Probabilmente, se e quando leggerete questo appunto le acque staranno già inghiottendo definitivamente l’antica città di Hasankeyf. La diga idroelettrica di Ilisu lo richiede. Data prevista, il 10 giugno.
Questo gioiello della storia, la cui fondazione risale all’età del bronzo, è in sintonia con nove dei dieci criteri adottati dall’UNESCO (ne basterebbe uno per classificarlo “patrimonio dell’umanità”). Ma si trova – sfortunatamente, vien da dire – nella regione curda di Batman, sud-est della Turchia, sottoposto quindi ad altri criteri: quelli della politica anti-curda dei governi turchi.
Come per il Vajont e per Itoiz (Paesi Baschi), la realizzazione di questa diga comporta irreversibili danni collaterali, sia ambientali sia sociali. Oltre alla scomparsa di un patrimonio archeologico insostituibile, dovremo assistere alla distruzione della biodiversità, soprattutto faunistica, in un’area che la stessa Turchia nel 1981 aveva classificato “zona di conservazione naturale”. E ancora: deforestazione, erosione del suolo (con possibilità di scosse per terremoti locali) e definitiva riduzione degli abitanti alla condizione di sfollati e profughi interni.

ilisu hasankeyf
La città di Hasankeyf, sul fiume Tigri.

Era possibile intervenire per proteggere Hasankeyf? Domanda ormai puramente accademica, temo.
Va comunque ricordato che qui si sono sedimentati reperti e testimonianze di sumeri, assiri, babilonesi, bizantini, omayyadi, abbàssidi, urtuqidi, curdi… Oltre 5mila grotte e cavità e 300 tumuli non sono ancora stati adeguatamente esplorati e studiati, ma da ora in avanti i loro segreti, con tutte le possibili scoperte e rivelazioni archeologiche, sono destinati a rimanere tali per l’eternità.
La riduzione dell’afflusso delle acque del Tigri alimenterà anche il degrado delle zone umide e delle paludi irachene, già colpite dal cambiamento climatico.
Inoltre, con questa ennesima diga – una potenziale “arma impropria di guerra” – Ankara prenderà ancora più saldamente il controllo totale delle risorse idriche e sarà in grado di ridurre alla sete – magari per ragioni geo-politiche – parte dell’Iraq.