogliamo aver cura delle nostre risorse secondo i nostri costumi. Sappiamo bene, invece, come coloro i quali ritengono che le nostre terre appartengano all’avvenire del Nicaragua, non saprebbero salvaguardare le nostre risorse. Tra qualche anno, non resterà più nulla per noi. Così, ora possiamo andare nelle lagune e a remi pigliare qualche gamberetto per il nostro cibo. Ma se verranno pescatori con intenzioni industriali, su grossi battelli e con grandi reti, tra qualche anno i gamberetti saranno spariti. Capite, noi agiamo in modo normale e naturale, su piccola scala, a piccole quantità e soltanto per la nostra comunità. Guardiamo i loro laghi, e li vediamo invece inquinati, uccisi dai prodotti chimici; così avviene per la terra. E vediamo che il nostro territorio sta per subire la stessa sorte, ed il nostro popolo indiano, comunque una sua gran parte, morirà anche lui, perché noi sappiamo bene di non essere contadini. Moriremo! Ecco la paura del nostro popolo. Ecco perché noi, indiani, siamo pronti a morire per difendere la terra. Diciamo – e l’abbiamo sovente sentito – “se ci prendono la nostra terra, è meglio morire”.
Per noi, è un valore culturale molto diffuso quello di considerare la terra e gli elementi naturali come i più importanti. Viviamo con questi elementi, dipendiamo da loro, sono una parte di noi. È ciò che il Creatore ci ha dato.
(Amstrong Wiggins, giovane capo Miskito, alla rivista pellerossa “Akwesasne Notes”, vol. 13, n. 4 autunno 1981.)

Miskito lingua di poesia

Tasba tasbayamra.
Sari glaska ba.
Sold piska.
Li awi ba kupya.
Awala wakya ba.
Lukanka sma ba.
Dus wahya and li karmani, dia muni aisaras?
Tasba laiura won sakan ba,
dia muni twi bila baikrani baiki sakras?
Talyamba li teim harp Kani inbis ni?
O kaskan ba heven awlkara alwani bin daukbia?
O kupyamra kaskrika pini tangni baku baiwi ba daiwan poli mani ba tilara inbiani?
O tukta nani aiwoni ba wakya kama ki?
Dia nusa…
Pauta kiasmika pukbra teim pasara warban kabia.
And awala lamosi bankiara ba purara sin;
yami insla purara poli ba waiknam tara ayska sut wibia.
Nampa nani sin aya takbia mitam nani a kuku nani ba wakya takbia.
Yabal mani ba wi nam purara Kabia dus laya ba wina, tangni ba, pasa ba.. Damikan mai luki kabia teim yul wakya ba swapki kama.
Solkam swapni pain ba
ingni bangki nikni ba Yang nani tilara
sikbi kabia

Terra nella tua terra.
Vetro di solitudini.
Petalo di anima.
Cuore di pioggia.
Radice del fiume.
Seme di ricordo.
Perché non parli col la voce delle foglie e dell’acqua?
Perché non rompi con un grido d’erba, la terra aspra che ci separa?
Forse piangerà
con le arpe dell’inverno
il tuo sangue?
O forse suonerà con i tuoni
– nel fiume del cielo – la tua pertica?
O abiterà il tuo cuore fiorito di nebbie tra gli alberi?
O sarai la radice
dei bambini che cantano?
Chissà…
Quando salirà il fumo dai primi fuochi agiterai l’aria.
E nelle paludi eterne del fiume dirà tutto il tuo corpo il volo di un airone.
Nel campo
si faranno mais i tuoi denti
e le tue mani
saranno radici di cocco.
Abiteranno il tuo corpo le vene della linfa, il fiore, il vento…
Quando il nonno ti ricorderà ti agiterai nell’anima del cane.
E, nel tremore fragrante della fiamma,
crepiterà tra noi
la brace del tuo petto.

