Non rallenta la politica espansionistica di Ankara

A volte, da una lettura superficiale, potrebbe sembrare che quella parte dei curdi che fanno riferimento al confederalismo democratico siano soli di fronte alla prepotenza della Turchia.
Anche rispetto agli altri curdi. Soprattutto se si considera la politica assai accomodante (eufemismo) nei confronti di Ankara del PDK di Barzani. In realtà esistono anche altre componenti politiche curde che si oppongono coraggiosamente all’espansionismo turco.
Tra di loro va segnalata l’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK), come si è capito in un recente incontro di studi organizzato dal congresso nazionale del Kurdistan (KNK) nel Kurdistan del Sud, Nord dell’Iraq (I curdi elaborano una soluzione per una vita comune in occasione del 100° anniversario del trattato di Losanna).
In tale circostanza una esponente dell’ufficio politico di UPK, Bîlêse Cebar Ferman, ha denunciato l’aperta intenzione della Turchia di espandersi ulteriormente. Ovviamente a spese del Rojava e del Kurdistan del Sud. Sostenendo che  “lo Stato fondato da Mustafa Kemal Atatürk sembra essere giunto al capolinea. E di conseguenza aumenta gli sforzi per ingrandire il suo territorio”. Ricordando che “a soli sedici anni dalla firma del trattato, la Turchia aveva annesso una città siriana con l’inganno di un referendum [evidentemente “taroccato”, manipolato], in collaborazione con la Francia, dimostrando che le clausole del trattato potevano essere modificate”.
Sempre secondo Bîlêse Cebar Ferman, oltre al Rojava e al Kurdistan del Sud, la Turchia avrebbe mire territoriali anche sulla Grecia e sulla Bulgaria.
Una strategia quella di Ankara, quanto meno “destabilizzante” su cui i curdi devono vigilare congiuntamente.
Particolarmente drammatica la situazione in Rojava dove dal 7 giugno gli attacchi turchi si sono intensificati provocando molte vittime. Attacchi che la co-presidenza del KCK ha definito “genocidi e colonialisti”. Oltre che, ça va sans dire, “fascisti”. Una situazione che coinvolge ormai tutta la Siria del Nord e dell’Est.
Scopo della Turchia sarebbe quello di “distruggere l’intero sistema democratico realizzato dall’AANES in Rojava e nel Nord e nell’Est della Siria, con una politica di ‘decurdizzazione’ del Rojava, modificando la composizione demografica attraverso l’espulsione dei curdi”. In vista dell’annessione di territori siriani.

E i tagliagole?

Scontato il silenzio-assenso nei confronti di Erdogan dell’Occidente (ma anche Russia e Cina non mostrano sensibilità a riguardo).
Tutto questo mentre i curdi, dopo aver portato sulle proprie spalle il peso maggiore (in termini di militanti caduti) della sconfitta dello Stato Islamico, si apprestano a processare per crimini di guerra e crimini contro l’umanità i miliziani di Daesh, tra cui almeno quattromila stranieri, detenuti ormai da anni nell’indifferenza della comunità internazionale (soprattutto in materia di rimpatrio). Quanto alla continua richiesta da parte dei curdi di istituire un tribunale internazionale, “è sempre rimasta senza risposta”, ha ricordato l’ufficio internazionale dell’AANES.
Bedran Chiya Kurd, copresidente dell’ufficio affari esteri dell’AANES, ha confermato che “i processi – pubblici e giusti – si svolgeranno indipendentemente dai negoziati con la coalizione anti Stato Islamico”.
La presenza sui territori curdi di migliaia e migliaia di prigionieri jihadisti e delle loro famiglie (è noto come i bambini nei campi vengano indottrinati dalle mogli dei miliziani) rappresenta una potenziale bomba a scoppio ritardato, una fonte di insicurezza e di possibile rinascita di Daesh.
Solo l’anno scorso, nel 2022, i curdi hanno sostenuto ben 130 distinte operazioni contro le cellule dormienti dello Stato Islamico catturandone circa 260 membri.
Anche da ciò l’urgenza di giudicare i prigionieri jihadisti. I processi, ha ribadito l’AANES, saranno pubblici, e “osservatori internazionali, esperti, avvocati sono i benvenuti. Tutto il mondo sarà benvenuto per assistervi”. Ma soprattutto “saranno processi giusti”. Per dirne una, nei territori autogovernati dai curdi è stata abolita la pena di morte. Visto il contesto, quello mediorientale, non mi sembra poca cosa.
Va anche ricordato, per completezza di informazione, che comunque i curdi non porgono l’altra guancia.
Nel Kurdistan del Sud (Nord Iraq) l’11 giugno la guerriglia curda ha colpito i rinforzi inviati da Ankara nel gruppo montuoso di Girê Hekarî. In particolare un mezzo blindato utilizzato per trasportare le truppe. Per il ministero turco della Difesa le vittime turche sarebbero state due, mentre fonti curde (le HPG) parlano di una decina. Altre operazioni della resistenza curda si sono svolte nella regione di Zap tra il 12 e il 13 giugno. Da parte turca si sono intensificati gli attacchi aerei contro le zone di Girê Cûdî e Girê Amêdî (fronte occidentale di Zap), Golka (Metîna), Goşînê, Rostê e Sinînê (Xakurke), Deşta Kafya (Gare) e Dola Bolê (Qendîl). A cui vanno aggiunti centinaia di colpi di artiglieria.