Pd e M5S faranno il governo più a sinistra dalla fine della seconda guerra mondiale. E metteranno in piedi una manovra “catastrofica” per il bilancio del paese, che peserà dai 40 ai 50 miliardi di euro. A fare i conti è Luca Ricolfi, sociologo, ordinario di Analisi dei dati all’Università di Torino, presidente della Fondazione David Hume. Ricolfi ha analizzato con Italia Oggi i punti programmatici rispettivamente di Pd e M5stelle per tentare un’alleanza di governo. Centrale è la prossima legge di bilancio e le coperture che saranno trovate. Spiega Ricolfi: “Dobbiamo aspettarci una raffi ca di aumenti di tasse, e probabilmente anche una simpatica patrimoniale fatta ‘per il bene del paese’”.

D. Pd e M5s potrebbero essere i nuovi alleati di un governo di legislatura. Un matrimonio che era nell’aria anche nel 2018 ma che allora sfumò, oggi perché è fattibile?
R. Perché risolve due problemi in un colpo solo. I Cinque stelle hanno il problema di non essere spazzati via dal voto, il Pd ha il problema di riprendere il controllo delle istituzioni, dagli enti di stato alla tv, che ultimamente gli stava sfuggendo.
D. In apertura delle trattative, il Pd di Nicola Zingaretti ha chiesto segnali forti di discontinuità, cinque i punti, dall’immigrazione alle ricette economiche. Che ne pensa?
R. Che scafisti e trafficanti di uomini stanno brindando: l’apertura dei porti non può che incentivare le partenze, con conseguente aumento del fatturato della criminalità (e dei morti in mare). Quanto all’economia, mi aspetto un aumento di alcune aliquote Iva, presentato come una semplice rimodulazione, e un aumento selettivo delle tasse, per “far piangere i ricchi”.
D. Di Maio ha replicato con dieci punti programmatici. Sono più vicini al Pd o alla Lega?
R . La maggior parte dei punti tipo green economy tutela beni comuni, riforma Rai, conflitto di interessi, carcere agli evasori, riforma Csm, dimezzare i tempi della giustizia, riforma sistema bancario, finché non c’è un testo di legge sono semplicemente acqua fresca, sottoscriverli non costa nulla. I rimanenti sono anti Lega e pro Pd: autonomia, ma differenziata; salario minimo, taglio del cuneo fiscale, investimenti al Sud, misure a sostegno delle famiglie, della natalità, dei disabili e per l’emergenza abitativa. Il più ambiguo però è il punto sull’immigrazione.
D. Perché il punto dei 5stelle sull’immigrazione è ambiguo?
R. Dire solo “serio contrasto a chi organizza l’immigrazione clandestina” non vuol dire niente, se non si specifica come. Perché il “come” è decisivo: se per contrastare l’immigrazione clandestina chiudi i porti, sei sulla linea Salvini. Se blocchi le partenze sei sulla linea intrapresa da Marco Minniti. Se non dici nulla, sei per l’accoglienza, che va benissimo a Renzi e al Pd.
D. Come giudica la politica economica che emerge dai 5 punti di Zingaretti e dai 10 punti di Di Maio?
R. Semplicemente catastrofica, ed è paradossale: l’ideologia di questo governo è salvare il paese, la realtà è che si preparano ad affondarlo.
D. Perché un giudizio così duro?
R. Perché ho fatto i conti. Zingaretti dice che tra spese indifferibili e disinnesco dell’aumento dell’Iva ci vogliono 30 miliardi. Sostanzialmente esatto. E i Cinque Stelle come replicano? Aggiungendo nuove spese: investimenti al Sud, misure a sostegno delle famiglie, della natalità, dei disabili e per l’emergenza abitativa. Se si fa sul serio i 30 miliardi sono già lievitati ad almeno 40. Ci si aspetterebbe, a questo punto, l’indicazione delle coperture. E invece…
D. E invece?
R. Invece ecco cosa salta fuori: taglio del cuneo fiscale, abbassamento della tasse alle imprese che assumono. Due misure sacrosante, ma che costano. Alla fine le coperture richieste potrebbero ammontare non a 30 ma a 50 miliardi di euro, se non di più.
D. Dove troveranno i soldi?
R. Qui viene il bello. Il governo è di sinistra, anzi è il governo più di sinistra dalla fine della seconda guerra mondiale, e dentro c’è il Pd, un partito che (saggiamente) non si sogna di andare allo scontro con la Commissione europea, e i conti pubblici li ha sempre governati più con l’aumento delle tasse che con il deficit: quindi, quel che dobbiamo aspettarci è una raffica di aumenti di altre tasse, e probabilmente anche una simpatica patrimoniale “per il bene del paese”. In altre parole: per poter dire “abbiamo fatto questo e abbiamo fatto quest’altro” aumenteranno l’Iva in modo selettivo (magari raccontandoci: “Abbiamo colpito i beni di lusso”), e sulle altre tasse ci toseranno alla grande.