NOTE

1 Le primitive popolazioni Mangue (provenienti dal Messico), cosi chiamati da mankeme, “signori del paese”, prima del X secolo, e i Nicarao (di lingua nahua, e quindi pure originari del Messico) che successivamente cacciarono i Mangue dal dipartimento di Ruas e dalle isole del lago, popolazioni occupanti tutto il litorale pacifico, si estinsero culturalmente ai primi del nostro secolo; nel 1909 vi erano ancora 25 persone che parlavano la lingua dei Subtiaba. I Matagalpa, che occupano la parte centrale del Nicaragua, possono essere ritenuti culturalmente estinti perché ormai in via di accentuata acculturazione da parte degli spagnoli o spagnolizzati (iladinos). Intorno al 1910 morirono gli ultimi due vecchi che ne parlavano la lingua.
2 P.L. Massajoli, I Paya, in “L’Universo”, n. 2/1967, p. 315.
3 Le stime della popolazione india sono molto controverse; gli studiosi danno cifre molto più ridotte di quelle dichiarate ora dagli indios; così fino a oggi si riteneva che i Miskito fossero circa 25.000 e i Sumo non più di 3.000.
4 Sui Miskito, si vedano:
P.L. Massajoli, I Miskito. Sintesi culturale, in “Terra Ameriga” n. 14/1968, pp. 28-36. Id., I Sumu e i Miskito, in “L’Universo”, n. 4/1968, pp. 727-780.
Id., I Miskito: note sull’acculturazione, in “Terra Ameriga”, n. 20-21, 1969, pp. 25-32.
5 Sui Sumo, oltre ai titoli citati nel testo e nella nota precedente, si veda:
J.M. Jenkins, Nota storica sui Sumo, in “Terra Ameriga” n. 29-30/1973 pp. 25-32, con la relativa bibliografia.
6 R. de Belausteguigoitia, Con Sandino en Nicaragua (La Hora de la Paz), Madrid, 1934. L’intervista con Sandino è riportata anche in: Sandino il padre della guerriglia, a cura di Sergio Ramirez, trad. it. Cittadella ed., Assisi, 1978, pp. 148-165.
7 F. Cerutti, Il mondo indigeno nella poesia nicaraguense contemporanea,in “Terra Ameriga”,
n. 13/1968, pp. 18-28.
8 Sergio Ramirez, membro della giunta, curò El pensamiento vivo de Sandino, Editorial Universitaria Centroamericana, Portorico (pubblicato in italiano da Cittadella ed., Assisi, col titolo Sandino il padre della guerriglia, 1978): nel libro non fa alcun riferimento alle nazioni indiane Miskito, Sumo e Rama e alla Moskitia, quasi sia un discorso tabù. Eppure, quando il libro uscì, Somoza era ancora al potere.
9 L’intervista di A. Wiggins fu fatta da Ismaello, collaboratore di “Akwesasne Notes”, rivista dei pellirosse Mohawk (USA) sulla quale apparve nell’autunno 1981 (vol.13, n. 4). È stata anche ripresa in Nicaragua: Colonialisme et révolution, les sandinistes et la libération des indiens Miskitos, Sumus et Ramas, Diffusion Inti, 37 rue de Meslay, Paris 1982 (pp. 38-85).
10 “Akwesasne Notes”, vol. 14, n. 1 (primavera n. 1). Su questa rivista, divenuta una bandiera nella lotta contro il Governo USA e il BIA (Ufficio Affari Indiani di Washington), e un punto di riferimento per gli aborigeni del mondo intero, v. N. Minnella e M. Morieri, Indiani oggi, Gammalibri, Milano 1981. In queste pubblicazioni si danno anche ampie informazioni sulle lotte indiane per la terra (questione delle Black Hills, ecc.).
11 V. il testo della “Lettera d’urgenza” d’Akwesasne-ERIN del 12 marzo 1982, riportata anche in Nicaragua: còlonialisme… cit.
12 V. “Bulletin Amérique Indienne” n. 22 (dicembre 1982), Diffusion Inti, 37 rue de Meslay, Paris p. 11-14.
Sulla questione indios-sandinisti, v. anche M.-C. Barre, Le drame des Indiens Miskitos au Nicaragua et son exploitation politiques, in “Le Monde Diplomatique”, aprile 1982. L’autrice lamenta che i Miskitos abbiano come portavoce un personaggio tanto compromesso come
S. Fagoth, ora in Honduras con gli antisandinisti, ma dimentica le denunce fatte da A. Wiggins, B. Rivera e H. Lau, ai quali abbiamo fatto riferimento per queste nostre note (di cui abbiamo dato anticipazione su “La Luce”, settimanale delle Chiese valdesi e metodiste, Torrepellice), n. 4, 28 gennaio 1982, p. 12 (La Resistenza dei Miskito).
13 P. Portugal, Introduction à Nicaragua: colonialisme…, cit.

Pubblicato nel 1983 su:

etnie-5-copertina