Non era esattamente a questo che pensavamo quando – quattro gatti isolati, anzi tre della rimpianta Lega per i diritti e la liberazione dei popoli, sezione vicentina – allestimmo tra la fine dei settanta e i primissimi anni ottanta una “mostra fotografica” con materiale recuperato da riviste, ciclostilati, eccetera, sulla Namibia sottoposta all’occupazione e all’apartheid sudafricani (con uno sfruttamento bestiale, soprattutto nelle miniere e nelle fattorie).
Poi la “mostra” si allargò fatalmente al Sudafrica, destinato (ma solo dopo qualche anno, ricordo bene) a diventare una questione internazionale.
Intanto della negletta e dimenticata Namibia non si occupava quasi nessuno, tranne ovviamente i benemeriti comboniani di Nigrizia. E  forse – ma per ragioni ben diverse – i turisti benestanti e irresponsabili che, invece di boicottare il regime segregazionista, vi si recavano per visitare i parchi nazionali.
Azzardo che – sempre forse – anche quelli della swapo avevano altro in mente.
Comunque ora come ora le cose stanno così. E la Namibia indipendente appare inserita a pieno titolo nel mercato globale, planetario, con un ruolo preponderante. Almeno come fornitrice di materie prime indispensabili per la cosiddetta “transizione energetica”.
Risale alla fine dell’anno scorso la notizia che – surclassata da tempo dalla Cina – l’Unione Europea si riproponeva come acquirente di primo piano dei metalli strategici (litio, cobalto, terre rare) del continente africano. E quindi della Namibia, uno dei maggiori produttori mondiali non solo di uranio (fornitrice di Francia, usa, Cina, India, eccetera) ma anche di litio e terre rare: indispensabili, oltre che per le batterie dei veicoli elettrici, anche per l’eolico a magneti permanenti. Con l’annuncio nell’ottobre 2022 dell’avvenuta firma di un accordo in tal senso, notizia data pubblicamente da Tom Alweendo, ministro namibiano delle Miniere e dell’Energia.
Rivolgersi al continente africano è diventato quasi obbligatorio per l’Unione Europea a seguito dei recenti “contenziosi” (vuoi per le differenti posizioni sulla guerra in Ucraina, vuoi per non inimicarsi Washington). Anche per potersi rifornire a una fonte alternativa rispetto a quella cinese in caso di crisi globali ulteriori.
Nonostante l’assicurazione formale che la trasformazione del materiale grezzo sarebbe avvenuta a livello locale, la questione rimaneva ancora aperta. Ma proprio in questi giorni (13 giugno 2023) con un annuncio del consiglio dei ministri letto in televisione, la Namibia alla fine ha confermato definitivamente una decisione storica, quella di “vietare l’esportazione del materiale di litio e altri materiali strategici (grafite, cobalto, manganese…) che non siano stati precedentemente lavorati in loco”. Anche se, stando sempre alla dichiarazione, tale affermazione non dovrebbe impedire “l’esportazione di piccole quantità” dei minerali citati. 
Con questa decisione si intende “favorire lo sviluppo dell’industria di trasformazione locale dei metalli critici”. Sempre il ministro delle Miniere e dell’Energia un mese fa aveva anticipato l’eventualità che lo Stato acquisisse quote di minoranza delle società minerarie, in quanto “le risorse naturali sotto e sopra la superficie terrestre appartengono allo Stato se non sono legalmente detenute altrove”.
Ovviamente non siamo alla nazionalizzazione, ma sarebbe – forse – già un passo avanti in senso “anti neocoloniale”.
In questo momento il settore minerario namibiano sta attraendo investimenti sempre più cospicui e numerosi da parte delle compagnie minerarie, sia per litio, stagno e tantalio (Andrada Mining, già AfriTin Mining,) sia per le terre rare (Namibia Critical Metals). Altri investitori di rilievo: E-Tech Resources e Ondoto Rare Earth. Entrambi avrebbero intenzione di creare una joint venture insieme a Namibia Critical Metals per realizzare un impianto in loco per la separazione delle terre rare.

Ancora il Sudafrica

Dal Sudafrica, ai primi di giugno, Anthony Viljoen, ceo di Andrada Mining, auspicava un ulteriore aumento degli investimenti in Namibia. Un Paese, declamava, “dalla geologia semplicemente affascinante, in particolare nella regione di Elongo”. Essendo lecito sospettare che le sue non fossero considerazioni estetiche, tantomeno naturalistiche, sarebbe forse il caso di preavvertire gli abitanti della regione (ricca appunto di litio, uranio e stagno).
Anche se non tutti nel mondo (vedi il Fraser Institute, secondo cui la Namibia si collocherebbe addirittura al 38° posto mondiale per le politiche minerarie) condividono tale affermazioni entusiastiche, la Andrada Mining in Namibia rimane operativa con vari progetti e si prepara a potenziarli ulteriormente. In particolare con Nai-Nais (per stagno, tantalio e litio), B1C1 (tantalio e stagno), Brandberg West (stagno), Uis (miniera già nota per la rilevante estrazione di stagno, ora anche di litio). Da segnalare che – sempre stando a notizie diffuse recentemente, nel giugno 2023 – la compagnia mineraria, finora quotata unicamente sul mercato aim della Borsa di Londra, si sarebbe recentemente collocata sulla piazza di mercato otcqb negli usa. Così da favorire l’acquisizione di azioni da parte degli investitori statunitensi.
Fossi un indigeno namibiano inizierei a preoccuparmi, ma comunque staremo a vedere (non potendo fare altro).