D. M5s e Pd sono divisi sul taglio dei parlamentari. È uno scoglio insuperabile?
R. Per salvare potere e poltrona si supera qualsiasi scoglio. Il Pd già sta dicendo che loro sono sempre stati contrari al taglio dei parlamentari, però “in un altro contesto” tutto cambia, e bla-bla-bla…
D. Chi rischia di più nell’alleanza tra Zingaretti e Di Maio?
R. Forse Zingaretti. Perché l’effetto dell’alleanza sarà di legittimare il Movimento 5stelle come “costola della sinistra”, in una situazione in cui molti elettori di sinistra già da tempo pensano che il Movimento 5stelle rappresenti una sinistra più pura e idealista, magari ingenua ma comunque meno compromessa con il potere. Quindi, una volta che Zingaretti abbia sdoganato definitivamente i 5stelle come sinistra legittima e accettabile, potrebbero essere tentati di mollare il Pd.
D. Il Pd che a oggi spariglia il quadro politico, con l’uscita di Renzi che ha aperto al M5s, che partito è?
R. È il partito di Matteo Renzi. Ed è incredibile che nessuno di noi studiosi, giornalisti, retroscenisti, commentatori, intellettuali, cantanti, calciatori, ballerine, operai, commercianti, economisti, storici, insomma proprio nessuno, abbia capito che Renzi era pronto a rimangiarsi tutte le proprie idee pur di salvare la poltrona a se stesso e ai suoi. Nessuno ha fatto autocritica, ma io voglio farla. Il mio giudizio sulla nostra classe politica è sempre stato molto severo, ma era sbagliato.
D. In che senso sbagliato?
R. Dobbiamo renderci conto che è molto più spregiudicata e opportunista di quanto pensassimo. In vent’anni è davvero cambiato tutto. Se penso che, nel 2000, per aver perso le elezioni regionali, Massimo D’Alema abbandonò spontaneamente la presidenza del Consiglio senza che nulla lo obbligasse a farlo, ma solo per coerenza (lo aveva promesso), non posso che prendere atto: rispetto ai quarantenni-squalo di oggi, cafoni e affamati di potere, i comunisti di un tempo erano dei modelli di moralità e di idealismo.
D. Dall’altra parte della barricata c’è il leader della Lega Matteo Salvini, che ha contribuito in modo determinante a mettersi nell’angolo. Cosa rischia adesso?
R. Non mi è chiaro. In un mondo normale, rischierebbe il processo da parte dei suoi, increduli di fronte a un leader che è riuscito a perdere il governo senza ottenere nulla. Ma siamo in Italia, un paese la cui cifra è il vittimismo (anche di questo parlo nel mio libro La società signorile di massa, in uscita fra due mesi per La nave di Teseo). Quindi è possibile che scatti, al contrario, una sorta di beatificazione di Salvini, dipinto come martire innocente che il popolo ha il dovere di vendicare.
D. Che paese lascia il governo gialloverde dal punto di vista economico? Che stime avete fatto con la Fondazione Hume?
R. Un paese in cui la ricchezza finanziaria, dopo il tonfo dei primi mesi, è tornata al livello cui l’aveva lasciata il governo di Paolo Gentiloni. Il deficit va leggermente meglio di prima, ma le poche risorse disponibili sono state usate per misure assistenziali, incredibilmente anche per volontà della Lega (Quota 100). Invece la cassa integrazione va male, e probabilmente camuffa un calo occupazionale che, senza di essa, diventerebbe visibile. Insomma: abbiamo avuto un governo mediocre e poco coraggioso, come quelli degli ultimi anni.
D. Il capo dello stato Mattarella, al termine del primo giro di consultazioni, ha chiesto una maggioranza solida per un governo stabile, altrimenti tutti al voto. Le pare che ci siano le condizioni?
R. Se si riferisce alle condizioni per fare un governo, certo che ci sono: la paura del voto, che oggi consegnerebbe il paese alla destra, è un cemento formidabile. Come lo è la volontà di impedire l’elezione, nel 2022, di un presidente della Repubblica non di sinistra. Se invece si riferisce alla possibilità di avere non dico un buon governo (cosa in cui non crede più nessuno), ma almeno un governo non troppo dannoso, direi che non ci siamo proprio: l’Italia avrebbe bisogno di uscire dall’assistenzialismo, non di rimanervi.

 

Alessandra Ricciardi, “Italia Oggi”.